Esperimento
Era il lontano 2007 quando, un pomeriggio, in Italia, esordiva l’ennesimo telefilm americano per ragazzi di dubbia qualità, ovviamente su Italia 1. Il telefilm in questione si intitola Kyle XY e parla di un ragazzo, senza ombelico, trovato nudo nel bosco, senza memoria, che viene accolto da una famiglia media americana in uno di quegli slanci di bontà infinita che abbiamo imparato a conoscere attraverso il flusso continuo di produzioni televisive a stelle e strisce che ci invade quotidianamente. La prima notte in cui viene ospitato in casa la famiglia viene svegliata dai rumori provenienti dal salotto, dove trova il ragazzo sconosciuto, in pigiama, che guarda affascinato Bruce Lee e riproduce all’istante le mosse di arti marziali e parla in cinese. Andando avanti nel telefilm si scoprirà che lui è una sorta di esperimento, un clone fatto in laboratorio. Per chi volesse approfondire potete trovare l’episodio qui
Questa lunga premessa su un telefilm semi-sconosciuto serve per fare capire come ci si può stupire quando un ragazzone di 2.13m, nato in Camerun nel 1994, draftato due anni fa ma ancora rookie a causa di una serie di infortuni seri, entra per la prima volta sul parquet ed inizia a danzare ridicolizzando i difensori della lega oppure si permette di cancellare una transizione del Re, anche se con un decimo di secondo di ritardo.
Nel suo unico anno a Kansas, dopo esamineremo come quello fosse solo il terzo anno in cui giocasse seriamente a pallacanestro, tutti, ma proprio tutti, hanno scomodato un nome di un certo rilievo per fare il paragone con un giocatore del passato che tutti, ma proprio tutti, i prospetti più interessanti devono avere: Hakeem “The Dream” Olajuwon. Sarà perché è africano, sarà perché ha una coordinazione assurda per un corpo del genere, sarà perché studiava i movimenti i post sui video dell’ex Rockets già in Africa ma tale paragone è uno dei più azzeccati degli ultimi anni. Hinkie, con cui ha vissuto in simbiosi in questi due anni di purgatorio, ha a più riprese sottolineato come ad ogni partita che guardavano insieme la sua comprensione del gioco crescesse esponenzialmente.
Facciamo un riassunto, il ragazzo:
* Tira “discretamente da 3
* Non è male nemmeno dalla media
* Ha buoni fondamentali sotto canestro
Non può essere umano, deve per forza essere stato realizzato a tavolino in laboratorio per dominare.
Processo di crescita
Joel poteva rimanere una figura mitologica, un lungo dominante in entrambe le metà campo, sotto i ferri di tutti gli USA e dall’arco dei 7.25, perché ha dovuto conoscere altri ferri per la stessa frattura da stress dell’osso navicolare del piede destro per ben due volte. Ci sono stati numerosi rumors di come non stesse prendendo seriamente la riabilitazione e come rischiasse di bruciarsi uno dei talenti più splendenti che abbia mai calcato un campo NBA.
#TheProcess, come si è autodefinito incarnando a meraviglia la filosofia hinkiana, da lui stesso incensato come “il più grande di sempre”, ha dovuto guardare per due anni i suoi 76ers al fianco del GM che ha sempre creduto in lui, lavorando sodo in palestra per trasformare la sua parte superiore del corpo in una macchina da guerra, e trovando in Twitter un passatempo che lo ha ben presto trasformato in un idolo del web. Ma anche di questo parleremo più avanti.
Embiid, come accennato in precedenza, nasce in Camerun, a Yaoundé, il 13 marzo 1994 e fino all’età di 16 anni non si occupa mai seriamente del suo talento cestistico. Anzi, con i suoi 2 metri e 13 cm, era convinto di riuscire a sfondare nel calcio come un gran bel centrocampista. Il suo scopritore è il quinto incomodo dei Clippers, Luc Mbah a Moute, che ormai da molto tempo organizza dei camp nel suo paese per dare una speranza di vita migliore ai più talentuosi. Ad uno di questi camp partecipa anche Joel, che stupisce tutti e si guadagna un biglietto di sola andata per gli States, finendo alla Montverde Accademy, eccellente scuola liceale. A questo punto della storia il nostro eroe ha 16 anni e gioca a basket da circa due mesi.
