Appunti Tattici: il racconto di Golden State-OKC

Appunti Tattici è la nuova rubrica di NBAReligion che cercherà di analizzare in maniera più approfondita i temi, gli spunti, i giocatori e le partite più interessanti di questa nuova stagione NBA. La troverete ogni venerdì sul nostro sito (qui potete leggere il primo appuntamento) e avrà come obiettivo principale quello di dare una chiave di lettura più completa su quanto di buono (e poco buono) la stagione proporrà.

 

Impossibile non partire quindi dalla sfida della Oracle Arena tra Golden State e Thunder le quali, dopo tre mesi passati a versare fiumi di inchiostro sulla questione irrisolta/crisi psicologica/tradimento capitale Kevin Durant vs Russell Westbrook ― o KD vs l’intero stato dell’Oklahoma ― finalmente si sono ritrovate a fronteggiarsi nel primo round stagionale.

I nuovi Warriors con Durant hanno iniziato la stagione senza toni alti, perdendo nell’opening night contro San Antonio e vincendo le altre tre partite ma senza punti esclamativi ― perché se costruisci la Morte Nera poi non si impressiona più nessuno se strapazzi i New Orleans o Portland. Troppo facile (PS: non lo è affatto…).

I Thunder al contrario arrivavano a questa partita da imbattuti (4-0 di record), dopo aver espugnato il campo dei Clippers con una prestazione difensiva di grande livello e con un Russell Westbrook già in modalità Russell Westbrook Distruzione Del Mondo Attivata Show con quattro partite ai limiti della capacità umano-motorie.

Lasciando da parte le cronache rosa su Durant e Westbrook per un attimo (anzi, facciamo per tutta la durata dell’articolo) l’aspetto interessante era capire se davvero i Thunder possono essere considerati come una delle potenze dell’Ovest e a che punto sono gli Warriors nel loro riadattamento tattico-strutturale dopo l’arrivo di Durant. Se il vostro obiettivo primario nel guardare questa partita era quello di vedere una partita combattuta fino alla fine ― magari con una vittoria Thunder con tripla allo scadere di Westbrook ― mi dispiace per voi, ma (SPOILER!) Golden State ha massacrato gli avversari. Se invece il vostro motivo di interesse stava nel constatare quanto detto sopra la partita non ha deluso, descrivendo un primo microcosmo su cui possiamo iniziare a fare le prime considerazioni stagionali.

Come detto la partita non c’è stata, Oklahoma è stata in partita solo per un quarto, il primo, nel quale ha fatto comunque vedere di essere una squadra organizzata. La perdita di Durant ha ovviamente cambiato gli equilibri della squadra, soprattutto nella metà campo offensiva, e nonostante Westbrook abbia messo ampie pezze in questo avvio di stagione l’efficienza offensiva dei Thunder rispetto alla passata stagione è crollata ― terzultimi della lega in questo dato. Al contrario difensivamente Oklahoma è migliorata molto, nonostante la perdita di un eccellente difensore come Durant. Come un anno fa i Thunder sono una delle squadre più forti a rimbalzo, ma a differenza della passata stagione Donovan si è concentrato maggiormente sulla costruzione di una difesa ― come era scontato che fosse ― che sfruttasse le infinite doti atletiche dei giocatori a disposizione (a cui si è aggiunto recentemente anche Jeremi Grant), permettendo di lucrare punti in transizione, situazione in cui Westbrook diventa ingestibile (12/13 in stagione, ingestibile appunto).

In attacco i Thunder hanno iniziato cercando di intrappolare Pachulia nel pick-and-roll tra Westbrook e Adams, costringendolo a dover cambiare su Westbrook e/o a prendere decisioni difficili.

Il pick-and-roll tra Westbrook e Adams con Pachulia che è restio a uscire così tanto per paura di farsi battere dal palleggio. Quando l’attacco dei Thunder è spazziato bene come in questo caso rende tutto ancora più difficile per le scelte difensive dei Warriors.

