Basket Sound – I Lakers e lo Showtime (parte 1): Nothing But a Good Time

Aaah gli anni ’80. I favolosi anni ’80. Gli anni del boom economico, gli anni del primo personal computer, gli anni d’oro del…no, stiamo andando fuori tema. È successo così tanto in quei decenni che non basterebbero mille puntate di questa nuova rubrica chiamata Basket Sound per raccontarli tutti ma, ahinoi, il tempo è tiranno e dobbiamo fare delle scelte. Proviamo a fare un quadro molto generale però: siamo negli anni del “adesso basta, ora pensiamo a noi e a divertirci”. Basta con la pesantezza del decennio precedente, che per intenderci in Italia prendeva il nome di Anni di Piombo. Basta con la Guerra Fredda che ha terrorizzato il Mondo intero (si arriverà infatti alla caduta del Muro di Berlino nel 1989). Basta con l’atteggiamento “doom”, è ora di far sbocciare la cultura pop e glam.
Proprio Glam e Pop sono i generi che nella musica esplodono in quegli anni, portando una ventata (almeno in superficie) di spensieratezza e leggerezza. Solo in superficie però, perché sotto la coltre di sorrisi a 64 denti sbiancati ad hoc, c’è più che mai la voglia di emergere, annientare il nemico e festeggiare come non mai per il risultato ottenuto, come ci mostra Gordon Gekko nel capolavoro del 1987 Wall Street, raccontandoci la figura degli Yuppies, i giovani pronti a conquistare il mondo (illustrati anche a modo nostro dalla cricca più-che-mai-di-moda-oggi capitanata da Jerry Calà).

“Non si è mai visto un uomo d’affari che ti sorride mentre ti umilia” – semicit. ( Credits to The Blog of Many things)

Survey Time: in quale città secondo voi tutto ciò è stato amabilmente racchiuso? Ritrasferendoci velocemente alla pallacanestro, vi abbiamo già dato un indizio importante. L’accoppiata sorrisoni beffardi e voglia di stravincere vi fa venire in mente qualcuno in particolare? Magari un playmaker, uno mai visto prima, uno che in primis si vuole divertire. Niente? Ci arriveremo. Intanto vi sveliamo la location di questa puntata di Basket Sound: siamo a Los Angeles, la città degli angeli (caduti) che ingloberà lo spirito pop e glam attirando artisti di tutto il Mondo, colorandoli e pettinandoli in maniera improponibile e pompandoli di effetti speciali mai visti prima, avvalendosi anche del contributo di Hollywood e del fenomeno dei Blockbuster, i filmoni destinati a lasciare segni a modo loro indelebili nella storia del Cinema rigorosamente a base di buoni che battono il cattivo, lieto fine e tante, tante esplosioni. Hasta la vista, baby. Yppie ki yay, motherfucker.  I am your father. Rendiamo l’idea?

L’equazione è presto fatta, signori. Los Angeles + NBA elevati alla 1980 non possono che dare un solo risultato: i Lakers dello Showtime. La squadra che ha incarnato lo spirito del suo tempo, vincendo, stravincendo e facendo godere come matti, guidata da quel playmaker dentone che di effetti speciali in corpo ne aveva un bel po’ e  che ha pionieristicamente cominciato a rendere  l’NBA un fenomeno Globale, attirando i riflettori su di sé e il suo gioco spettacolare. Perché questi atleti, belli, carismatici e vincenti,come prima cosa volevano divertirsi e divertire, passare una “bella serata”, niente di più. Nothing But a Good Time, come cantavano i cotonatissimi Poison, nativi della Pennsylvania ma catturati anche loro come falene dalle luci di L.A. Per una volta, facciamo un decennio, pensiamo a divertirci.

