Un expansion draft è un draft organizzato da una lega sportiva per l’entrata di una nuova franchigia – o expansion team – nel campionato. Nella storia della NBA ne sono stati organizzati più di una decina, ogni volta coinvolgendo una o più squadre entranti.
Per comprendere questo capitolo di #VocabolarioNBA è consigliabile avere ben chiari i concetti di draft e di expansion team. In fondo alla pagina si trovano tutti gli altri capitoli della rubrica, utili per avere un quadro generale della NBA.
EXPANSION DRAFT – Rispetto all’entrata in NBA di una squadra già formata, proveniente da un altro campionato (per chiarimenti vedere il capitolo di Vocabolario NBA sull’expansion team), la costruzione da zero di una squadra tramite expansion draft è la modalità che più si è ripetuta nel tempo. Le basi sono più o meno queste: un gruppo di imprenditori di una città raccoglie un certo gruzzolo, si assicura che l’amministrazione locale sia di supporto, che le strutture sportive siano adeguate e mette in piedi una nuova franchigia. In tal caso, se il parere della lega e dei proprietari delle squadre NBA è positivo, si procede e si costruisce la nuova squadra tramite l’expansion draft. Nell’anno deciso per l’entrata in NBA, prima del normale Draft, viene istituito questo particolare evento, durante il quale la nuova squadra sceglie alcuni giocatori dai roster delle altre franchigie della NBA.
[Quindi se creo una squadra a Fargo, North Dakota, la chiamo Fargo SuperBeers, entro in NBA e seleziono Steph Curry, James Harden, LeBron James, Kevin Durant e Anthony Davis e qualche panchinaro di buone speranze tipo Russell Westbrook, Kawhi Leonard e DeMarcus Cousins, alla prima stagione vinco il titolo? Ehm, ecco… No. Non funziona così.]
Una “cartolina” di Fargo, North Dakota. Secondo una ricerca del 2015 è “la città più ubriaca degli Stati Uniti”. Con il 28% dei residenti classificato come “forte bevitore”. Credits to: SCOTT OLSON/GETTY IMAGES, via www.nydailynews.com
LE REGOLE DELL’EXPANSION DRAFT – Esistono grosse limitazioni nella scelta dei giocatori. La logica è quella di permettere alle nuove squadre di avere una base da cui partire, ma non saranno veramente competitive fin dall’inizio. [In alcuni casi ci sono riuscite: vedremo degli esempi. No, i Bobcats non sono fra questi.] Le regole vengono sempre votate dagli altri proprietari e possono essere parzialmente diverse da un caso all’altro. Per avere un’idea, si può vedere a grandi linee il regolamento dell’ultimo expansion draft, quello del 2004, per l’entrata dei Charlotte Bobcats in NBA. I Bobcats dovevano scegliere almeno 14 giocatori sotto contratto con la propria squadra o restricted free agent per la stagione 2004-2005. Ogni franchigia poteva “proteggere” fino a otto giocatori e i Bobcats non potevano selezionarne più di uno da una stessa squadra. [Quindi niente Curry, James, Durant…] Altre limitazioni erano imposte al salary cap, agli scambi e ai contratti. C’era anche qualche piccolo privilegio nella gestione di certi tipi contratti e di alcuni diritti.
IL NUOVO ROSTER – Si procede con scelte consecutive, come a un normale draft, solo che a scegliere sono solo un paio di squadre (o anche una sola, come nel 2004). Come conseguenza del sistema adottato, il risultato è che il roster degli expansion team finisce per essere composto da veterani sulla via del tramonto, giovani rookie e qualche altro cestista che in NBA non spicchi per particolare talento [per dirla in modo scorretto: mezze pippe]. Parte dei giocatori selezionati finisce per non giocare nemmeno un minuto per la nuova squadra. Il roster è tutto da costruire tramite scambi, firme di free agent e il Draft.
[I Bobcats nel 2004 riuscirono ad accaparrarsi Gerald Wallace. Il secondo giocatore più significativo fu Jason Kapono. Ed è tutto dire.]
