Greg Oden, quando il corpo ti tradisce

A Level Above”, un livello sopra tutto il resto, questo è il motto della città di Terre Haute, in francese “terra alta”. Per uno strano scherzo del destino nel 1997, dopo aver divorziato, Zoe Oden si trasferisce con i figli proprio lì. Eh sì, perché il suo “bambino”, Gregory Wayne Oden, su un altro livello lo è veramente: 177 cm e nove anni. A Jimmy Smith, allenatore della Amateur Athletic Union, associazione che gestisce la squadra di basket di Terre Haute, quasi non sembra vero aver trovato un ragazzo del genere. C’è solo un piccolo problema: Greg non sa nulla del basket. Jimmy se ne accorge quando, al primo allenamento, il giovane Oden segna due punti nel canestro della sua squadra.

Fisicamente non ha nulla a che fare con i suoi compagni, è dominante, ma scarseggia (per usare un eufemismo) nei fondamentali. Non sa tirare, non sa fare un lay-up, non riesce a palleggiare e correre contemporaneamente, anche se certo, in linea di massima i rimbalzi li prende tutti lui. Greg lavora sodo con Jimmy e nel giro di un anno il suo basket migliora, complice anche un’amicizia sviluppata all’interno della AUU: trova infatti nel figlio del campione di salto in lungo olimpico Mike Conley sr, Mike Conley jr, un grande amico, oltre che un ottimo giocatore di basket.

Era veramente calmo, pacato all’inizio. Forse troppo freddo, così lo forzai ad aprirsi un pochino. Passato quel momento, fu facile diventargli amico.” dice Conley.

Il grande affiatamento tra la point guard e il centro porterà i Wildcats della Lawrence North High School al Three-Peat (2004-2005-2006) delle 4A, dominando per tre anni l’high school basket con un record di 103-7.

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La nostra difesa è la migliore perché quando c’è Greg a proteggere il ferro la squadra avversaria può solamente tirare da tre punti.” spiega Jack Keefer, head coach della Lawrence North. “Greg può veramente cambiare le carte in tavola in una partita perché è un fenomenale difensore.”

Alla Lawrence North Greg vive il suo periodo migliore, gioca un basket stellare (1873 punti, 1058 rimbalzi e 341 stoppate realizzate nei tre anni all’high school) e mette in luce doti atletiche da futura stella NBA, che gli valgono, in aggiunta ai numerosi premi individuali, il soprannome di “Nuovo Shaq”. Oltre a impressionare numerosi scout nel mondo del basket, Oden continua a studiare si guadagna i complimenti di molti insegnanti, stupiti dall’incredibile intelligenza di quel ragazzo che sembra oramai un uomo non solo nel fisico. Al momento della obbligatoria scelta del college, i suoi occhi sono puntati su… Mike Conley. Greg, infatti, non si vuole separare dal suo amico, così, quando Mike deciderà di accasarsi al college di Ohio State, sotto l’egida di Thad Matta, Oden sceglierà di seguire il compagno.

Solo qualche mese prima di andare al college, però, si deve sottoporre a un’operazione al legamento del polso, infortunato mentre si proteggeva in un litigio dal fratello minore Anthony. Un rapporto difficile, quello dei due fratelli, fatto di una rivalità molto sentita sopratutto da Anthony, e complicata ulteriormente dal successo del fratello. Un muro che li separerà tutta la vita, nonostante la promessa eterna di amore fraterno (Always There) tatuata proprio sulla spalla sinistra di Greg. Il suo debutto a Ohio State avviene il 2 dicembre del 2006, contro Valparaiso. Pur uscendo dalla panchina, Oden domina la partita con una doppia doppia da 14 punti, 10 rimbalzi e 5 stoppate.