IN PRINCIPIO ERA EARVIN JOHNSON

Ovviamente come tutte le cose c’è un inizio, un qualcosa che fa partire il fenomeno. Nel nostro caso, è stato un fenomeno a far partire un altro fenomeno. Earvin Johnson, che forse alcuni di voi conoscono con il soprannome di Magic, sbarca a Los Angeles dall’università del Michigan nel 1979 dopo aver vinto una finale NCAA già per l’epoca da antologia contro la sua nemesi, l’uomo che non lo avrebbe più mollato un attimo, colui che “la mattina si sarebbe svegliato e la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata vedere cosa aveva fatto Magic”, ovvero Larry Bird, militante negli Indiana State Sycamores. Johnson, soprannominato Magic dal giornalista Fred Stabley del  Lansing State Journal già nel  1974 quando nel suo anno da Sophomore al Liceo mise insieme 36 punti, 18 rimbalzi e 16 assist, fu scelto da Jerry West in persona come prima scelta assoluta al draft in un momento molto particolare nella storia di quei Lakers. L’ultimo titolo conquistato risaliva al 1972, quando la stella era nientemeno che Wilt “The Stilt ” Chamberlain; in pochissimo tempo Chamberlain e l’altro faro della squadra Mr. Logo si sarebbero ritirati lasciando un enorme vuoto, ottimamente colmato per quanto riguarda la posizione di centro da Kareem Abdul-Jabbar, ma nel reparto guard il piatto piangeva. Serviva uno in grado di fare da collante tra la classe sopraffina di Kareem, la tenacia fisica dello stoppatore seriale Michael Cooper e la finezza realizzativa di Jamaal “Mano di Seta” Wilkes. Serviva uno che uno facesse arrivare la palla in posti e in modi come nessuno aveva mai fatto (e visto) prima. Proviamo a predire il futuro: serviva uno che al suo primo anno tra i professionisti collezionasse 18 punti, 7.7 rimbalzi e 7.3 assist a partita e che arrivato in finale giocasse da centro perché il titolare, Jabbar, sarebbe stato infortunato. Il tutto a 21 anni ancora da compiere, in quanto parliamo di un ragazzo nato il 14 Agosto 1959. Detto fatto: 60 vittorie stagionali, NBA Finals contro i Philadelphia 76ers di Doctor J Julius Erving vinte per 4 a 2 e MVP delle finali per il giovane Magic.

Una delle poche volte in cui non sorride
(Credits to: NBA.com)

Siamo nel 1980 e sta iniziando una rivoluzione a colpi di sorrisi e melodie accattivanti. Un’avvenente giovane italo-americana conosciuta al pubblico con il nome d’arte di Madonna rompe con i Breakfast Club e si prepara a lanciare la sua nuova porzione di carriera musicale che la consacrerà da solista arrivando a pubblicare 4 anni più tardi il successo interplanetario “Like a Virgin”. Michael Jackson torna con i suoi fratelli per registrare Triumph, due anni prima di pubblicare un disco che avrà un leggerissimo successo nominato Thriller.
Band del calibro di Metallica e Mötley Crüe sono in procinto di lanciare il loro primo di una carriera leggendaria, rispettivamente Kill’Em All e Too Fast For Love. John e Yoko, dopo aver tentato di far ragionare il Mondo cantando Imagine, si separano a causa dell’insensato omicidio di Lennon per mano di un suo fan; d’altro canto solo la Morte poteva spezzare il loro potentissimo amore. Ozzy Osbourne, dopo anni passati non si sa bene dove a seguito dello split dai Black Sabbath, pubblica Blizzard of Ozz, primo album da solista assieme al talentuoso chitarrista Randy Rhoads, anche lui compianto nel giro di due anni.
Prince cambia rotta andando ad assaggiare un po’ di rock mescolandolo alle sue uniche sonorità e pubblicando l’album provocatore Dirty Mind.
Potremmo andare avanti all’infinito dato che la produzione di materiale è stata enorme con una miriade esagerata di singoli pubblicati, alcuni con lo scopo di mettere un artista definitivamente sulla mappa, alcuni invece con la funzione di essere solo un episodio fugace come una notte d’amore estiva (entrambe immagini iconiche degli Eighties); Call Me dei Blondie, Banana Republic dei The Boomtown Rats, Celebration dei Kool and the Gang, Flash dei Queen, Living After Midnight dei Judas Priest, Click Click degli English Beat, Dog Eat Dog degli Adam and the Ants, Turn It On Again dei Genesis.
 Magic e i Lakers erano pronti ad essere protagonisti del decennio più folkloristico del secolo scorso. Ma per una notte ancora, la notte in cui Magic conquista il primo titolo con 42 punti, 15 rimbalzi, 7 assist e 3 palle rubate, lasciamoli celebrare.

VENGHINO SIGNORI VENGHINO, SI APRONO LE DANZE!