«Ehi, Gerald Wallace! Sì, tu. Che ne dici di diventare la base di un progetto ridicolo?» Credits to: www.uniformcritics.com, via Google.
TOP E FLOP – L’instabilità è un leit motiv che si è ripetuto spesso per le giovani squadre appena entrate in NBA. Molte hanno cambiato città dopo pochi anni in NBA. I Bobcats, per sfruttare ancora il loro esempio, nella loro breve storia sono diventati sinonimo di zerbino della NBA. Ma ecco le eccezioni: i Milwaukee Bucks vinsero il titolo alla terza stagione in NBA, nel 1971. Al Draft del 1969, però, avevano selezionato alla n°1 un tale Lew Alcindor… I Portland Trail Blazers, arrivati nel 1970, impiegarono sette stagioni per portare in Oregon l’ambito trofeo. Relativamente poche, ma nel 1974 avevano selezionato al Draft Bill Walton… L’ultima squadra ad avvicinarsi al successo in tempi brevi furono gli Orlando Magic: arrivati in NBA nel 1989 insieme ai Minnesota Timberwolves, dopo sei stagioni si scontrarono alle Finals 1995 con gli Houston Rockets di Hakeem Olajuwon. Ma anche in questo caso, più che l’expansion draft incise un Draft. Quello del 1992, quando alla n°1 i Magic chiamarono un ragazzone di vent’anni proveniente da LSU: Shaquille O’Neal.
CURIOSITÀ – Per la particolare storia delle franchigie di Charlotte e New Orleans, che abbiamo riassunto brevemente in una precedente puntata di Vocabolario NBA, i New Orleans Hornets del 2002 sono considerati un expansion team. In realtà la squadra si era trasferita quell’anno da Charlotte, ma quando i Bobcats nel 2014 hanno acquisito il vecchio nickname della squadra della città – Hornets – hanno acquistato anche la storia della precedente franchigia stanziata a Charlotte. La squadra odierna di New Orleans, dal 2013 chiamata Pelicans, si è quindi trovata senza una storia precedente al 2002. Per questo quei New Orleans Hornets del 2002 sono considerati dal 2014 un expansion team che poi ha cambiato nome, sebbene all’atto pratico fu una “semplice” relocation e la squadra è la diretta discendente di quegli Charlotte Hornets nati dall’expansion draft del 1988. Per chiudere il quadro, si potrebbe aggiungere che i gli Hornets fra 2005 e 2007 dovettero disputare le gare casalinghe a Oklahoma City, a causa dei disastri dell’uragano Katrina. Il team per due stagioni prese il nome di New Orleans-Oklahoma City Hornets. Oklahoma City non aveva ancora una franchigia in NBA: i Seattle SuperSonics si trasferirono solo nel 2008.
[Avete capito tutto? No? Fa niente.]
Per aggiungere un fattore di confusione, fra 1974 e 1979 esistettero anche i New Orleans Jazz, che si trasferirono a Salt Lake City e ora sono noti come Utah Jazz. Credits to: www.sportslogos.net, via Google.
ESPANSIONI FUTURE – L’espansione della NBA è uno di quei temi che periodicamente riemerge e crea aspettative nei fan. Molte città aspirano ad avere una squadra in NBA. Prima fra tutte Seattle, che freme per portare nuovamente in vita i SuperSonics, fin dal loro trasferimento a Oklahoma City nel 2008. La ricca storia cestistica della città del grunge è la base per le rivendicazioni. Louisville e Pittsburgh sono altre due città che potrebbero accogliere senza grossi problemi una franchigia NBA: la prima ha già una cultura cestistica collegiale di primo piano, mentre la seconda vanta un vasto mercato mediatico, un pubblico affezionato ai grandi eventi sportivi ed è una delle città più sicure degli Stati Uniti. Entrambe hanno un’arena adeguata agli standard NBA. Albuquerque e Cincinnati sono altri due centri individuati fra quelli che potrebbero farsi avanti.
L’appuntamento con Vocabolario NBA è per la prossima settimana: sempre di martedì, sempre alle 17.00.
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