Realizzare un pezzo su un giocatore classe 1995, alla sua terza stagione in NBA, che fa parte di una franchigia, quella dei T’Wolves, da anni ormai perdente e che ha puntato tutto sulla costruzione di un roster giovane e talentuoso, non è semplice. Non si può sfruttare il fascino di una carriera epica non ancora conclusa, come quella di D-Wade del quale abbiamo parlato in questo pezzo, e neppure quello di una superstar odierna al picco della sua avventura in NBA, come in questi due articoli sul Barba.
Quando si parla di un ragazzo così giovane bisogna cercare di sottolinearne le potenzialità, trovare un metro di paragone (per quanto non esisteranno mai due giocatori completamente identici) e tratteggiare una ideale parabola di crescita attraverso la quale il suddetto rampollo si possa affermare come Superstar. Parlare di un giocatore senza una storia cestistica consistente alle spalle può risultare pericoloso perché si rischia di concentrarsi solo sull’hype che il periodo storico attuale crea intorno a giocatori che hanno ancora tutto da dimostrare, senza mettere in evidenza anche i suoi lati più oscuri ed i suoi eventuali limiti.
Quello che abbiamo tentato di realizzare in questo pezzo è, quindi, un affresco del Zach LaVine-giocatore attuale e del Zach LaVine-potenziale del futuro, a cui potrebbe realmente arrivare tramite l’adeguata applicazione mentale e la giusta guida tecnico-tattica.
Another one-and-done
La scelta di dichiararsi eleggibile al draft 2014 di Zachary LaVine è stata, all’epoca, una delle decisioni più discusse all’interno dell’universo college basketball. Approdato nel campus losangelino della UCLA solamente 12 mesi prima davvero pochi addetti ai lavori lo consideravano pronto mentalmente, fisicamente e, soprattutto, tatticamente a compiere il grande salto entrando nel circuito dei professionisti. Zachary LaVine, nato a Renton, nello stato di Washington, patria dei Boeing 747, forse motivo per cui è in grado di spiccare il volo sul parquet, il 10 marzo 1995, non ha ascoltato i consigli di chi gli stava vicino decidendo di mettersi in gioco in maniera repentina, come ormai è abitudine fare tra coloro che si sentono assicurata una carriera a molti zeri.
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Quello che più preoccupava era il palesemente arretrato grado di maturazione dell’IQ cestistico del ragazzo, ancora non in grado di prendere le decisioni più corrette e semplici in modo da facilitare tutto il gioco di squadra e risaltare in un contesto parecchie volte più semplice rispetto alla lega. Mitchell, suo allenatore fino alla scorsa stagione, si è più volte espresso in tal senso, sottolineando come certe cose che si danno per scontate per un giocatore professionista (smarcarsi nei tempi corretti, realizzare un blocco con l’angolo adatto, prendersi tiri facili quando si presentano, …) in realtà dovessero ancora essere apprese appieno da LaVine, dimostrando come un altro anno di college sarebbe stato importante per la sua crescita.
Dopo aver scalato le varie tabelle pre-draft dei vari analisti, il nativo dello stato della capitale sale sul palco chiamato dai Minnesota Timberwolves alla numero #13, grazie alle ottime impressioni lasciate alla Combine tenutasi a maggio a Chicago ed allo scomodo paragone di cui era stato insignito dopo le prime uscite in maglia Bruins. Nel circuito NCAA si parlava infatti di lui come il “nuovo Westbrook”, a causa dello strabordante atletismo ed del fatto che anche il play di OKC fosse transitato dalla storica università californiana.
I believe I can fly
Se da un lato c’erano, e ci sono tutt’ora, questi difetti, per quanto mitigati da due anni abbondanti di allenamenti e di apprendimento sul campo, non si può negare che già da matricola Zachary abbia mostrato tutte le qualità straordinarie che gli avevano concesso di essere considerato degno della pick #13 con cui lo aveva investito Minnesota. La principale caratteristica che aveva mostrato il figlio d’arte, padre professionista NFL e madre giocatrice di softball, era un mostruoso, esagerato, incredibile atletismo. La sua capacità di saltare ed aggredire il ferro era fenomenale, perfettamente inserito in un fisico da moderna combo-guard (1,96m) che mostrava anche una discreta capacità di tiro da dietro la linea da 3 punti.
