Coach Terry Stotts è, con Damian Lillard, la vera pietra angolare del progetto Blazers. Amato da dirigenti e giocatori, non solo di Portland, il 58enne originario di Cedar Falls non si è piazzato lontano da Steve Kerr (forte del 73-9 in regular season dei suoi Golden State Warriors) nella corsa al Coach of the Year 2015-2016. Merito di una naturale attitudine a dare forma coerente a gruppi di giocatori “irrisolti”.
Nei power ranking di inizio stagione i Blazers, tacciati di essere acerbi e poco talentuosi, erano dati tra le ultime posizioni dalla maggioranza degli esperti. Ma Stotts ha saputo spremere ogni oncia di talento dal suo leader Damian Lillard, trasformare CJ McCollum in uno dei migliori esterni (almeno in attacco) della Lega e costruire intorno ai due un legittimo cast di supporto, ruotando con perizia i vari Al-Farouq Aminu, Mason Plumlee, Moe Harkless, Ed Davis e Allen Crabbe. Giocatori, prima della scorsa stagione, sospesi in una bolla fatta di eccessiva inesperienza, incostanza di rendimento e problematiche caratteriali. Giocatori definitivamente sbocciati con la cura Stotts.
Terry Stotts (credit: Kelley L Cox-USA TODAY Sports)
Ma non finisce qui: i Blazers avranno nuovamente bisogno del magistero del proprio allenatore per lanciarsi nella stratosfera NBA. Che ruolo (soprattutto offensivo) dare a Evan Turner? Come gestire il dualismo sotto canestro tra Plumlee ed Ezeli? Quanto impiegare Allen Crabbe e Moe Harkless, freschi di contrattoni? Puntare o meno sull’indecifrabile Noah Vonleh? Tutte domande a cui dovrà dare risposta, da “dietro le quinte”, proprio Mr. Stotts. Con la concreta possibilità, se dovesse compiere un nuovo miracolo, di portarsi a casa il già sfiorato titolo per il miglior allenatore della stagione.