Categorie: Primo Piano

The Dark Side of the Game 2/8: John Brisker

Prima di Ron Ron e The Brawl in Auburn Hills, prima dei Bad Boys e delle Jordan Rules, prima. In principio era John Brisker.

San Giovanni Battista perdonerà la citazione indebita, estrapolata dal primo versetto del Vangelo di suo pungo; onta ancor più grave se si considera che il presentato con tale espediente è un uomo, il quale di evangelico ha ben poco. Di “bad ass” (slang USA per giocatori dal talento spropositato ed una innata tendenza alla prepotenza) ne è piena zeppa la storia d’America. Ecco, prendete il modello umano di cui sopra e mescolatelo ad una buona dose di cattiveria, giusto per aggiungere un po’ di Carolina Reaper alla vicenda. Ora che un’idea più chiara di chi/cosa stiamo per parlare ve la siete fatta, seguiteci sulla macchina del tempo.

credits to: “nasljerseys.com”, tramite Google

Al tramonto degli anni ‘40, Detroit era la quarta metropoli più popolosa degli Stati Uniti; le sue fabbriche automobilistiche ed il fermento lavorativo la rendevano una vera e propria bicocca del sogno americano. Ma con la deindustrializzazione post-bellica avviata dal Presidente Truman ed un esodo bianco verso le periferie più ossigenate, la città iniziò un inarrestabile declino produttivo e di appeal che portò, fra le altre cose, ad un aumento della segregazione razziale ed un’impennata vertiginosa del tasso di criminalità.

Nel quartiere nero di questa Motor City decadente, nacque nel 1947 il piccolo John Brisker. Figlio di un padre violento, che di lavoro beveva Budweiser e nel tempo libero pure, John iniziò a sviluppare istinti aggressivi sin dall’infanzia. Per implicazione, Brisker divenne un uomo indottrinato con la santa trinità dei cliché di strada: violenza, malavita e basket; in quest’ordine.

credits to: “Remember the ABA”, tramite Google

Approdò alla high school di Hamtramck nel Michigan già con la nomea di essere un affascinante afroamericano sul metro e novanta, col vizio di tenere nella borsa da allenamento solo un accendino (le sigarette le scroccava come si suol dire) e una pistola.

Sul parquet spartiva i riflettori con Rudy Tomjanovich, che è un bianco e che piuttosto del “bad ass”, giocava a fare il peacekeeper; ruolo per altro pagato a caro prezzo nel 1977, quando il pungo… pugno, il meteorite destro scagliato da Kermit Washington lo costrinse a subire tre interventi chirurgici al volto. Al liceo Brisker non si curò granché di lui, ma la sua attenzione rimase più focalizzata su di un bidello della scuola: personaggio indifeso, a cui John si compiaceva di estorcere Presidenti defunti ricorrendo a minacce da prendere per vere. In un piccolo paese come Hamtramck però, episodi di simil risma, come il talento mostrato da Brisker con l’arancia, non tardarono a diffondersi. Venne sì presto sospeso dalle lezioni, ma in un giorno del suo ultimo anno, arrivò anche puntuale la chiamata della University of Toledo, in Ohio.

Con i Rockets, Brisker non solo mise in campo classe da vendere nel forare le retine, ma giocò discretamente anche a football americano come receiver, abbastanza per venire persino contattato da alcune franchigie NFL. Mentre la fama di Batman (questo il soprannome affibbiatogli, a causa di cicatrici procurate Dio-solo-sa-dove e “grandi quanto Robin”) cresceva, s’inaspriva il suo risentimento nei confronti degli uomini bianchi. Conservate questa informazione, ci tornerà utile più tardi.

