Basket Sound – I Lakers e lo Showtime (parte 2): Welcome To The Jungle

Dove eravamo rimasti? Lungi da noi scomodare Enzo Tortora che con questa frase inaugurò il suo sacrosanto ritorno in TV dopo il processo farsa nei suoi confronti. Semplicemente dobbiamo rituffarci senza indugi in quella che fu la rivalità cestistica per eccellenza degli anni ’80: Lakers contro Celtics, Magic contro Larry.

È proprio vero che gli opposti si attraggono e nel nostro caso spesso si ritrovano in finale: i giallo viola spumeggianti contro i determinati e concreti verdi si affrontarono nelle Finals per ben 3 volte, nel 1984, 1985 e 1987: questi sono solo gli “incroci di fuoco” tra di loro, in quanto le Finali erano ormai un marchio di proprietà condiviso tra Lakers e Celtics, con i californiani in finale anche nell’ 1988 e e1989 ed i rappresentanti del Massachussets nell’86.

The Kids Are Back: usando le parole dei  Twisted Sister guidati dal mai banale Dee Snider accogliamo nuovamente la Guerra per la supremazia tra Los Angeles e Boston a due decadi anni di distanza dalle scintille sotto canestro tra Russell e Chamberlain e la conquista del titolo di Re delle point guard tra Cousy e West.
Già perché ritornano tutti. Ritornano i contropiedi fulminei e le schiacciate dei Lakers, ritornano i Celtics guidati da “DJ” Dennis Johnson, Robert Parish e dalla leadership silenziosa (ma non troppo) e letale di Larry Bird. Ritorniamo noi nei caotici ma divertenti Eighties. 

Partiamo con una breve rincorsa rispetto a dove abbiamo concluso: il primo Clash of the Titans tra le parti sotto esame avviene nel 1984. I Celtics e i Lakers vincono la loro rispettiva Conference, con ben 62 vittorie i verdi e 54 i giallo-viola. Bird vince il trofeo di MVP della regular season, Magic è primo nella classifica relativa agli assist a partita. Deciso, metodico, di pochi sorrisi e poche parole (ma quelle poche caratterizzeranno il suo unico trash talking) Bird,; fantasioso, innovatore e sempre allegro Johnson. I due si ritrovano per la prima volta da quella famosa finale di NCAA dove trionfò Johnson portandosi a casa, in un’immagine storica, la retina del canestro; ed è subito una finale da fuochi d’artificio.
La spunterà Larry questa volta prendendosi la prima rivincita sul rivale, che nel corso degli anni diventerà uno dei suoi migliori amici, con i taccuini di tutto il mondo che alla fine di Gara 7 diranno che sono i Celtics i campioni NBA 1983-84 per 4 a 3. 7 gare in cui è successo di tutto: in Gara 2 Worthy perde palla su un recupero di Gerald Henderson che segnerà il layup decisivo a 13 secondi dalla fine in overtime; in Gara 3 Magic stabilirà il record di assist in una finale, ben 21; e per finire il momento più iconico, ovvero il jumper di Bird marcato proprio da Magic in gara 4 a 16 secondi dalla fine.

Anno successivo, stesso copione: Magic contro Bird, parte seconda. La serie comincia con il Massacro del Memorial Day ovvero i Celtics si aggiudicano Gara 1 con lo stravolgente risultato di 148 a 114. Ma da qui Magic e Kareem innestano la quinta, sorridendo di meno ed anzi diventando aggressivi come non mai e creando il primo fenomeno di “coppia indissolubile” nell’NBA (curioso come in Utah stavano per sbocciare Stockton e Malone, due che grazie all’intesa di coppia avrebbero fatto vedere qualcosina). Jabbar (MVP delle finali) e i Lakers battono i Celtics 4 a 2 e diventano la prima squadra a conquistare un titolo al Boston Garden; ma è solo l’inizio, non è un sequel volto a bilanciare gli esiti della prima uscita, è una saga destinata a segnare per sempre la storia del Gioco.

La bomba ormai è lanciata anche in campo musicale, fin qui tralasciato per poter riprendere il nostro percorso. Se  prima avevamo detto che Michael Jackson è diventato il Re “Cattivo” della Musica, ora è il momento più alto della Regina per eccellenza, i Queen che mettendo insieme un sound squisitamente rock’n’roll grazie alla chitarra inconfondibile di Brian May e la voce semplicemente divina di Freddie Mercury conquisteranno il trono più importante d’Inghilterra, ovvero lo stadio di Wembley in un concerto surreale che li incoronerà definitivamente come una delle più grandi realtà musicali della Storia.
Come Larry e Magic, padroni assoluti, ci dicono ciò che hanno fatto da sempre e cosa hanno intenzione di continuare a fare dall’alto della loro magnificenza: ci sconvolgono, rendono i fan impotenti capaci solo di poter ammirare attoniti. They will rock us.

