«Sulla porta del successo troverai due scritte: Entrata e Uscita.»
Proverbio Yiddish
«Disculpe señor, cuàl es su occupaciòn?»
«Soy un molinero»
“Molinero”, tradotto: mugnaio. Questo era il mestiere svolto dal patriarca sefardita (ebreo emigrato nella penisola iberica al tempo della diaspora) della famiglia Molinas, la quale peregrinò poi a lungo attraverso Italia e Turchia, per approdare infine nel Paese delle grandi opportunità, dove anche un disertore turco di nome Louis poteva tentare la fortuna con metodi più o meno al limite della legge.
16 aprile 1932, siamo a Manhattan, al Mount Royal Hospital, dove il sopracitato Louis Molinas ha appena deposto tre monete d’oro nella culla del proprio neonato primogenito, in segno di buon auspicio per un futuro prospero e pieno di felicità.
Il bebè è un tipetto, bello come il sole, piange però ogniqualvolta gli è negato qualcosa. Il bebè si chiama Jacob, che nel tempo cambierà in un più anglicizzato Jack, Louis Molinas, soprannominato “The Mole”, e non la smetterà più di ottenere sempre ciò che vuole.
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Jack Molinas cresce marcatamente segnato dall’autoritarismo paterno, declinato in frequenti scudisciate o grette correzioni basate su superstiziosi pregiudizi; come per il rimedio apposto al pronunciato mancinismo “mefistofelico” di Jack, estirpato legando la mano del bambino dietro la schiena al compimento dei due anni. Il padre gioca un ruolo fondamentale anche sul piano ideologico per Molinas Jr. quando, arrestato da un capo di polizia corrotto poiché non aveva versato i 200$ mensili alla mafia newyorkese, fa capire al figlio quanto sia labile il confine che distingue i buoni dai cattivi. Idea che sarebbe divenuta poi un caposaldo nella degenerata deontologia di Jack, sempre impegnato a truffare gli altri prima che questi gli riservassero lo stesso trattamento.
La svolta nella vita di Molinas Jr. avviene comunque all’età di dodici anni, quando presa in mano per la prima volta l’arancia a spicchi, il giovane scopre un’altra attività che gli riesce pazzescamente naturale. Sì perché Jack possedeva già anche una certa dimestichezza con tre lingue differenti e voti scolastici da primo della classe senza avere mai aperto un libro che fosse uno. Com’è possibile a sole 12 primavere compiute? Jack è un genio. Ma non un genio in senso lato, vanta ben 175 punti di quoziente intellettivo! Per darvi un metro di paragone: il teorizzatore della relatività ristretta e premio Nobel Albert Einstein ne aveva 165…
Ma per tornare al filo rosso del parquet, Jackie a quattordici anni è alto 1,94 metri e gioca con qualità perimetrali rivoluzionarie rispetto ai canoni dell’epoca, che volevano un lungo del genere rigorosamente satellite nei pressi del ferro. Studia alla Creston Junior High School e anche se qui l’amore per il gioco è già forte, lo sport, per altro non approvato dal padre-padrone, è principalmente ancora un modo per affrancarsi dalla supervisione genitoriale.
Fuori dall’ala ottusa di papà Louis, non un modello da seguire certo, ma fino conoscitore di quelle compagnie che il figlio avrebbe dovuto evitare, Molinas Jr. s’avvicina ad una figura ambigua, la quale da questo momento in avanti sarà presenza fissa in ogni avvenimento bello o brutto della vita di Jack. Costui è Solomon Hacken, un intenditore di pallacanestro, ma soprattutto un accanito scommettitore affiliato ai pezzi grossi di Cosa Nostra. E’ lui a piazzare la prima puntata della vita di Molinas, il quale, irretito dalla generosità di Hacken, si fa presto coinvolgere nel suo entourage cestistico ed anche occupazionale.
Come se non bastasse, in quegli anni Molinas entra a far parte della Stuyvesant High School del Bronx, sotto la tutela di Coach “Doc” Ellner, in un ambiente di basket liceale prestigioso dove uno con i numeri di Jack può fare comodo, in particolar modo ad Hacken.