L’impatto, ovviamente, è troppo duro per un novizio del gioco e non trova spazio in uno dei migliori roster liceali, decidendo di fare le valigie e di trasferirsi alla Rock School dove fa vedere tutto il suo potenziale guadagnandosi la chiamata dei Kansas Jayhawks e di coach Bill Self. Tutti, lui compreso, sono convinti che al college abbia bisogno di molto tempo per ambientarsi e per farsi notare come un giocatore potenzialmente dominante ma, ancora una volta, le sue capacità di apprendimento sono straordinarie e in sole 28 partite disputate fa innamorare tutti gli scout NBA. Trascina Kansas al torneo NCAA ma per problemi alla schiena è costretto a saltarlo, insieme a praticamente tutti i workout NBA dato che al primo, quello con i Cleveland Cavaliers, subisce la frattura dell’osso del piede.
Con l’etichetta di giocatore fragile viene passato sia dai Cavs, che con la pick #1 prendono Andrew Wiggins, sia dai Bucks, che alla #2 decidono di puntare su Jabari Parker. Embiid, quasi certamente la scelta numero uno in un mondo parallelo in cui è sano come un pesce, scivola fino alla #3 che è in mano a Phila. Siamo nel 2014 ed i 76ers sono guidati da Sam Hinkie in un accaparramento abulico di scelte al Draft e stagioni regolari trascorse in un tanking senza soluzione di continuità. Potenzialmente devastante, con un anno ai box assicurato, una squadra che ha come unico obbiettivo quello di assicurarsi nuovamente la pick #1. In quale mondo Hinkie poteva non accettare questa scommessa?
Credits to: The Morning Call via Google
Farsi conoscere
Per noi italiani forse Embiid è una sorpresa, catalogato come uno dei tanti che ha avuto una possibilità ma che per sfortuna mista a destino non ha potuto coglierla, e ci stiamo stupendo per l’impatto che sta avendo sul campo dopo un periodo di stop forzato così lungo. Per il popolo social americano non è così. Nei due anni in cui è stato costretto ai box ha lavorato sulla sua immagine e sulla sua popolarità via Twitter, diventando uno dei più seguiti e incrementando ulteriormente l’hype attorno a sè, aggiungendo alle potenzialità tecniche e atletiche fuori dal comune una personalità strabordante.
Prima di rifilargli quella clamorosa stoppata al loro primo incontro Embiid aveva provato a reclutare LeBron in estate per poi trollarlo dopo la vittoria dei sui 76ers sui Cavs futuri finalisti. The Process aveva anche intenzione di trovare una donzella per trascorrere parte del suo tempo libero ed ha tentato, a più riprese, l’approccio con nientepopodimeno che Rihanna, da cui attende ancora una risposta.
Il top lo ha raggiunto con la recente elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump. Come il resto del mondo NBA Joel non si è fatto proprio un’ottima idea del candidato repubblicano e, alla sua elezione, ha reagito con due tweet in rapida successione che hanno fatto il giro del web. Sostenere che l’elezione di Trump è una scelta dell’America di tankare è stata una delle reazioni goliardiche migliori tra quelle che sono comparse sui social. Come spesso fa, anche nel tweet su Trump ha concluso con l’esortazione a credere nel processo, un mantra in cui si è totalmente immedesimato e che potrebbe diventare lo slogan per la nuova ascesa di Phila al trono NBA.
Nella Città dell’Amore Fraterno è comparsa una piccola luce intorno a cui aggrapparsi per fare risalire dall’abisso in cui i 76ers si sono scientificamente cacciati. Se non può farlo lui non può farlo nessuno, il tempo gli darà ragione.
#TrustTheProcess, noi vi abbiamo avvisato…
Alberto Mapelli