Il suo caratterino di difficile gestione, l’avere aggredito il proprio coach per cause a noi ignote e mettiamoci anche un rendimento scolastico non proprio fiorente, furono i motivi che provocarono la prematura espulsione di Brisker da Toledo, durante il terzo anno. Poco male, perché John seppe presto reinventarsi, sottoscrivendo un contratto d’ingaggio per i Pittsburgh Pipers in ABA.

credits to: “Sporting News”, tramite Google

In una categoria di agonismo esasperato, eccessi che fanno la regola e cocaina liberalizzata, Brisker si sentiva come a casa ed anche il suo gioco giovò dei benefici di questa atipica comfort-zone. Esordì in quintetto per sostituire il veterano Tom Washington e in quell’occasione, fece appuntare 42 punti, 12 rimbalzi e 0 occhi neri; un vero successo. Questa ennesima sfida vinta gli valse un posto fisso lontano dal pino ed un primo anno in cui poté rivaleggiare con Spencer Haywood per il premio di Rookie of the Year. La leggenda di John Brisker stava iniziando a prendere forma, e tutta una serie di successivi eventi che lo coinvolsero non fece altro che spianare il terreno ad un epilogo all’altezza.

Nella stagione 1970-71, Brisker veleggiava a 36.8 punti di media, dilagando per la ABA come una malattia a cui non si conosce rimedio. Arrivato a giocare contro i Dallas Chaparrals di coach Tom Nissalke, quest’ultimo mise in palio 500 USD per chi, nel corso della partita:

mi toglie di torno ‘sto Brisker

Lenny Chappell, 2.04, si candidò all’impresa. Mentre s’alzava la palla a due e Brisker teneva il mento sollevato, Lenny lasciò partire il montante a tradimento. Fuori entrambi per motivi opposti ed un nuovo odio da aggiungere a quello per l’uomo bianco, questa volta nei confronti dei Dallas Chaparrals. Tenete per buono pure questo.

Se i rapporti con l’estero erano disastrosi, anche in casa Pittsburgh le cose non è che andassero molto meglio.

Era un eccellente giocatore, ma avevi quella sensazione che, a dir qualcosa di sbagliato, potesse mettere una mano dentro la borsa, tirare fuori una pistola e spararti

Questa la definizione che dava di lui il compagno di squadra Charlie Williams. Neanche a dirlo, l’allora allenatore dei Pipers Dick Tinkham reclutò un giocatore di football solo per sedare Brisker al primo accenno di rissa sul campo. Ma tenere mansueto un pazzo scatenato come Brisker era un’impresa per pochi. L’esperimento degenerò fino allo scambio di battute:

«Se non ti calmi, sarò costretto a prendere la pistola»

«Bene. Io andrò a prendere la mia»

credits to: “Detroit Athletic”, tramite Google

Uno dei due interlocutori non bluffava e non serve che vi spieghi quale. Triplice fischio di coach Tinkham, tutti sotto la doccia e giocatore di football licenziato. La squadra era in sua totale balìa. In qugli anni, la vittima prediletta da Brisker era però Szczerbiak, Walt, il padre dell’ex stella T-Wolves. John spesso lo massacrava per i più futili motivi, tanto che il rookie arrivò a dire:

Non so perché mi prese in antipatia. Era una persona malvagia. Io ero solo un rookie che cercava di giocare duro, ma lui se la prendeva con me se la sera prima aveva fatto schifo, o anche solo se aveva i coglioni girati

Più esplicito di così…

credits to: “Remember the ABA”, tramite Google

Nella stagione 1971-72 Brisker, che era solito porsi degli obiettivi e superarli, decise di voler vincere la classifica marcatori. Ma quando gli Utah Stars arrivarono a Pittsburgh e Willie Wise costrinse Brisker a soli 4 punti nel primo tempo, al rientro dagli spogliatoi il caro John spedì il suo difensore da un chirurgo plastico per direttissima, senza prima avergli fornito nemmeno il biglietto da visita. Fu poi il turno dei Condors (non più Pipers) di andare nello Stato dei mormoni e qui, il popolo dello Utah decise di allestire uno degli eventi più sensazionali nella storia dello sport.

“John Brisker Intimidation Night”. Questo il titolo schiaffato sui volantini che vennero distribuiti ad una settimana prima del match. Di cosa si trattava? In soldoni: gli Stars avevano ingaggiato il campione di boxe Ron Lyle ed altri quattro pugili professionisti, da mettere in guantoni sui quattro lati del campo, pronti ad intervenire se Brisker avesse deciso di combinarne un’altra delle sue. John, che era sì un bad ass ma non uno stupido, per forse la prima e unica volta nella sua vita giocò pulito e l’Intimidation Night fu solo un pretesto per portare divi al palazzetto.