Ricapitolando: i Lakers nel 1979 vengono acquistati dal magnate col vizio del poker Jerry Buss che chiede una e una sola cosa: la squadra deve essere divertente. Deve giocare in up-tempo, veloce, colpire con uno-due micidiali e non lasciare respirare gli avversari. Arriva Magic ed è subito titolo; in panchina siede Paul Westhead, l’uomo che mise le basi del periodo d’oro in L.A. assieme al vice, un certo Pat Riley.

L’anno successivo c’è troppa Houston e troppo Moses Malone per la spumeggiante Los Angels , con i Rockets che li eliminano al primo turno andando poi a vincere il titolo contro i Boston Celtics. Buss decide che è il momento di accelerare ancora di più il tutto e promuove Pat Riley come capo allenatore. Nasce una sorta di patto tra i due, come tra un produttore ed un regista, o visto il contesto in cui siamo, tra il proprietario di una casa discografica e l’artista: tu dammi più velocità, dammi i contropiedi, dammi i no -look e gli sky-hook, al “resto” ci penso. E Buss ci pensa davvero al resto: rende le partite dei suoi Lakers una vera e propria esperienza per gli spettatori. Introduce mini-spettacoli di ballerine e ballerini durante i time-out e l’intervallo (qualcuno di voi ricorda l’ottimo Dancing Barry? No? Ci pensiamo noi…), porta i VIP Hollywoodiani, capitanati dall’Always Purple and Gold Jack Nicholson, al Great Western Forum, avvolge con un’illuminazione mai vista prima i fan che, piacevolmente disorientati, non sanno più a chi rivolgere i loro occhi, se ai giocatori, alle Cheerleader o agli attori che per una volta sono semplici tifosi come loro.

E i Lakers partono per non fermarsi più, o meglio non troppo. Arrivano Kurt Rambis prima, James Worthy e  Byron Scott poi, infine A.C. Green; mano a mano si forma il nucleo della squadra più spettacolare di tutti i tempi. Come tutte le grandi cose, spesso alla base c’è la semplicità e lo schema principe degli interpreti dello Showtime era, almeno per come lo portavano a compimento, semplicissimo: stoppata di Cooper, uno dei migliori di sempre in questa specialità, o  rimbalzo dei big men Rambis/Green (ma non disdegnavano né Magic né Jabbar), outlet pass per Johnson che deliziava il pubblico nel 90, anzi facciamo 80 per fare i simpatici, percento delle volte con un passaggio no-look, Kareem – come prima opzione, Cooper e Scott finalizzavano, spesso con schiacciate volte ad infiammare l’arena o nel caso del primo, con l’iconico sky hook.
In un clima carnevalesco nel senso più positivo del termine bastava poco ad MJ32 per ottenere la ricetta del successo: vi faccio guardare a destra, per poi farvi credere che passi la palla a sinistra ma no, poveri sciocchi, la passo dietro di me. Soddisfatti?

HERE WE GO AGAIN

Anni di grazia 1981 – 1985. 4 campionati, 4 apparizioni nelle Finals di cui due conquistate, rispettivamente nel 1982 ancora contro i Sixers (e ancora MVP delle Finali a Magic) e nel 1985 contro i Boston Celtics di quel Larry Bird di cui sopra. Teniamo buono l’asse LA- Boston, ci tornerà utile.
Los Angeles è sul tetto del mondo e brilla di una doppia luce, la luce propria di una città che è al centro della nuova cultura pop che spopola nel Mondo, e la luce riflessa dell’era Reganiana, l’era dove un ex attore è diventato Presidente della Nazione più potente del Pianeta (ogni riferimento ai tempi moderni è veramente e al 100% puramente casuale) ed ha incoronato L.A. come capitale glam degli USA.
La colonna sonora è la più vasta e ricca che ci sia: Michael Jackson è il Re indiscusso della scena musicale grazie al già citato Thriller. La magnifica poliedricità di Jackson che riesce ad unire i giri di basso funky tipici del decennio precedente, un rullante di batteria profondo come l’Oceano Pacifico, la sua voce dolce e tagliente allo stesso tempo e una coreografia eccezionale può dare un solo risultato, ovvero l’album più venduto di tutti i tempi.
Il rock si slega da tematiche cupe e ed esoteriche ed affronta temi più leggeri, sonorità aperte e voci aggraziate che esortano i giovani degli anni 80 ad andare alla ricerca di avventure e piaceri la maggior parte delle volte di origine sessuale: i Van Halen, nel loro disco 1984, ci narrano di come una certa insegnate sia leggermente troppo sexy per gli ormoni impazziti di quegli anni, osando con la hit Hot For the Teacher.
Band come Ratt, Warrant, Cinderella, i già citati Poison e Mötley Crüe, Winger, Hanoi Rocks danno vita all’Hair Metal, un hard rock fattosi più furbo e più avvolgente che farà le fortune delle  case discografiche raccontando essenzialmente due cose: la libido che crescente a livelli esponenziali e l’utilizzo di sostante stupefacenti come propulsore accattivante e trasgressivo poiché vietato, informazione quest’ultima recepita con tanti ringraziamenti da un Patron colombiano che in quegli anni inonderà, o meglio inneverà, gli Stati Uniti con una polverina bianca simile al Talco, ma che non lo è.  Nota a margine: nel 1985, in mezzo a questo mare musicale, non si erano ancora affermati i Guns ‘n’ Roses che da li a poco avrebbero dato il definitivo colpo del KO alle inibizioni con Appetite for Destrutcion.