Zach LaVine, che fino all’anno scorso entrava e usciva dal quintetto iniziale, si è preso le luci della ribalta con due prestazioni da urlo agli Slam Dunk Contest del 2015 e, soprattutto, del 2016, dove ha dato vita ad un duello fantascientifico con Aaron Gordon, uno dei migliori degli ultimi 10 anni, in una competizione che viene spesso ignorata dalle grandi stelle e che diventa quindi un’occasione per i giovani di mettersi in mostra. Mission accomplished:
Giunto ormai al 3° anno di militanza in canotta T’Wolves LaVine ha affinato la sua seconda grande caratteristica ormai è definitivamente diventato un ottimo tiratore sugli scarichi e, quando riesce a prendere il ritmo, è mortifero anche dal palleggio se non degnato delle giuste attenzioni da parte della difesa avversaria. I 21,2 punti a partita sono il premio per le responsabilità ed il ruolo da protagonista che il nuovo coach Thibodeau gli ha affidato sin dal suo primo giorno da capo-allenatore della franchigia. Per la prima volta in carriera, infatti, Zachary si è preso il posto in quintetto nel ruolo di guardia tiratrice, affiancando Wiggins e Rubio nel back-court dei Lupi ed è il giocatore che passa il maggior numero di minuti in campo (37,7 a partita). Inoltre, per la prima volta in carriera, gli viene affidata la palla in mano cercando di assecondare quel pensiero secondo cui potrebbe davvero diventare il nuovo Westbrook, soprattutto durante i periodi in cui si trova in campo senza Ricky Rubio.
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Pur non essendo un difensore fenomenale LaVine non è nemmeno un giocatore che va tolto dalle rotazioni difensive rappresentando il punto debole della squadra. Quello che va sottolineato è che tutto il quintetto base dei T’Wolves è composto da difensori leggermente sotto la media e questo li fa sembrare tutti dei pessimi difensori. Provo a spiegarmi meglio. Non avendo un ancora difensiva attorno a cui aggrapparsi per sopravvivere nell’inferno rappresentato dalla moderna NBA offensiva tutti i limiti di letture, di applicazione e di esperienza vengono messi a nudo e moltiplicati esponenzialmente tra di loro. I piccoli errori personali di tutti i giocatori del quintetto vengono sfruttati nella preparazione tattica da parte dei coach avversari ingigantendo i problemi difensivi di squadra. Se anche un coach famoso per la maniacale preparazione difensiva come Thibodeau sta faticando a trovare la quadra forse il problema sta più a fondo, nella composizione del roster.
Zachary 2.0
La sfida più affascinante, che l’ex allenatore Mitchell era restio ad affrontare e che invece Thib stia iniziando ad esplorare, sarebbe quella di insegnare a LaVine a portare il pallone ed a gestire il flusso offensivo della squadra, trasformandolo in una poderosa macchina da guerra. Sebbene i paragoni facciano più male che bene ad un giocatore, che può avere si un modello di riferimento ma che non dovrebbe mai puntare ad imitare qualcuno, in questo caso, le potenzialità per diventare una sorta di Russel 2.0 ci sono tutte.
L’atletismo e la capacità di attirare le difese su di sè sono da sempre presenti nel repertorio di ZLV ma cercare di installare una CPU da playmaker in un giocatore che non ha quasi mai mostrato istinti in tal senso è rischioso e potrebbe mandare in tilt il sistema. Quello che forse più urge a LaVine è quello di essere inserito in un contesto che presenta delle figure in grado di fargli da guida, in un discorso che potrebbe riguardare anche Wiggins e Towns, potenziali Superstar anche più di LaVine presei singolarmente, ma che non stanno rendendo come ci si sarebbe aspettato ad inizio stagione.
L’hype di inizio stagione attorno ai Minnesota Timberwolves, che li vedeva come potenziale sorpresa della lega in grado di ottenere un posto ai playoff gettando le basi con cui attirare anche free agent di peso, si è rapidamente sgonfiato, insieme ad un record di 10-21 che fa presupporre un ulteriore annata di sofferenza per i tifosi della franchigia. Per godere appieno della maturazione del trio di talenti sopra citati c’è il rischio di dovere smontarli, sacrificandone almeno uno per arrivare ad un obbiettivo di peso sul mercato in grado di esaltare le caratteristiche di quelli rimasti e di coprire le falle dettate anche dalla giovane età.
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Tra i 3 quello che rischia maggiormente di diventare pedina di scambio è proprio Zach Lavine, essendo colui che per lasciare un solco indelebile nella lega ha bisogno di una evoluzione più radicale e più difficile. Un eventuale scambio potrebbe consentirgli di sviluppare istinti che, oggettivamente, sembra lontano da acquisire oppure trasformarlo definitivamente in uno specialista a palla lontana che dispone anche di un ottimo arsenale vicino al ferro.
Se tra vent’anni mi ricapiterà in mano questo pezzo sarò in grado di darvi una risposta definitiva e magari potrò dire di avere previsto una trade che segnerà la storia NBA. Nessuno può dirlo ora, si può solo aspettare e sperare che Zachary si trasformi nella Next Big Thing che, potenzialmente, potrebbe essere.
I believe you can fly, spread your wings Zachary
Alberto Mapelli