Breve ma doverosa premessa: i dati di seguito riportati non prendono in considerazione le ennesime triple doppie collezionate da Russell in Thunder-Wizards e in Thunder-Pelicans. Poco importa, anzi. Rafforzano ancor di più le nostre tesi.
A quanto pare, almeno per il momento, The Big O non è più solo. 30,9 punti, 10,3 rimbalzi e 11,3 assist a partita sono il biglietto da visita del Westbrook 2.0, quello alle cui giocate assistiamo a bocca aperta da un mese a questa parte. Già, perché non si tratta delle statistiche di un singolo match, bensì di quelle fatte registrare nei 19 incontri fin qui disputati dai Thunder. Numeri incredibili che lo portano ad affiancare il grande Oscar Robertson nella selezionatissima élite di coloro in grado di far registrare una tripla doppia di media. Abbiamo aspettato 45 anni, ma ne è valsa decisamente la pena. Dando anche solo un’occhiata alle statistiche dello scorso anno ci si rende immediatamente conto che la musica è cambiata in quel di Oklahoma City. Dopo 80 partite, il tabellino recitava “solo” 23,5 punti, mentre nella stagione 2014-2015 le cifre tornano simili a quelle fatte registrare nell’ultimo mese. Che le sole 27 partite giocate da Durant a causa di problemi fisici che si susseguivano senza tregua abbiano dato un’involontaria mano a Westbrook?
Decisamente sì, ma per avere una conferma definitiva ci affidiamo alle Shot Chart, in primo luogo quelle relative allo scorso anno, quando i due rivali erano dei compagni di squadra che facevano fatica a gestire i possessi dei Thunder senza ricorrere alle vie legali.
Shot Chart di Kevin Durant, stagione 2015-2016 (Credits to www.statmuse.com)
Shot Chart di Russell Westbrook, stegione 2015-2016 (credits to www.statmuse.com)
Come si evince dalle due immagini, le conclusioni di Durant sono sensibilmente più efficaci di quelle del suo compagno d’armi da qualsiasi posizione. Il confronto si fa poi impietoso se si prendono in considerazione le conclusioni tentate da oltre l’arco. KD ha chiuso la sua lunga e travagliata parentesi ai Thunder con un più che rispettabile 38,7%: dinanzi a queste cifre il misero 29,6% fatto registrare da Westbrook non può che impallidire.
Si sa, il tiro dalla distanza non è mai stato il cavallo di battaglia di Westbrook. Scommettiamo che andando a sbirciare nel pitturato… no, la musica non cambia, anzi. Lo scorso anno Durant ha mandato a bersaglio 252 conclusioni ravvicinate su 380, che concorrono ad un invidiabile 66,3%. Ben inferiori invece le cifre di Westbrook: sono “soltanto” 368 i canestri a fronte di 664 tiri. Se c’erano ancora dei dubbi su chi fosse il maschio alfa del branco potete considerarli fugati.
Shot Chart di Kevin Durant, stagione 2016-2017 (credits to www.statmuse.com)
Shot Chart di Russell Westbrook, stagione 2016-2017 (credits to www.statmuse.com)
Se Westbrook aveva concluso la scorsa stagione con soli 63 tiri tentati in più del suo vecchio amico, quest’anno dopo sole 19 partite (una in meno per quanto riguarda Durant) il divario è più che raddoppiato: come ad Oklahoma City, a guidare la classifica delle conclusioni tentate c’è un uomo solo al comando con ben 451 tiri a canestro. Giusto per rendere l’idea, il secondo classificato per il momento è DeMarcus Cousins con ben 76 conclusioni in meno. Il motivo è presto detto: dovendosi adattare ad un contesto meno anarchico come quello di Golden State, Durant ha dovuto limare notevolmente il numero delle sue conclusioni, passando da 19,1 a 16,9 tiri a partita, per un totale di 305 tentativi. Il “grande voltafaccia” ha però avuto gli effetti sperati: l’efficacia offensiva di Durant, che già nelle scorse stagioni faticava a trovare rivali all’altezza, ha effettuato l’upgrade definitivo, arrivando ad un 57% dal campo che, considerata la mole comunque elevata di tiri presi a partita, gli consente di assestarsi intorno alla media punti dello scorso anno (27,1 quelli di questa stagione, contro i 28,2 fatti registrare nella sua ultima stagione con i Thunder). E Westbrook? Beh, qualcuno dovrà pur segnare ad Oklahoma City e in questo senso i 451 tiri di cui sopra aiutano: i punti messi a referto finora sono 588, sufficienti per fargli ritirare l’ennesimo premio di questo primo quarto di stagione.