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Molinas comincia così ad andare forte sul parquet. E’ un giocatore assolutamente immarcabile, ma ancor di più è strabiliante all’interno del nuovo mondo delle scommesse, dove per trarre il massimo profitto dalle vittorie della sua Stuyvesant gli basta sbagliare volutamente qualche lay-up o perdere accidentalmente la palla per ridurre lo spread senza compromettere il risultato.
Nel 1948, il padre scopre però la stretta relazione che intercorre fra il figlio quindicenne e Solomon Hacken, uno che nell’ambiente della malavita è noto anche a Louis Molinas, il quale ne è rimasto sempre ai margini il più possibile. Papà Molinas opera ancora una volta secondo i criteri dell’imposizione e vieta al figlio di continuare a frequentare il fellone. Per l’ennesima volta, Jack disubbidisce al genitore e alla sua figura sovrappone definitivamente quella di Hacken, con tutte le conseguenze del caso.
A questo punto della storia, Jack è cucinato a puntino per diventare a tutti gli effetti un ingranaggio fondamentale nella macchina delle scommesse di Solomon. Il bar mitzvah nel mondo criminale per Molinas si consuma il 19 marzo 1949, quando al Madison Square Garden va in scena la finale PSAL (Public Schools Athletic League) tra Lincoln e Stuyvesant. La High School di Jack è data favorita di 2,5 punti, tradotto per i meno esperti: un’occasione troppo ghiotta per non farci su un bel po’ di fruscianti verdoni. Molinas perciò si spoglia anche dell’ultimo briciolo di dignità e vende la vittoria ai bookmakers per ottocento dollari, più qualche percentuale sulle “dritte” rifiliate agli amici di Kaiser Park. Morale della favola: la favoritissima Stuyvesant perde di una lunghezza contro Lincoln davanti a mezza Mela e Molinas segna appena 12 punti contro i 28 mantenuti di media durante l’anno, quando perdere non era ancora così redditizio.
Molinas esce dunque dal Garden sconfitto sul campo, ma con un doppio successo personale: una montagna di quattrini in più nel portafoglio ed una lunga serie di college a fargli la corte nonostante l’ultima prestazione sottotono. Ed è così che riprendiamo il proverbio Yddish in ouverture, con Jack che apre la porta del successo dal lato dove sta scritto: Entrata. Mazel tov.
Molinas all’università opta per i Columbia Lions, dopo avere ceduto ad un accanito corteggiamento da parte di Lou Rossini, garante di una cospicua borsa di studio e della compagnia di tre amici del liceo. Nonostante la comfort zone tutta per lui, Molinas però al primo anno di college non esplode, salvo poi splendere in quello successivo da sophomore (1950-’51). Il coach Rossini inizialmente non nutriva grandi speranze sui Lions che, Molinas e John Azary a parte, non vantavano elementi di livello a roster. Queste arrendevoli previsioni per la stagione ventura però non scalfiscono Jack, il quale guida Columbia all’accesso in NCAA con un record vincente di 22-0 (14 punti e 15 rimbalzi di media le sue cifre).
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Il palcoscenico della NCAA diventa così un’occasione ancor più allettante per Solomon Hacken di calare il jolly in vista della prima gara contro la temuta Illinois. E come a Texas Hold’em si gioca l’all in quando al flop si ha scala reale, la telefonata di Hacken questa volta ha accenti altisonanti:
Jack, se perdete di oltre tre punti di scarto per te ci sono diecimila dollari che io punterò su Illinois, di modo da incrementare il tuo guadagno fino a ventimila
Immaginate il rumore che una tale quantità di denaro possa creare all’interno della testa di un diciannovenne. Ma Molinas non è uno qualunque, ricordiamoci il QI. Perciò Jack rifiuta, convinto di potere vincere contro Illinois anche da sfavorito. La puntata questa volta va controcorrente ai consigli di Hacken e si ritorce contro il piccolo genio. Columbia infatti perde quella partita e a Jack rimane solo una ragione in più per giustificare la propria machiavellica anteposizione dei fini rispetto ai mezzi.
Il 1951 si profila dunque un anno chiave nella vita di Molinas che, dopo essere stato sospeso dalla squadra per una goliardia ai danni degli alti papaveri del campus, frustrato entra definitivamente in affari con i rappresentanti della cosca mafiosa. Gli uomini a cui Hacken introduce Molinas non sono di certo la coppia di italiani più sveglia mai vista, ma l’organizzazione a monte non può certo essere raggirata dai melliflui sorrisi ruffiani di Molinas e così il genio compie il suo primo vero passo falso.