Donovan aveva individuato in Pachulia l’uomo da attaccare e anche Adams lo ha punito ogni volta che ha potuto (come qui e qui subito ad inizio partita). Il centro georgiano è una delle (poche) debolezze degli Warriors di quest’anno, in quanto è un peggior protettore di area e ferro rispetto a Bogut. Per adesso rappresenta il quinto starter di Golden State ma il quintetto che apre le partite degli Warriors ― con Bogut insieme ai Big Four ― non sta funzionando benissimo, anzi: nei 59 minuti in cui Steve Kerr lo ha utilizzato il Net Rating degli Warriors è addirittura negativo (-1.9) e anche nel primo quarto i Thunder sono riusciti ad approfittarne.

Oklahoma è partita molto bene sfruttando questa “falla” e da lì ha preso energia arrivando a scavare un vantaggio di dieci punti (29-19) dopo due triple di Sabonis e Lauvergne e una schiacciata di Grant in testa a Durant, col senno di poi non l’idea del secolo. Da lì infatti Golden State è entrata in partita, recuperando lo svantaggio e non voltandosi più indietro.

Che i Thunder non fossero pronti per reggere il confronto con una corazzata come gli Warriors ― specie in back-to-back dopo la partita molto dispendiosa contro i Clippers ― è una cosa del tutto normale, e nonostante quanto si possa dire era largamente preventivabile. Quello che deve colpire di Oklahoma è la genuinità del lavoro di Donovan (e Presti) nel costruire una nuova squadra con una nuova identità: nonostante dei limiti strutturali i Thunder sono una bella realtà, e lo hanno confermato anche in questa dura sconfitta.

Oklahoma sta sviluppando una serie di giocatori molto interessanti come Adams, che è già tra i centri più forti della lega e continua a migliorarsi (misteriosamente) ogni giorno, al quale Presti ha affiancato Sabonis, un diamante con le stigmate del semi-dio, che sembra perfetto per giocargli accanto ed ha già padronanza in entrambe le metà campo; così come sono interessanti i progetti Lauvergne, Abrines e Grant (back-up plan nel caso Roberson dovesse salutare prossima estate e super progetto tecnico-atletico) e nella stessa trade per Sabonis è arrivato Oladipo, il quale compone insieme a Westbrook una coppia di combo-guard un po’ enigmatica ma che quando funziona produce azioni molto spettacolari.

Nonostante il contesto agonistico fosse calato questo è il manifesto della nuova organizzazione dei Thunder: se li fai correre, ti distruggono i ferri.

Il futuro dei Thunder può essere più luminoso di quanto era lecito aspettarsi da una squadra che ha perso uno dei giocatori più forti al mondo, e questo è già tantissimo. Cosa succede invece se aggiungi un giocatore forte come Durant in una squadra già forte come gli Warriors? Vi avverto, se siete persone sensibili è meglio se vi fermate qui.

Nonostante l’inizio di stagione non abbia aperto le fiamme dell’inferno o warmhole intergalattici come molti volevano Golden State ha dato stanotte un saggio della sua potenza. Nelle partite precedenti gli Warriors avevano denunciato qualche problemino, tra gli strascichi psicologici dei casini di Draymond Green, i cambiamenti difensivi dovuti ai cambi di giocatori e soprattutto a delle mani molto fredde (basti pensare al 3/28 di Thompson). Per di più gli Warriors devono ritrovare tutti gli accordi: aggiungere un fenomeno come Durant ad un roster già pieno di perle rare da sicuramente grandi poteri, ma come sappiamo benissimo tutti questi poi declinano in grandi responsabilità, e quelle non è facile catalogarla fin dall’inizio.

Golden State però ha spazzato via ogni discorso e già dal primo pallone toccato dal grande atteso Durant si poteva respirare l’aria secca dell’uragano in arrivo. Gli Warriors hanno ricucito nel primo quarto il buon avvio dei Thunder e con Westbrook seduto hanno iniziato a sommergere gli avversari con ondate brutali. Ovviamente il peggiore è stato Durant, che nel secondo quarto ha mostrato a tutti cosa voglia dire essere il migliore attaccante al mondo: un rimbalzo d’attacco, tripla-1, stoppata su Westbrook-1, tripla-2, tripla-3/dopo passaggio dietro la schiena di Curry, una schiacciata in faccia a Grant, tripla-4/la più incredibile. Brutale.