Dall’analisi delle conclusioni del ormai archiviato duo si evince che la partenza di Durant ha effettivamente rivoluzionato lo stile di gioco dei Thunder, nel bene e nel male. Per Westbrook non dev’essere stato troppo facile all’inizio. Lo avevamo lasciato con la sua Piña Colada, faccia a faccia con la dura realtà che il suo smartphone, privo di una buona dose di tatto, gli aveva brutalmente sbattuto in faccia. Dev’essere stato un po’ come per Michael Corleone, figlio di Don Vito ma estraneo ai suoi loschi traffici (a dirla tutta, nel caso di Westbrook papà Vito non è morto d’infarto, bensì è stato corrotto e assoldato dalla famiglia rivale dei Tattaglia, ma fa lo stesso).
Era Durant il perdente nato, era lui l’eterno secondo, non certo Westbrook o Ibaka o chi per loro. Ma morto un boss se ne fa un altro, è questa la dura legge della malavita e del basket. Serve un uomo forte che prenda in mano la situazione e guidi gli affiliati dove il vecchio Don non era mai riuscito ad arrivare. Durant se ne va? Nessun problema: se prima buona parte delle giocate di Westbrook erano in funzione di KD, da quest’anno il pallone, tranne qualche sporadica comparsata, non effettuerà altre fermate lungo la linea Westbrook-canestro e viceversa. Questo primo mese di regular season è stato il suo battesimo di fuoco: dimostrando di saper gestire il pesante fardello della pressione, si è caricato la squadra sulle spalle monopolizzando la fase offensiva dei Thunder. È davvero necessaria un’ulteriore dimostrazione? Se sì, vi bastino i 99,7 palloni giocati a partita, che anche in questo caso gli consentono di guardare tutti dall’altro in questa speciale classifica.
Dopo questa carrellata di elogi più o meno sperticati nei confronti di Westbrook, è il momento di passare alle note dolenti della nuova gestione di casa Thunder. Evidentemente, se nonostante le cifre da capogiro fatte registrare finora dal proprio playmaker la squadra ha vinto solo 11 delle 19 partite disputate, ci dev’essere qualche problema celato al di sotto di una patinata apparenza da MVP. Il quinto posto nella classifica dei rimbalzi catturati, frutto del lavoro dei big men e di un insospettabile specialista (passare da 7,8 a 10,3 carambole catturate a partita è davvero tanta roba, senza dimenticare che lo specialista in questione di professione sarebbe uno straordinario playmaker che però si assicura il 24% dei rimbalzi difensivi) rappresenta comunque un downgrade rispetto alla scorsa stagione, ma a far storcere il naso sono i 105,3 punti concessi all’avversario di turno e realizzati con il 44,9% dal campo, decisamente troppi per una contender degna di questo nome, ammesso che Oklahoma lo sia ancora. È il momento di porsi qualche interrogativo.
I problemi difensivi accusati dalla squadra di coach Donovan sono da imputare al sistema di gioco da lui proposto o derivano piuttosto da lacune a livello individuale? Quanto incide, nel bene e nel male, la presenza di una superstar del calibro di Westbrook nell’economia dei Thunder?