I Crüe e le loro acconciature: capite ora il termine “Hair Metal”?
(Credits to – manco a farlo apposta – menshairforum.com)

Ma non solo i maschiacci vogliono divertirsi.  Anche le ragazze, come afferma Cyndi Lauper riprendendo i temi affrontati nei moti di ribellione culminati con la Woodstock del ’69 (ma con molta più leggerezza), vogliono dire la loro, o meglio, just wanna have fun.
E poi c’è l’esercito di hit che non permette a nessuno di riposarsi un attimo in un Mondo che ha deciso di non dormire più: Rythm of the Night di De Barge, Things Can Only Get Better di Howard Jones, The Heat is on Video di Glen Grey e migliaia di altre canzoni con il semplice ruolo se non quello di poter dire “anche noi vogliamo partecipare alla festa” costellano il panorama musicale della prima metà degli 80’s.
Il sogno americano è più forte che mai, gli USA si sentono imbattibili come Rocky e proprio dal connubio Rocky + James Brown ci viene urlato quanto fosse soddisfacente e succulento vivere negli USA di quegli anni. Perché confessiamolo: tutti abbiamo fatto un pensierino e sperimentato la voglia di Vivere in America…

Ma non abbiamo ancora visto niente, o quantomeno non tutto. Già perché siamo a metà di un percorso talmente ampio che dobbiamo dividerlo in due. C’è ancora molto altro da dire e da ascoltare. Ci sono i Lakers contro i Celtics, nella rivalità simbolo degli anni ’80 ripresa direttamente, come molte cose di quel decennio, dagli anni ’60 dove i bostoniani erano i padroni della Lega. C’è Magic contro Larry, in un duello che vede due modi opposti di vedere il Basket e il Mondo collidere senza esclusione di colpi. E come in ogni favola che sembrava destinata a durare per sempre, arrivano quelli che impongono la parola Fine. Sono 3 i colpevoli in questione: i Cattivi Ragazzi provenienti da Detroit (l’opposto che più opposto non si può alla Los Angeles di quegli anni); un Extra-Terrestre di quelli che non telefona a casa ma che proveniente dalla North Carolina e insediato a Chicago si mangerà l’NBA negli anni ’90; e infine il più infido di tutti, un Virus, la più squallida forma di rappresentazione biologica che in una sua variante particolare comincerà a terrorizzare il Pianeta e proverà a cancellare il Sorriso più bello della Pallacanestro.

Ma non è questo il momento di intristirci, perché come anticipato c’è molto da scoprire anche e soprattutto in ambito musicale. Arrivano i Guns ‘n’ Roses; riemergono in pompa magna gli Aereosmith; i Queen conquistano Wembley in quello che forse è il concerto del secolo; Michael Jackson diventa Bad mentre Madonna e Bon Jovi ci aiutano con le loro Preghiere; gli Europe ci guidano verso il Final Countdown. 

Se vi siete divertiti fino  a questo punto non ci resta che darvi appuntamento alla prossima settimana lasciandovi con un consiglio: state attenti là fuori, che dal 1987 c’è un nuovo criminale in circolazione…

P.S. Un ringraziamento speciale per la collaborazione agli ottimi Simone Simeoni e Elia Pasini.

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Pubblicato da
Simone Maccari

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