La fluidità del corpo di Durant ― un sette-piedi con la grazie di un ballerino del Bolsoi ― su un campo da basket è una delle cose più belle dell’esistenza umana. (Qui trovate tutti gli highlights della partita di Durant, compresa anche una stoppata subita da Westbrook che rompe le leggi della fisica)

Questa tripla ― come la schiacciata-rivincita su Grant ― è arrivata quando in campo c’erano, oltre a KD, Curry-Thompson-Iguodala e Green, ovvero i componenti del nuovo Death Lineup 2.0. Nei tre minuti in cui sono stati in campo i Thunder non sono riusciti a fare neanche un canestro, chiudendo con un 100 tondo di NetRtg; più in generale per adesso sono stati in campo insieme per 32 minuti e i numeri sono comunque pazzeschi con gli oltre 120 punti di efficienza offensiva e i 96 scarsi di quella difensiva (NetRtg di 24.9). Se ci togliamo dalla testa i numeri dell’anno scorso ed evitiamo le (inutili) comparazioni capiamo che sono numeri straordinari.

Klay Thompson ha recuperato le sacri polveri e se Thompson tira il 50% dal campo, non c’è alcun modo in cui questa squadra possa essere arrestabile in attacco. Il giocare costantemente senza palla fa di lui un pericolo mortale perché impedisce alle difese di concentrarcisi dovendo dirottare aiuti e truppe su il duo Curry e Durant. Inoltre gli Warriors stanno iniziando a mostrare dove la loro organizzazione offensiva andrà in un prossimo futuro, continuando a ridurre il numero di pick-and-roll e aumentando quello dei tiri presi dopo un’uscita da un blocco.

La grafica delle squadre che sfruttano le uscite dai blocchi e quanto sono efficaci. Golden State gioca ad un altro sport. (Credits to Synergy Sports)

Golden State sta continuando questo processo già iniziato l’anno scorso ed è semplicemente troppo forte per poter essere arginata. Specialmente quando il Death Lineup è in campo la presenza di cinque giocatori così bravi nel tirare, passare, tagliare, e soprattutto bloccare (e questo è la vera chiave) rende impossibile poter contestare efficacemente i loro tiri. In una filosofia del divenire in cui ognuno è libero e agisce secondo un continuo movimento di palla e uomini, Steve Kerr sta implementando una sorta di panta-rei cestistico del quale è pressoché impossibile tracciarne una linea di continuità. Facciamo tre esempi delle qualità dei blocchi di Golden State.

Non funziona lo switch difensivo tra Sabonis e Westbrook e basta un passaggio di Pachulia (con il blocco di Green) per far segnare Klay Thompson.

 

Qui invece Thompson riceve in transizione e il blocco perfetto di Durant gli permette di prendersi una tripla aperta e dal palleggio.

Già di per se difendere contro gli Warriors è compito difficile, se poi ci si aggiunge la facilità con cui Golden State è in grado di costruirsi un tiro in qualunque momento della parte/in qualunque parte del campo/contro chiunque e ancora peggio di poterli costruire con questa qualità, rimanendo all’interno del oramai famoso flow del loro attacco è insostenibile per gli avversari. Per di più la presenza di Durant aggiunge un terminale pericoloso anche in isolamento, situazione che Golden State sta cavalcando di più rispetto all’anno scorso, togliendo un po’ di pressione dalle spalle di Curry.

Infine un gioca a tre tra Green (passatore), Iguodala (bloccante) e Curry (che segna da tre). Oladipo si perde Curry e Singler, bloccato da Iguodala, non può scalare su Curry. Iguodala tra l’altro che si conferma un giocatore straordinario ed elemento insostituibile (+34 di plus/minus, +70.3 di NetRtg) dello scacchiere di Kerr.

Tuttavia gli Warriors rimangono un cantiere aperto e con dei rebus da risolvere ― come proteggere meglio l’area, come gestire le rotazioni, sistemare il problema dei rimbalzi offensivi concessi ― ma dopo la partita di ieri forse si smetterà di pensare a Golden State come una squadra sottotono. Anche perché in questa analisi non è venuto fuori quasi mai il nome di Curry, e non vorrei iniziassimo già a dimenticarci chi è stato il bi-MVP delle ultime due stagioni. Ad Oklahoma dovrebbero ricordarselo bene.

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Pubblicato da
Niccolò Scarpelli

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