Ma la sua vita a Ohio State non è facile, sia perché si accorge che non vorrebbe solamente giocare a basket, sia perché inizia a intuire la pressione mediatica che la NCAA e la NBA comportano. A peggiorare il tutto poi, ci pensa il destino, che per la prima ma non ultima volta, segna la sua vita. Il 27 gennaio del 2007, nella stessa notte in cui mette a referto 19 punti e 6 rimbalzi in una partita casalinga vinta contro i Michigan State Spartans, il suo migliore amico dall’infanzia, Travis Smith, rimane ucciso in un incidente d’auto.  Travis, che quella notte sarebbe dovuto andare proprio alla partita, aveva infine deciso di cedere il biglietto alla nonna di Greg, che desiderava tanto veder giocare il nipote.

Solo pochi giorni dopo reggerà la bara al funerale del suo amico, due ore dopo esser stato fischiato dai 14mila spettatori della Mackey Arena in un match contro la Purdue University, un’università dell’Indiana che aveva mal digerito la sua scelta di andare a giocare in Ohio. Nonostante i problemi fuori dal campo, Oden, dopo un record di 35-3 in stagione regolare e la vittoria del Big Ten Tournament, trascina i Buckeyes alla finale delle Final Four contro i Florida Gators di Al Horford, Joakim Noah, Mareese Speights e Corey Brewer, contro i quali aveva abbondantemente perso (26 punti di distacco) in regular season. In finale Ohio esce nuovamente sconfitta (84 a 75 per i Gators), ma Greg si mette sotto i riflettori con l’ennesima prestazione monstre da 25 punti e 12 rimbalzi. Le prestazioni spingono Steve Kerr a definirlo “Once in a decade player”.

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E’ finalmente il momento di entrare nello scomodo Draft del 2007, ma i titoli che Greg si porta dietro sono impressionanti; Parade Magazine High School Player of the Year 2005 (assieme a Monta Ellis), Gatorade National Boys Basketball Player of the Year 2005 (il primo junior dopo un tale LeBron James a vincere il premio), NCAA AP All American First Team 2007 conseguito grazie ai 15.7 punti e 9.6 rimbalzi di media a Ohio. Sono proprio queste credenziali e questi numeri (oltre ai 213 cm per 129 kg) che spingono Portland a selezionarlo con la prima scelta assoluta al Draft, preferendolo persino a un giovanotto magrolino di Washington di nome Kevin Durant, che pure era stato capocannoniere NCAA con i Texas Longhorns di Austin con 28 punti e 11 rimbalzi a partita. Se a tifosi e dirigenti della Rip City era ben noto che la sfortuna abbia casa a Portland, Oden ne verrà a conoscenza solo il 14 settembre del 2007. Un controllo evidenzia una microfrattura alla cartilagine del ginocchio destro e lo costringe a sottoporsi ad un difficile intervento chirurgico proprio poche settimane prima dell’inizio della Regular Season, posticipando la sua stagione da Rookie al 2008.

Il debutto ufficiale in maglia Blazers avviene il 28 ottobre 2008 allo Staples Center di Los Angeles, in casa Bryant, dove la fortuna gli è nuovamente avversa, costringendolo ad abbandonare il campo dopo soli 12 minuti di gioco per un infortunio al piede. Ma è solo una slogatura, e Greg torna dopo appena due settimane. Parte piano giocando 21 minuti a partita, sia per non sforzare troppo il ginocchio e il piede appena guariti, sia per prendere dimestichezza con i meccanismi di squadra. Nelle sue prime 61 gare mette insieme buone medie (8 punti a partita con il 56% dal campo e 6 rimbalzi). E’ spinto sopratutto dalla voglia di dimostrare di non essere inferiore alla seconda scelta dell’anno precedente, il KD vincitore del premio Rookie dell’Anno 2007.

