Jordan Clarkson è uno dei giocatori più interessanti nel roster dei Los Angeles Lakers: non è un playmaker puro, non è una guardia tiratrice, ma è un esterno che è dotato di un buon tiro da fuori e soprattutto di un’ottima capacità di penetrare andando a segnare nel pitturato. Uno con le sue qualità potrebbe giocare in quintetto in tante squadre della Lega ma nella sua parte dalla panchina.
Motivo: Luke Walton lo vede meglio nella second unit con la sua capacità di aggredire la partita e dare vigore all’attacco quando i titolari vanno a riposarsi. Secondo il neo coach dei gialloviola, Clarkson ha tutte le carte in regola per poter vincere il premio di Sixth Man of the Year. Un attestato di stima importante da parte dell’ex assistente allenatore dei Golden State Warriors verso il suo numero 6, stima reciproca come confermato da Clarkson nella breve dichiarazione rilasciata a Bill Oram dell’Orange County Register.
Mi trovo molto bene col coach e abbiamo un rapporto ottimo. Quando mi ha proposto di partire da sesto uomo, non ho avuto dubbi: lui conosce molto bene l’NBA e sa quello che è meglio per tutti. Farei di tutto per lui, giocherei persino centro se me lo chiedesse.
Una vera e propria fiducia incondizionata quella riposta da Clarkson in Walton, che in pochi mesi ha saputo ricompattare una squadra giovane ma sfiduciata dalle 17 vittorie stagionali nell’ultima annata ed è stato capace di darle un’impronta sia a livello cestistico sia a livello comportamentale. Walton ha solo 36 anni, un anno più vecchio di José Calderon e addirittura un anno più giovane di Metta World Peace, ma ha creato fin da subito un codice con regole chiare e linee guida da seguire all’interno del gruppo con discreti risultati finora.
I Lakers, con maggiore continuità di rendimento, potrebbero anche lottare fino alla fine della regular season per un posto nei Playoffs ma in fondo Walton un piccolo traguardo l’ha già raggiunto: è entrato nel cuore dei suoi ragazzi che per lui, vedi Clarkson, si getterebbero nel fuoco o farebbero qualsiasi cosa. Merito del suo carisma silenzioso ma evidente, il che lo rende un predestinato della panchina.