Tornato a giocare per i Lions, i quali avevano accumulato un record mediocre di 8-5 mentre lui gozzovigliava nel limbo dell’esilio con ragazze diverse ogni sera, Molinas decide di vendicare il torto subito. Da quel momento sino alla fine della stagione vende il massimo possibile di partite, concludendo l’anno con 16,8 punti di media e 50000 dollari in più con cui andare a spassarsela.
Nell’anno da senior, Molinas dimostra per l’ennesima volta di essere in totale controllo delle gare in cui gioca, segnando a fasi alterne 41 contro Princeton, 38 e 24 rimbalzi contro Army, sempre in rigoroso rispetto dello spread e delle quote variabili al botteghino. Con questo flusso costante di banconote entranti unilateralmente dai bookmakers alle sue tasche, Molinas giunge al 24 aprile 1953, l’anno in cui le cose cominciano a farsi davvero interessanti, l’anno del Draft NBA.
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I Fort Wayne Pistons, progenitori dei moderni Detroit, lo scelgono alla numero sei e il 16 di dicembre Molinas firma un contratto che alla clausola 15 recita:
Si conviene che un giocatore che scommetta direttamente o indirettamente denaro o utilità sul risultato di una partita NBA cui prende parte sarà espulso dalla Lega
una sorta di spada di Damocle per il nostro incallito e compulsivo giocatore d’azzardo, la quale tuttavia passa inosservata agli occhi entusiasti di Jack, che a cuor leggero scarabocchia il proprio nome sul pezzo di carta. Secondo passo falso.
L’NBA di quegli anni è una lega professionistica gravemente colpita dal virus del basket-scommesse, tale da mettere Molinas nella stessa condizione di un alcolista che spilla le bionde in un birrificio. Tre sono i componenti Pistons affaccendati nel crimine organizzato e, appresa la notizia, alla gara contro Syracuse Molinas fa di tutto per sabotare i loro piani. Segna 20 punti nel solo ultimo quarto e manda in frantumi i sogni di gloria dei compagni corrotti. La prestazione non solo fa guadagnare al rookie Molinas più minuti in campo, tradotti in maggiori possibilità per influenzare il risultato, ma anche un considerevole ampliamento del giro di scommesse, inglobando il business dei tre compagni truffati.
Il grande successo non tarda però a mostrare anche il proprio fianco oscuro, trasformando la passione di Jack per il gioco d’azzardo in un disturbo compulsivo, che lo spinge a scommettere al di fuori del campo da basket persino su quale goccia di pioggia avrebbe toccato per prima il fondo della finestra. Siamo al limite dell’irrecuperabile. Ed in effetti di lì a poco Molinas tocca il punto di non ritorno.
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Il 15 dicembre 1953 i Pistons affrontano i Celtics di Bob Cousy al Garden e Jack, galvanizzato dal ritorno a casa, segna 18 punti dei 40 di Fort Wayne nel solo primo tempo. La partita è saldamente nelle mani dei Pistons, ma durante l’intervallo un uomo non identificato cerca di fare irruzione nello spogliatoio, sostenendo di dovere conferire con Molinas per conto di un certo Joe (nome in codice per identificare Hacken). A Jack non serve realmente parlare con il messo per capire che quella vittoria non s’ha da fare. Nella seconda metà di partita, Molinas segna appena 2 punti, regalando una gara già vinta agli avversari. Solo che nella NBA non è come a Columbia, dove le sue malefatte passavano inosservate ad occhi volutamente bendati dal suo grande talento. Il Commissioner dell’epoca Podoloff assume un investigatore privato e la Lega inizia a tenere sotto controllo il telefono di Molinas (quanta attualità).
Il detective Hogan prescelto per il caso arriva così a racimolare chili e chili di tabulati telefonici su cui compaiono frequenti contatti tra Molinas e certo Ratensky, l’uomo che piazzava le scommesse di Jack sulle partite dei Pistons vendute. Le prove sono schiaccianti e poco dopo l’avvenuta convocazione all’All Star Game, evento che avrebbe significato un successo personale per Jack Molinas, Podoloff sospende il giocatore in via cautelativa, in attesa d’interrogatorio ai fini investigativi sull’accusa per corruzione sportiva. La sospensione di Jack è immediata quanto inevitabile, dal momento che la linea adottata dalla Lega diverrà poi: punire uno per istruirne cento.
