Dwight Howard: tra decadenza e rinascita

Innanzitutto c’è da chiedersi come mai il front office di Atlanta abbiano deciso di offrire un onerosissimo contratto a Dwight Howard quando potevano contare sul talento di Al Horford, che nove anni fa aveva stretto un sodalizio proficuo e apparentemente indissolubile con gli Hawks. Semplice: a volte le apparenze ingannano. Il dominicano si è lasciato sedurre dalle lusinghe dei Celtics e gli Hawks, non avendo esattamente l’imbarazzo della scelta, hanno puntato sulla voglia di rivalsa di Howard.

Morto un centro se ne fa un altro. Eppure analizzando le conclusioni tentate dai due big men durante la scorsa stagione ci rendiamo immediatamente conto che non è così.

Shot Chart di Al Horford, stagione 2015-2016 (credits to www.statmuse.com)

Shot Chart di Dwight Howard, stagione 2015-2016 (credits to www.statmuse.com)

È evidente come il range di tiro dei due lunghi sia completamente diverso. Mentre Howard si affida esclusivamente a conclusioni dal pitturato convertendole con il 68,9%, Horford è un discreto tiratore dall’arco (3,1 conclusioni tentate a partita con il 34,4% mandate a bersaglio) e rappresenta una seria minaccia dalla media distanza. Per evidenziare la differenza sostanziale tra le due faretre offensive ricorriamo a delle immagini particolarmente significative.

In questa situazione Howard è in possesso del pallone a diversi metri di distanza dall’area avversaria. Steven Adams, suo diretto marcatore, conosce benissimo le difficoltà di Howard al tiro e rimane nei pressi del canestro, lasciando potenzialmente all’avversario una conclusione dalla media distanza con spazio più che sufficiente per mettere a referto due punti. Peccato che nel corso della stagione Howard abbia tentato solo 26 conclusioni fuori dal pitturato, con risultati non proprio confortanti (31,9% di realizzazione). Ben consapevole delle sue capacità balistiche, Howard declinerà il gentile invito di Adams sbarazzandosi del pallone in una frazione di secondo (cliccare sull’immagine per vedere la gif).

Bastano pochi secondi per rendersi conto che ci troviamo di fronte ad un giocatore completamente diverso. In quest’azione Horford riceve il pallone in una delle sue mattonelle preferite (44,7% dal lato destro nella scorsa stagione); alla sola vista del dominicano Valanciunas si allontana dal ferro per contestare un tiro che invece non arriva: Horford si sbarazza facilmente della marcatura avversaria e rifila un poster con i fiocchi al malcapitato Amir Johnson. L’abilità al tiro di Horford è stata dunque sufficiente per spaventare il lungo avversario e di conseguenza per aprirsi un varco per andare a canestro, cosa che le capacità balistiche di Howard non potranno mai garantire all’attacco degli Hawks. Come se non bastasse, il 48,9% di Howard ai liberi (salito a 53,2% quest’anno) impallidisce dinanzi al 79,8% fatto registrare da Horford e lo rende una facile preda per gli Hack-a-Howard nei momenti chiave del match.

Ovviamente, a beneficiare dell’eccellente tiro dalla distanza non era solo lo stesso Horford, ma anche i suoi compagni: oltre ad aprire spazi per le penetrazioni di Jeff Teague, il nuovo lungo dei Celtics è in grado di servire i suoi compagni con passaggi che in pochi si aspetterebbero da un lungo come lui. Tiro da fuori, gioco in post e visione da playmaker, ecco i punti di forza di Al Horford. Dwight Howard, pur ricoprendo lo stesso ruolo in campo, ha caratteristiche palesemente opposte a quelle del lungo dei Celtics, che lo portano talvolta a costituire un vero e proprio problema per la filosofia dell’extra pass portata avanti da coach Budenholzer, il quale ha fatto tesoro della sua proficua esperienza al fianco di Greg Popovich. Howard può rappresentare solo il finalizzatore della squadra, non è certo a lui, a differenza di Horford, che il coach può chiedere di orchestrare la manovra. In definitiva, dopo l’addio di Horford il ruolo di point forward è ormai un’esclusiva di Paul Millsap, troppo spesso sottovalutato ma dotato di un quoziente intellettivo cestistico di gran lunga superiore alla media.

Se dal punto di vista puramente offensivo la presenza di Howard in quintetto rappresenta un deficit non da poco per il gioco di Budenholzer, le cose cambiano quando si analizzano le statistiche relative ai rimbalzi. Trascorrendo così tanto tempo lontano dal pitturato, Horford con il suo 11.3% di rimbalzi a disposizione catturati è ben lontano dal 24.8% dell’attuale numero otto degli Hawks; un gap che diventa ancora più significativo se si guarda ai dati sotto il tabellone avversario, dove Howard cattura l’astronomico 17.9% dei palloni vaganti sulle (frequenti) conclusioni sbagliate da Atlanta a fronte del misero 4.9% del numero 15 dei Celtics, giustificato soltanto in parte dal fatto che Boston rinunci spesso a lottare sotto il canestro avversario per ripiegare in maniera celere in difesa.

Lasciando ora da parte Horford, ci concentreremo sulle differenze tra l’Howard dei tempi di Houston e quello in maglia Hawks.

Shot Chart di Dwight Howard, stagione 2015-2016 (credits to www.statmuse.com)

Shot Chart di Dwight Howard, stagione 2016-2017 (credits to www.statmuse.com)

Al di là delle percentuali migliori (dovute alla migliore organizzazione tattica degli Hawks, che gli consente di prendersi tiri migliori di quelli dello scorso anno) non sembrano esserci differenze sostanziali tra le due shot chart relative a Dwight Howard: le uniche opzioni contemplate sono la schiacciata e il sottomano. Non c’è spazio per il tiro da fuori, che non viene quasi mai tentato.

Probabilmente è stato proprio questo il suo errore: accontentarsi di un atletismo quasi disumano, senza preoccuparsi di implementare il raggio di tiro e mettere in piedi un jumper rispettabile, senza lasciarsi cogliere impreparato dall’inesorabile trascorrere del tempo.

Per quanto riguarda le statistiche, il contesto notevolmente più organizzato di Atlanta gli consente di viaggiare con medie leggermente superiori a quelle dello scorso anno. Tuttavia, si sa, non è dalle statistiche che si giudica un giocatore. Piuttosto che basarci sul coraggio, sull’altruismo o sulla fantasia, però, preferiamo basarci sull’analisi di alcune azioni di gioco per provare a delineare il profilo della nuova reincarnazione di Superman.

HOWARD VS HORFORD

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Pubblicato da
Federico Ameli

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