NBA e Analytics: un rapporto in continua evoluzione

Grazie alla trentennale gestione targata David Stern – dal 1984 al 2014 – l’NBA si è trasformata, a detta di molti, nella Lega professionistica più seguita al mondo. Nella sua opera di rinnovamento, senza dubbio Stern è stato aiutato dalla grande qualità dei giocatori che gli sono passati tra le mani: da Magic a Bird, da Jordan a Shaq, fino ad arrivare a Kobe e LeBron. L’espansione del marchio NBA però non è ascrivibile soltanto alle capacità tecniche dei giocatori, ma anche e soprattutto ad una dirigenza in grado di vendere il prodotto NBA nel miglior modo possibile.

Oltre ad una conduzione ineccepibile della sfera del marketing, David Stern è sempre stato attento agli sviluppi tecnologici che avrebbero potuto contribuire al miglioramento della Lega. Le nuove tecnologie, infatti, hanno fornito alla pallacanestro, nel corso degli anni, molti strumenti innovativi.

A dirla tutta, i progressi tecnologici non sono stati recepiti positivamente – e immediatamente – da tutte le franchigie NBA. Alcune, percependo subito il ventaglio di nuove possibilità, sono state veloci ad integrare i nuovi sistemi ai metodi tradizionali, altre invece hanno preferito restare ancorate al passato, continuando ad operare come avevano sempre fatto.

Ma nello specifico, cosa si intende per nuovi sistemi e nuovi tecnologie applicati al mondo dell’NBA?

1) HEALTH-CARE ANALYTICS

Anche se non sembra (vero 76ers?), vincere dovrebbe essere l’obiettivo di tutte le squadre di tutti gli sport a livello professionistico. Malgrado non sia umanamente possibile programmare una vittoria, la dirigenza di una società sportiva ha il dovere di pianificare, in modo tale da ridurre il più possibile il numero di rischi accessori. Rinforzare ciò che può essere rafforzato ed evitare ciò che può essere evitato. Va da sé, che se alla fine il destino decide di pugnalarti resta poco da fare.

Gli infortuni sono tra i fattori che incidono maggiormente sull’esito di una stagione. Per questa ragione, oltre a modellare la squadra in maniera efficace e a gestire lo spogliatoio, il compito del coaching staff è anche quello di mantenere l’integrità fisica dei giocatori lungo un’intera annata. Per facilitare il raggiungimento di questo traguardo, molte franchigie NBA hanno iniziato a utilizzare le tecnologie messe a disposizione da società all’avanguardia.

Queste compagnie hanno ultimato dei sensori GPS, indossabili senza scomodità dai giocatori e grandi più o meno quanto la metà di un I-phone, che solitamente vengono attaccati al retro delle magliette così da farli adagiare tra le scapole dei giocatori. Il GPS consente di tracciare il battito cardiaco, la velocità raggiunta, la distanza percorsa, l’intensità del carico di lavoro, l’accelerazione, la decelerazione… Insomma il sensore raccoglie una quantità innumerevole di informazioni in tempo reale. Fino a qui sembrerebbe un normale GPS. La grande novità risiede nella diversa analisi dei dati, che vengono studiati in modo tale da aiutare le squadre a risolvere anche le problematiche più spinose.

Quel giocatore sta spingendo troppo in allenamento? Quel tipo di esercizio è utile a livello fisico o è una perdita di tempo? Quanto tempo dovrebbe durare uno shootaround? Come posso essere sicuro che il mio giocatore sia pronto a tornare dopo un infortunio?

Le nuove tecnologie forniscono alle franchigie risposte iper-dettagliate a queste domande. Risposte che prima neanche esistevano.

Nell’ambiente NBA, Alex McKechnie è considerato un guru della preparazione atletica. Lo scozzese ha rimesso in forma gente del calibro di Shaq e Pau Gasol. Attualmente Director of Sports Science e Assistant Coach ai Toronto Raptors, McKechnie ha percepito immediatamente le potenzialità del progresso tecnologico, imponendo l’uso dei sensori ai giocatori della squadra canadese sin dalle fasi di sperimentazione del prodotto.

È una questione di rischio e ricompensa, aveva dichiarato McKechnie durante un’intervista. Noi stiamo eliminando alcuni fattori di rischio. Non puoi prevedere gli infortuni, specialmente quelli traumatici, ma sicuramente puoi identificare dei fattori di rischio e prevenirne alcuni. Ancora non abbiamo il potere di impedire ai giocatori di storcersi le caviglie, di prendere contusioni alle ginocchia o gomitate sugli zigomi, ma quello che abbiamo la capacità di fare è prevenire gli infortuni di natura muscolare.

Purtroppo per le società professionistiche, i sensori GPS non sono ammessi durante i match ufficiali e di conseguenza i dati che vengono raccolti sono relativi solamente alle sessioni di allenamento. In ogni caso, pur non fornendo uno sguardo a 360°, questi gadget rappresentano un miglioramento evidente rispetto a qualche anno fa.

“Prevenire per non curare”. In sostanza, l’evoluzione della medicina in NBA non è orientata soltanto verso l’introduzione di rapidi sistemi di riabilitazione post-infortunio, ma soprattutto verso metodi innovativi di prevenzione dell’infortunio stesso.