1987: probabilmente il picco più alto raggiunto sotto tutti i punti di vista. Gli L.A. Lakers sono al massimo dello splendore, veloci, creativi, seguitissimi e odiatissimi allo stesso tempo. Magic è l’MVP della reagular con una doppia doppia di media, 23.9 punti e la bellezza di 12.2 assist a partita; Michael Cooper è il Defensive Player of the Year; il 40enne Kareem Abdul-Jabbar viene da un periodo d’oro (nella passata stagione è riuscito ad andare ancora oltre i 40 punti per ben due occasioni) ed è in grado di mettere cifre interessanti.
I Lakers sono al massimo e farne le spese, come fosse un avvertimento, sono i Sacramento Kings che nel 4 Febbraio 1987 stabiliscono un clamoroso record negativo perdendo il primo quartocon il risultato di 40 a 4: una cosa mai vista prima.
I Losangelini arrivano alla finale dei playoffs perdendo una sola partita contro Golden State al secondo turno dopo aver eliminato Denver 3 a 0 e sweepando Seattle alle Conference Finals, attendendo il quasi scontato finalista proveniente dall’Est.
Finalista che non si fa attendere e che non sorprende: sono ovviamente i Boston Celtics di Larry Bird, campioni uscenti vittoriosi sugli Houston Rockets del Sogno Africano Hakeem Olajuwon. Larry interrompe la sua striscia vincente di MVP della Regular che vince di seguito dal 1984, ma è comunque nell’NBA First Team anche lui in doppia doppia di media, con oltre 20 punti e 10 rimbalzi a partita. Boston arriva alle  Finals con un più fatica eliminando Chicaco, Milwaukee e Detroit ma pronta a battagliare ancora con i rivali di sempre.

Il 1987 tocca vette musicali elevatissime: come abbondantemente preannunciato Michael Jackson rilascia il suo secondo capolavoro Bad, primo album in studio dopo Thriller con 5 singoli estratti tutti finiti al primo posto (record tuttora imbattuto) tra cui la title track e Smooth Criminal. Madonna pubblica Who’s That Girl, album che accompagnerà anche il suo starring nel film dal medesimo nome. Bon Jovi e la sua Preghiera raggiungono vette più alte del Paradiso. Rick Astley rilascia una canzone diventata virale anni dopo sulla maggior parte dei video trolling: Never Gonna Give You Up. Gli Aereosmith ripiombano sulla scena con un frizzante Permanent Vacation, album contenente le hit Angel, Rag Doll e Dude (Looks like a Lady) con quest’ultima che 6 anni più tardi farà da colonna sonora ad un film che ha segnato l’infanzia di molti di noi: Mrs. Doubtfire con lo stratosferico Robin Williams.
E ancora, Aretha Franklin è la prima donna introdotta nella Rock and Roll Hall of Fame; Sonny Bono e Cher si riuniscono per una puntata del Saturday Night Live; Nikki Sixx va in overdose di eroina e muore fondamentalmente per qualche istante prima di venire rianimato attraverso due iniezioni di adrenalina in stile Pulp Fiction (si inietterà nuovamente eroina la sera stessa a casa sua).
Per concludere, nel 1987 arrivano prepotentemente sulla scena Slash e Axl: i Guns ‘n’ Roses rilasciano Appetite For Destruction, un album diretto, “grezzo” ma incredibilmente energico, con la voce graffiante dell’istrionico frontman che si sposa perfettamente con la chitarra del capelluto collega, entrambe così diverse e trancianti con il Rock ‘n’ Roll tipico degli Eighties. Le hit tratte dall’album non hanno bisogno di introduzione: Paradise City e Sweet Child O’Mine portarono AFD al primo posto della Billboard 200 con un totale di 30 milioni and counting di copie vendute.
Ma siccome l’ultima finale tra Magic e Larry sta per iniziare, signori, vi diamo il benvenuto allo spettacolo finale. Benvenuti nel 1987. Benvenuti in guerra. Benvenuti all’apice della post season, nell’anno di grazia in cui hanno preso parte al campionato 20 futuri Hall of Famer. Benvenuti nella Giungla.

