Il Draft è la porta principale per entrare in NBA. Esistono altri modi per arrivare a giocare nella lega professionistica più famosa al mondo. La finestra. Il cancelletto sul retro. Essere figlio del Coach (chi ha detto “Austin Rivers”?). Il Draft, però, rimane il tappeto rosso che ti porta dritto alle telecamere delle mega-arene in giro per l’America.
Quale argomento migliore del Draft, quindi, per entrare in questa nuova rubrica targata NBAReligion.com?
Mentre la pallacanestro italiana si trova perennemente in crisi economica, la NBA gode di ottima salute. Contratti TV stratosferici, partite giocate in tutto il mondo (gli NBA Global Games) ed eventi promozionali in varie città, anche europee, portano con sé i frutti di una gestione oculata e di programmi lungimiranti.
Grazie a questo successo, si accostano alla NBA moltissimi spettatori che non necessariamente hanno conoscenze approfondite in campo cestistico. Oppure sono baskettari da campetto di periferia, che fino a oggi si sono interessati più alla pallacanestro nostrana. L’obiettivo di “Vocabolario NBA” è di dare una risposta a tutte le domande che possono sorgere al pubblico di NBAReligion sul campionato dei giganti. Proveremo a spiegare in modo chiaro, conciso e preciso il significato di termini ed espressioni ricorrenti nelle news, negli articoli di analisi tecnico-tattica e nelle storie che raccontano questo incredibile spettacolo. Ogni martedì, alle ore 17.00. Puntualissimi sugli schermi di NBAReligion.
Come non presentarsi alla stretta di mano con il Commissioner: esegue Joakim Noah al Draft NBA 2007. Credits to: Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images, via Google.
UN PASSO INDIETRO – Partiamo da un assunto: la NBA è organizzata con un sistema “a franchigie” o franchise, che è completamente diverso da quello noto in Europa, nel calcio come negli altri sport. La logica di fondo è che i giocatori non appartengono in senso stretto a una squadra: dipendono prima di tutto dalla NBA. In secondo luogo, nel sistema americano non esistono “giovanili” e squadre di provincia come le conosciamo noi. I giovani crescono sportivamente attraverso il sistema scolastico. High school e college, quindi.
DLIN DLON – Resta da capire come si entri da questa benedetta porta della grande casa NBA. Beh, ti aprono loro. Ma decidono chi entra prima e in quale stanza deve andare. Ti dicono: tu in soggiorno, tu in camera da letto, tu in cantina (chi ha detto “Philadelphia 76ers”?). Ora chiudiamo la porta e la metafora: i giovani prospetti, che abbiano almeno un anno di college alle spalle e i 19 compiuti nell’anno del Draft, si possono dichiarare eleggibili, ovvero “disponibili” alla chiamata delle squadre. Coloro che completano il college e i giocatori internazionali oltre i 23 anni sono automaticamente eleggibili. Nota storica: in passato era diverso. Era possibile saltare in NBA direttamente dalla high school; la regola è cambiata dal 2006. Kevin Garnett, Kobe Bryant, LeBron James e Dwight Howard (trova l’intruso…), ad esempio, fecero il grande salto.
Kobe Bryant da Lower Merion High School, scelto al Draft 1997 alla chiamata n°13. Sì, è un cappellino degli Charlotte Hornets quello. Credits to: www.foxsports.com, via Google.
L’ATLETA VIENE SCELTO – Dal mazzo dei giocatori eleggibili, le squadre – secondo un ordine prestabilito – scelgono i giocatori da mettere sotto contratto e inserire nel proprio roster. L’ordine di scelta delle squadre è determinato dal sistema della Lottery, che in parte si basa sui risultati dell’anno precedente, ma dipende anche da un’estrazione casuale (qualcuno ha detto “Cleveland Cavaliers”?). Del magnifico mondo della Lottery parleremo in una futura puntata di “Vocabolario NBA” (rimanete sintonizzati). Cercheremo di capire come funziona, esplorando anche i lati oscuri del meccanismo (sì, certo… il tanking!). Per ora sarà sufficiente ricordare che i turni di scelta possono essere scambiati. Anche per questo motivo le trade di giocatori fra squadre NBA si rivelano talvolta particolarmente complesse.
60 POSSIBILITÀ – Il Draft NBA attuale prevede due turni di scelta. Essendo 30 le squadre, sono 60 i giocatori draftati ogni anno. Ma non tutti i giocatori scelti finiranno veramente in NBA. Il Draft non è un contratto di lavoro. La squadra si assicura il diritto di poter mettere sotto contratto un giocatore, ma non è nemmeno obbligata a farlo subito. Il giocatore stesso potrebbe rinunciare, magari perché ha già una buona carriera in Europa. I giocatori che non vengono chiamati, pur essendo eleggibili, vengono denominati undrafted, cioè “non draftati”.
Per approfondire, alcuni vecchi articoli di NBAReligion a tema Draft. Se vi piacciono le storie tristi, andate a cercarvi la rubrica “Draft, la Scelta Sbagliata”, che raccoglie tutti i più grandi abbagli di GM e dirigenze nel corso degli anni. Il quarto pezzo è invece un racconto sentimentale del Draft 2014, incentrato sulla figura del Commissioner.
La rubrica #VocabolarioNBA:
Dello stesso autore (@AlessBonfa):