Col tempo la sospensione temporanea si trasformerà quindi in espulsione definitiva e qui sfociamo nel lato comico di tutta questa storia. Udite udite, per combattere l’ingiustizia a suo dire ricevuta, Molinas si appella alla legge, quella stessa che in vita sua ha sempre, sistematicamente violato. Per di più non lo fa per mezzo di terzi, ma in persona s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza, con strabilianti risultati al test d’ingresso.
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Nell’attesa di concludere l’iter accademico per raddrizzare con le proprie mani la piega che avevano preso gli eventi, Molinas si tiene in forma giocando per centocinquantamila dollari in EBL, dove dopo avere dominato senza mezzi termini, presa l’auto scendeva in campo per la seconda gara consecutiva, questa in Connecticut League. Indovinate un po’, dominava anche qui.
Nel 1956 diventa avvocato a pieni voti e, per festeggiare la sua entrata anche dall’altra parte della barricata, decide di compiere un ulteriore salto di qualità nel mondo criminale, affidandosi a Dave Golberg, magnate delle scommesse con le mani anche su Canada e Messico. Gioco forza il ruolo di Molinas si trasforma adesso nel reclutatore di talenti e possibili collusi, spodesta insomma Hacken in ciò che l’uomo aveva rappresentato per lui. E pensare che avrebbe potuto scalzare con la stessa facilità anche Bob Cousy, se si fosse interessato di più a mettere nel cesto la palla piuttosto che a scommettere sulle sorti della stessa.
Nel 1958, tutte le possibilità di Molinas di tornare nella NBA sfumano con l’inconcludenza delle sue battagli legali pur brillantemente condotte. La Lega non accetta di tornare ad invischiarsi con Jack e con tutto ciò che agli occhi della gente lui poteva rappresentare. A questo punto la vita di Molinas si trasforma in una telenovela, dove il basket giocato passa in secondo piano assieme all’avvocatura e l’associazione a delinquere diviene occupazione a tempo pieno ed indeterminato.
Il 18 maggio 1962 The Mole viene arrestato dal detective Hogan, ormai affezionato al caso del caro Molinas, accusato di tutti quei crimini che ha commesso e di cui sino allo stremo Jack si dichiarerà innocente ed incarcerato con pena detentiva severissima di massimo quindici anni, da scontare in un luogo dal nome tutt’altro che rassicurante: “The Tombs”. Sarà rilasciato nel 1968 e per i seguenti sette anni trascorsi su questa terra, Molinas continua a fare quello che da tutta la vita gli riesce meglio: truffare il prossimo.
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Jack si trasferisce a Los Angeles, qui diviene produttore pornografico, co-proprietario di un’azienda di pellicce, tutto rigorosamente per conto della mafia di serie A. Sporadicamente fa delle comparsate al Pauley Pavilion, dove con la pancia e quarant’anni sulle spalle insegna pallacanestro anche a Chamberlain e West. Oh, sia chiaro, in questo tempo continua a scommettere ossessivamente su tutto e così cresce la sua fama di cattivo pagatore, poiché non sempre gli riusciva facile di drogare il pugile su cui non aveva puntato o dare la scossa al cane che sperava tagliasse per primo il nastro del traguardo.
Molinas era così, prendere o lasciare. Nel 1975 fu in cima agli argomenti di discussione all’interno di un concilio ristrettissimo fra i vertici di Cosa Nostra, i quali disquisirono circa il fatto se Jack dovesse vivere o morire. Pollice verso all’unanimità ed una pallottola calibro .22 tra capo e collo ad aprire la porta del successo, lato uscita, e spingere fuori a calci il genio del crimine, a cui questa volta un bel sorriso non era bastato per cavarsela.
Il carisma, le capacità e le contraddizioni che Molinas ha rappresentato sono tutte qui, racchiuse in questa espressione devoluta da uno dei massimi scrittori del Novecento e con cui desidero chiudere la storia, prolissa e sbrigativa allo stesso tempo, circa uno dei più forti giocatori di sempre che non lo sono mai stati.
Il suo talento era naturale come il disegno tracciato dalla polvere sulle ali di una farfalla
Ernest Hemingway