Si parte al Forum, in casa dei Lakers: con una prestazione mostruosa di James Worthy che riceve la maggior parte dei 13 assist (più 29 punti) di Magic Johnson, i gialloviola si portano a casa Gara 1 con il risultato di 126 a 113, non bastano i 32 punti col 56% dal campo di Bird e i 13 assist di Dennis Johnson.
Gara 2 ancora in California: Kareem colleziona 23 punti (ricordiamo a 40 anni), Magic di punti ne fa 22 ma rilascia ben 20 assist, Michael Cooper fa la gara della vita e i Lakers vanno sul 2 a 0. Il 32 gialloviola fa impazzire i Celtics con passaggi di ogni tipo e ancora una volta le ottime prestazioni di Bird (23 punti  e  10 rimbalzi), Robert Parish (17 e 14) e Kevin McHale (20 punti) non sono abbastanza; Boston rincorre con affanno, Los Angeles pattina e vince Gara 2 141 a 122.
Nella terza Gara, la prima al Boston Garden, si sbloccano i Celtics che puntano la bandierina sulla serie e accorciano sul 2 a 1. Bird è eccezionale con 30 punti e 12 rimbalzi, ma gli eroi sono Parish e McHale: il primo, seppur limitato da un problema di falli, annulla il vecchio Kareem catturando 9 rimbalzi in soli 20 minuti di gioco, il secondo taglia dalla partita Worthy aggiungendo 21 punti e 10 rimbalzi. Magic sfiora la tripla doppia ma niente da fare: i Celtics stanno prendendo le misure, serve un qualcosa di ulteriomente innovativo e e maggiormente efficace.

E il momento clou arriva in Gara 4. Come ha fatto capire Boston vuole invertire la tendenza ed è infatti al comando per tutta la partita e all’inizio del quarto quarto conduce 85 a 78. Bird leggermente tardivo fornisce il suo contributo, i Lakers faticano a trovare la via del canestro; stanno per cadere e sanno che se perdono qui, perdono la serie.
Pochi secondi dal termine, Boston avanti 106 a 105 dopo la tripla, ovviamente, di Larry Bird. Lakers in time-out, Magic fa un segno eloquente: “Calma”. Si torna in campo, Johnson riceve vicino alla linea di fondo, DJ cambia e lascia McHale a marcarlo; Magic esita, pensa a un passaggio dei suoi, il tempo scorre, penetra…e rilascia un gancio cielo, dolcissimo, tenerissimo che si infila nel canestro. 107 a 106 Lakers. Magic prende il colpo tipico di un centro, del suo centro Abdul-Jabbar, lo riadatta e ne crea la sua versione: è un gancino, il Baby Hook, un gesto appena partorito che evidenzia la grandezza del giocatore che è ed è sempre stato.
I Lakers vincono le Finals qui: la serie finirà 4 a 2, ma è il Baby Hook il momento che definisce la Finale. I Celtics, tremendamente concreti e determinanti hanno spinto i Lakers al loro massimo tanto da dover far reinventare le giocate di Johnson che risponde con un colpo tirato fuori dal meraviglioso cilindro che è la sua testa: siamo all’apice, al sublime assoluto, niente sarà più lo stesso fino ad un certo tiro rilasciato 11 anni dopo in Utah da un giocatore di Chicago.

 

Dalla Giungla al Paradiso, dai sorrisi alla cattiveria (agonistica si intende), Magic Johnson fabbrica un nuovo gesto proprio come il suo pari musicale MJ, il Baby Hook come il Front Lean; e senza girarci ulteriormente intorno è il momento di sottolineare come entrambi i Michael (sebbene il terzo che esploderà non sarà da meno) possano essere davvero Bad:

E come ogni cosa bella, arriva il momento in cui il sipario comincia lentamente a calare.
Ci avevano avvisato gli Europe con il loro Final Countdown, ci avevano malinconicamente preparato i Crüe con la ballad Home Sweet Home, ci avevano consigliato di cominciare ad andare avanti gli U2 con With or Without You.

Il relax e il divertimento sfrenato degli anni ’80 e di quei Lakers simbolo e padroni del loro tempo, capaci di ottenere i massimi risultati nella maniera più enjoying possibile saranno lentamente smantellati da realtà più dure, meno inclini allo svago e alla leggerezza ma tremendamente decise.
Arrivano i Bad Boys dal tetro Michigan, precisamente da Detroit. Gente che picchia duro. Gente che non ha tempo per i no look e i passaggi dietro la schiena. Gente che ai sorrisi di Magic risponde con gomitate alle tempie.

Credits to: Pinterest.com

I Detroit Pistons del piccolo genio sfacciatamente ribelle Isiah Thomas, Joe Dumars, Bill Laimbeer e Dennis Rodman si imposero presto nella realtà NBA con le loro cattive maniere ma il loro gioco compatto, tosto e vincente. Nessun sorriso, nessuna parola incoraggiamento anzi dichiarazioni di guerra aperte e senza mezzi termini.
“Se Larry Bird fosse nero, non sarebbe così speciale”. Sentenzia Rodman, ribadisce tra le righe il Piccolo Diavolo Isiah Thomas. Più chiaro di così si muore: la tendenza sta per essere invertita. Sono affamati , sono arrabbiati, non hanno vissuto la Los Angeles libertina di quegli anni, ma la Detroit abbandonata e costretta a sopravvivere con ogni mezzo, posta sulla mappa dall’unica realtà (aziendale e non) importante della città, ovvero la General Motors: non proprio paragonabile a Hollywood e al contesto di riferimento.