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Ma la sfortuna evidentemente lo segue incessantemente come la nuvola di Fantozzi, così il 12 febbraio del 2009, in uno scontro con l’ala piccola dei Golden State Warriors, Corey Maggette, si incrina la rotula del ginocchio sinistro. Greg recupera ancora una volta velocemente e riesce a tornare in tempo per giocare, anche se con un minutaggio ridotto, gara 1 del primo turno di Playoff contro gli Houston Rockets di Yao Ming, serie persa dai Blazers 4-2 (nonostante i 22.6 punti di media tenuti da Brandon Roy). Il 23 novembre del 2009, allo United Center di Chicago, Oden mette a referto il suo career high di 24 punti e 12 rimbalzi contro i Bulls, ma ha appena il tempo di festeggiare, perché dodici giorni dopo, al Moda Center di Portland, il destino lo colpisce ancora, stavolta più duramente delle volte precedenti.

La partita fra Rockets e Blazers è cominciata da soli quattro minuti, e la palla è in mano alla squadra di Houston; Aaron Brooks e Luis Scola giocano un pick and roll al limite dell’area, Sergio Rodriguez rimane nel blocco di Scola e LaMarcus Aldridge non ha la reattività sufficiente per andar dietro a Brooks. Greg è sotto canestro, legge la situazione, vede Aldridge battuto e salta per proteggere il ferro, ma è in ritardo di una frazione di secondo e Brooks segna ugualmente.

Al momento di rimettere la palla in gioco dalla panchina si accorgono che Oden non si alza da terra, e si precipitano subito in campo per soccorrerlo. La frattura della rotula del ginocchio sinistro (lo stesso infortunio che colpirà Brandon Roy e Joel Przybilla, gettando molte ombre sullo staff medico di Portland) mette la parola fine alla sua stagione, e secondo molti addetti ai lavori, anche alla sua carriera, che carriera non si può definire, visto che nei suoi primi quattro anni da professionista Greg ha giocato la miseria di 82 partite, il corrispondente di un’intera stagione regolare. 

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Oden, comunque, non molla, cerca di guarire, ma quando l’anno dopo sembra finalmente pronto per rientrare, una nuova risonanza evidenzia un ulteriore danno alla cartilagine del ginocchio sinistro, curabile con un intervento chirurgico che costringerebbe l’ex Wilcats a saltare il resto della stagione. Nel marzo del 2012 la dirigenza dei Blazers, colpita anche dal ritiro di Brandon Roy e convinta che Oden non sarebbe più riuscito a tornare ai livelli espressi nel 2009, gli rescinde il contratto. Greg decide così di prendersi un anno di tempo per cercare di ritrovare la giusta condizione fisica, e prova a rientrare per l’ennesima volta nel 2014, a Miami.

So che sarà sempre peggio tutte le volte che Kevin Durant sarà sul campo. Sicuramente fa male, ma il mio corpo non riesce a fare ciò che la mia mente vorrebbe. Sono felice di essere tornato e sono felice di aver firmato per Miami.”

Nonostante le belle parole e un paio di minuti giocati (anche nella serie finale), Greg si vede costretto a guardare i Big Three dalla panchina perdere le Finals contro San Antonio. Dopo l’esperienza a Miami Greg lascia l’NBA per trasferirsi in Cina, nei Jiangsu Dragons, dove gioca poco, collezionando 13 punti di media in 25 partite. Colpito dall’ennesimo infortunio al ginocchio, il 28 ottobre 2016, a soli 28 anni, Gregory Wayne Oden annuncia al mondo del basket il suo ritiro, un ritiro silenzioso, passato giustamente sottotraccia se paragonato agli altri ben più illustri di Kobe, Garnett, Allen e DuncanUn ritiro, ciononostante, che lascia l’amaro in bocca, perché a tanti sarebbe piaciuto vedere Greg sul campo a confrontarsi con i migliori, mentre il destino lo ha trasformato in uno dei tanti “what if” della NBA.

So di essere una delle più grandi delusioni (bust) della storia NBA, ma non rimpiango niente. Semplicemente avrei voluto che le cose andassero meglio.”

Anche noi, Greg.

Pier Francesco Zanata

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