Alla fine della stagione 1972, si verificò nella carriera di Brisker un momento di rottura. I Condors, gravati dai debiti, furono costretti a vendere la franchigia ai Dallas Chaparrals, quelli dei 500 dollari per chi lo avesse colpito. L’ultima cosa che Brisker voleva però era giocare per loro. Chiamò dunque il proprio avvocato e tenne un colloquio armato (!) con l’executive di Pittsburgh. Morale della favola? A Brisker fu permesso di recidere il contratto ed andare nella NBA, ai Seattle Sonics.

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Giocare nella Lega si rivelò essere tutt’altro rispetto a come John lo aveva immaginato. Gli avversari adesso non lo temevano più e non si aprivano sulle sue penetrazioni come le acque del Mar Rosso. Tuttavia, al primo anno Brisker seppe mantenere la buona media di 12 a partita. Le cose cambiarono in peggio con l’assunzione a plenipotenziario del giocatore più titolato della storia: Bill Russell.

Russell, che per usare un eufemismo non amava i giocatori sopra le righe, limitò l’utilizzo di Brisker al minimo indispensabile, provocando frequenti scenate da parte del nostro uomo. Ad un allenamento John, imbottito di cocaina fin sopra i capelli, decise che per un suo compagno fosse arrivato il momento di comprare una dentiera nuova di zecca. E quando dai giocatori Brisker passò al proprio coach, Bill Russell con equilibrio shintoista gli rispose:

Stay out of my face

Fine di una carriera. Sfiduciato, odiato e pieno di rancore, in Brisker tornò a farsi sentire quel tremendo risentimento nei confronti dell’uomo bianco, che lo portò ad arruolarsi fra le fila del Black Power, la degenerazione violenta di quanto M.L. King aveva professato pacificamente fino al 1968. Entrato in affari con loro, Brisker si recò a Manrovia in Liberia, dove fondò una ditta d’import/export con l’America chiamata Dahoney (il suo secondo nome).

John tornò spesso negli States, ma nel 1978 fu per l’ultima occasione. Comunicato alla moglie di essere nei guai, grossi guai, fece su un fagotto di soldi e scappò di nuovo in Africa, questa volta in Uganda. Ecco, adesso le informazioni su di lui diventano davvero frastagliate e quanto segue è più materia da romanzo dalle tinte fortemente noir piuttosto che spezzoni di vita.

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In Uganda, a quel tempo reggeva il potere il dittatore Idi Amin, una delle personalità più feroci del secolo scorso, la cui carta d’identità riportava: autore di crimini contro l’umanità, repressione politica, stragi etniche, cannibale e appassionato di pallacanestro (che fantastico abbinamento eh?!). Brisker non diede mai più sue notizie una volta arrivato su suolo Africano e la moglie smobilitò mezza FBI per ritrovarlo; fino a quando, nel 1985, venne dichiarato legalmente morto senza che il cadavere fosse mai stato rinvenuto.

Ora, le tesi al riguardo sono tre. C’è chi pensa che Brisker sia arrivato al cospetto di Amin, per essere poi riconosciuto come spia e giustiziato di conseguenza. Altri suppongono invece che le idee di Brisker si fossero estremizzate a tal punto da aderire alla causa dittatoriale, per lasciarci le penne nel 1979, durante la rivolta scoppiata per rovesciare il regime. Infine, il meglio in coda, c’è chi sostiene che, nel mezzo della foresta equatoriale Ugandese, si aggiri un uomo di bell’aspetto, che in gioventù è stato uno sportivo e da cui è meglio girare alla larga se si è affezionati alla propria vita.

Che Brisker sia effettivamente morto o si sia semplicemente nascosto dai guai, non è dato saperlo. Di sicuro rimane a pieno titolo uno fra i più grandi talenti ad avere solo sfiorato il professionismo ed uno dei lati oscuri più cupi della nostra rubrica.

credits to: “www.marca.com”, tramite Google

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Pubblicato da
Francesco Zuppiroli

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