Il primo scontro arriva nelle Finals 1988. Magic e i suoi la spuntano ancora per 4 a 3. Worhty è MVP delle Finali, Isiah Thomas,infortunatosi seriamente ad una caviglia, non è riuscito ad esprimersi al meglio. Ma la squadra californiana avverte quella sensazione di pancia piena ed i Bad Boys, seppur sconfitti, hanno osservato, imparato e capito come rompere l’incantesimo di L.A. Dulcis in fundo: Kareem è al suo canto del cigno, ha soltanto una stagione davanti prima del ritiro.
E l’anno successivo arriva la conferma. Stessa finale, stessi interpreti, Isiah sano ma risultato clamorosamente diverso: 4 a 0 Pistons.

È una lenta e dolce discesa quella dei Lakers dello Showtime, non una caduta rovinosa ma come un dolce sonno che gli accompagna lentamente al prossimo step successivo. Michael Jordan e i Bulls si presentano difronte a Magic alle Finals del  91 come fossero un Morfeo che con la sua divinità cestistica rilascia la sua magica polverina soporifera sui californiani, pronti a prendersi tutta la Lega sulle spalle e a lasciare una Legacy gargantuesca. Da MJ 32 a MJ 23, da Pat a Phil, da Ovest ad Est: una torcia pronta a passare di mano.
Ma come ogni volte che si chiude gli occhi, c’è buona possibilità di fare degli incubi: e l’incubo avvolge Magic poche settimane dopo la sconfitta per mano di MJ.
Preseason 1991,  i test medici di routine danno una risposta sconvolgente. Magic Johnson aveva contratto il virus dell’HIV. Scioccante, scioccato Magic, scioccati tutti i tifosi di pallacanestro nel mondo che davano per scontata l’imminente morte di Johnson, playmaker di 2 metri che aveva illuminato l’NBA con le sue giocate mirabolanti. 7 novembre 1991: Magic Johnson annuncia la sua sieropositività al mondo e il suo ritiro dalla pallacanestro giocata. That’s it, ladies and gentleman. È tutto finito.

L’annuncio del ritiro.
Credits to: ballislife.com

E invece no. Magic, come fosse tutto un brutto sogno per l’appunto, si alza, si sveglia e va avanti con la sua vita rendendola stratosferica e non lasciandosi mai abbattere. Tornerà a giocare, vincerà persino le Olimpiadi con il Dream Team nel 1992 e diventerà un imprenditore di successo. Larry Bird non lo abbandonerà mai, addirittura sarà uno dei primi a sapere della diagnosi infame.

I Lakers dello Showtime e tutto il resto dello degli anni ’80 compreso il panorama musicale .andranno dolcemente in letargo.
Come dopo una vacanza duranta un decennio, lentamente tutto prenderà una nuova direzione.
Via le capigliature cotonate e il trucco eccessivo. Via il sound spensierato, aperto, avvolgente dell’era glam, con le principali band del genere che andranno verso periodi di crisi e/o forti cambiamenti: dai Kiss agli stessi Guns, dai Crüe ai Poison, dai Def Leppard ai Twisted Sister, dai Mr.Big ai White Lion, si arriverà un cambio drastico del proprio sound, il loro look e in certi casi la loro line up.  Freddie Mercury non vincerà la sua battaglia con l’HIV, lasciando un vuoto ad oggi incolmabile. Arriverà il grunge che prenderà l’esplosività espressiva degli 80’s e la interiorizzerà in maniera assoluta.
 Le pop star battaglieranno a lungo con un nuovo fenomeno canoro, le Boy Band.
Il Re e la Dea Jackson e Madonna rallenteranno la loro produzione tentando di uniformarsi con i nuovi anni ’90. Il pop intero, svuotato dal basso corposo, della batteria ritmicamente allegra e le tastiere di Sandy Marton e della sua People From Ibiza sarà riempito di nuove sonorità e nuovi strumenti.
I Lakers e gli anni 80 musicalmente e non andranno in pensione, direttamente nell’Olimpo dei grandi: saranno citati, osannati e nostalgicamente ricordati come uno dei periodi più grandiosi e divertenti dello sport, della musica e della Storia.

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Pubblicato da
Simone Maccari

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