2) ADVANCED STATISTICS & ANALYTICS

Se da una parte i dottori delle franchigie NBA hanno accolto di buon grado le nuove proposte in campo medico, non si può dire che altri progressi abbiano ricevuto lo stesso caloroso benvenuto.

Negli sport di squadra, la competenza della presidenza, del front office e del coaching staff ha sempre fatto la differenza tra vittoria e sconfitta. Infatti, ogni aspetto del processo decisionale di una franchigia NBA (draft, mercato, stile di gioco e così via) dipendeva unicamente dall’intelligenza e dall’istinto dei diretti interessati. Semplificando il concetto all’ennesimo livello, l’assioma fondamentale era semplice: un buon dirigente costruisce una buona organizzazione e un buon allenatore crea l’alchimia all’interno di un buon roster.

Poi è arrivato Billy Beane, GM degli Oakland Athletics in MLB, a stravolgere le carte in tavola. Il suo impatto sugli sport professionistici americani è stato devastante, tanto che sulla sua storia Michael Lewis ha scritto un libro, Moneyball, pubblicato nel 2003 e poi reso pellicola cinematografica qualche anno dopo con il titolo “L’arte di Vincere”.

Ma cosa ha fatto il buon Billy di così travolgente?

Beane è stato il primo ad utilizzare la sabermetrica. Immagino che qualcuno di voi abbia aggrottato le sopracciglia. La sabermetrica è, semplicemente, l’analisi del baseball attraverso le statistiche. Così come Neil Armstrong è stato il primo essere umano a calpestare la superficie lunare (complottisti permettendo), allo stesso modo il GM degli A’s è stato il primo ad aver utilizzato le statistiche come unico mezzo per arrivare ad una decisione.

Salve a tutti, Io sono Billy Beane e ho rivoluzionato il Baseball

Beane ha iniziato a draftare e scambiare giocatori seguendo come unico filo logico il rispetto della sabermetrica. A Beane non interessava l’altezza, il peso o la velocità di un giocatore, ma esclusivamente la sua efficienza nel conquistare basi. Punto. Per forza di cose un metodo così innovativo non è rimasto confinato al baseball, valicando i recinti del calcio, del football americano e, naturalmente, del basket.

Alcune squadre NBA si sono buttate a capofitto nell’ordinato mondo della sabermetrica applicata al basket (ABPRmetrica) e altre invece hanno mantenuto un atteggiamento diffidente. Partendo dal presupposto che oggigiorno ogni team ha il suo reparto dedicato esclusivamente alle analytics, possiamo comunque dividere la Lega in believers e non-believers: gli appartenenti alla prima categoria basano le proprie scelte sulle statistiche avanzate (o comunque le tengono in grande considerazione), i membri della seconda invece, pur avendo i mezzi per interpretare le analytics, preferiscono utilizzare metodi più tradizionali.

Tra i Believers di spicco individuiamo i Philadelphia 76ers e le tre squadre texane (Houston, San Antonio e Dallas). Tra i Non-Believers i Brooklyn Nets, i Los Angeles Lakers (anche se ora con Walton in panchina le cose potrebbero cambiare) e i New York Knicks.

A prescindere dall’effettivo utilizzo delle analytics da parte delle franchigie, il basket rappresenta un esempio calzante del modo in cui le statistiche avanzate abbiano cambiato sia il modo di giocare sia il giudizio sulle performance dei giocatori. Le squadre NBA utilizzano una tecnologia chiamata “Player Tracking”, che valuta l’efficienza di una squadra a seconda dei movimenti di un giocatore. Se diamo per buone le dichiarazioni sul sito web del software Sport VU, tutte le franchigie NBA hanno installato sei telecamere nelle passerelle delle arene per tracciare i movimenti di ogni singolo giocatore e della palla ad una velocità di 25 volte al secondo.

L’output derivante da queste registrazioni ha generato una quantità industriale di nuove statistiche basate sulla velocità, la distanza, la spaziatura tra giocatori, il possesso palla e così via. La vera difficoltà dei front office non è stata tanto sfruttare le analytics, bensì capire come utilizzare le nuove informazioni e intuire quali statistiche potessero essere utili per creare un vantaggio rispetto agli avversari.

Con così tanti criteri a disposizione, quale considerare più importante rispetto agli altri?

Non c’è una risposta oggettiva a questa domanda, che dipende dalle priorità delle franchigie. Al contrario del baseball, infatti, nella pallacanestro l’analisi delle statistiche avanzate non garantisce risultati positivi.

Sebbene abbiano provocato e continuino a provocare dei conflitti, le analytics rappresentano nel bene e nel male un’evoluzione netta rispetto al contesto precedente al loro arrivo. C’è chi ne fa un uso spropositato (citofonare Sam Hinkie, GM di Philadelphia, per maggiori informazioni) e chi invece le considera pressoché inutili (lo zio Phil proprio non riesce a prenderle sul serio). Pur essendo dimostrato che nella pallacanestro una corretta analisi delle statistiche avanzate possa regalare dei vantaggi notevoli, allo stesso tempo una struttura di decision-making di stampo più tradizionale non può essere considerata uno spergiuro come accadrebbe nel Baseball.

In medio stat virtus dicevano gli antichi. Questa massima, che racchiude una grande verità, è stata riletta in chiave moderna da Gregg Popovich:

Guardo le analytics e qualche volta sono utili. Altre volte invece sono un ammasso di boiate.

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Pubblicato da
Alberto Calò

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