Il 2016 sarà ricordato dagli appassionati del basket a stelle e strisce come un anno di lutti, un anno in cui si sono consumati tanti addii eccellenti che chiudono definitivamente un’era lasciando la barca, o forse sarebbe meglio dire la nave da crociera, NBA navigare verso un orizzonte ancora più ricco e più spettacolare, senza che si intravedano nubi all’orizzonte in grado di mettere in difficoltà un sistema ormai globale.

Il 2016 è stato l’anno del farwell tour di Kobe Bryant, consumatosi in lungo e in largo per un’intera regular season. E’ stato anche l’anno del silenzioso e commovente addio di Tim Duncan, che ha lasciato senza tanto clamore ma con un’enorme dignità umana e sportiva. L’abbandono di due figure così iconiche di numerose epoche cestistiche non deve, però, fare passare sottotraccia la lettera con cui, il 1° novembre 2016, Walter Ray Allen ha chiuso ufficialmente la sua carriera sportiva. E poco importa se la sua ultima gara giocata risale a gara-5 dei playoff 2014, in cui i suoi Miami Heat subirono la vendetta sportiva degli Speroni.

Il 2016 deve essere ricordato anche come l’anno in cui il miglior tiratore della storia ci ha fatto emozionare per l’ultima volta.

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Lupo solitario

Sei stato abituato ad essere il ragazzino che nessuno conosceva. La maggior parte della tua esistenza l’hai passata cercando di farti nuovi amici, cercando di mostrare alla gente che sei una brava persona e che non fai nulla di male. Sei stato abituato ad essere un outsider.

Questa è solo una citazione della bellissima lettera con cui Ray Allen annuncia l’addio al basket, e, come potete leggere, lui stesso si è riconosciuto nella figura del bambino isolato, del lupo solitario. D’altronde chiunque avesse vissuto la sua infanzia sarebbe cresciuto in questa maniera.

Immaginate, infatti, di nascere a Merced, California, terra del surf, delle spiagge e del sole, il 20 luglio 1975, un posto magnifico. C’è solo un piccolo problema: tuo padre è un militare e per lavoro viene trasferito da una base all’altra in giro per il mondo e non può fare altro che trascinarsi dietro la famiglia. California del nord, Germania, Oklahoma, Inghilterra e California del sud, a Denzell, dove ci sarà la svolta. Seguendo suo padre in giro per il mondo l’infanzia di Ray Allen è passata continuamente attraverso la situazione di essere quello diverso, quello straniero, quello nuovo, facendo nascere in lui un’indole piuttosto solitaria ed uno spirito di abnegazione per il lavoro sodo.

Da sempre, infatti, Ray è abituato a lavorare duro per divertirsi, a stare per ore sui campetti a giocare per fare nuove amicizie ed integrarsi, consapevole di come, di lì a qualche anno, quella fastidiosa routine si sarebbe ripetuta. La palla da basket diventa la sua migliore amica, fa parte della sua famiglia e lo segue ovunque vada. Il basket diventa il suo sfogo ed il suo mezzo di affermazione, lo strumento attraverso il quale diventare parte di una nuova comunità e attraverso cui mettersi in pace con il mondo. La ricerca della perfezione, tramite cui stupire il prossimo ed entrare così nelle sue grazie, diventa quasi un’ossessione, una sindrome da cui non guarirà nemmeno a Denzell, cittadina della California del sud, in cui inizia la sua epopea da giocatore e che si porterà a dietro per tutta la vita.

Negli anni trascorsi nella Hillcrest High School di Denzell il giovane Ray si afferma come un ottimo giocatore, riuscendo a trascinare la scuola alla vittoria di un titolo statale, aumentando anno dopo anno la sua fama all’interno degli ambienti del college. L’ultima stagione trascorsa al liceo la chiude con medie stratosferiche (28,5 punti, 13,5 rimbalzi e 5 assist a partita) attirando l’attenzione di parecchi college famosi. Finalmente è lui che può decidere cosa fare della sua vita, non deve più essere sballottato da una parte all’altra del globo. Walter Ray Allen è padrone del suo destino e quello che gli succederà dipende solo dalla sua volontà. Dopo una lunga riflessione la scelta ricade sull’Università del Connecticut: sarà un Huskies.

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Work hard

Fidati di me: a Dio non interessa se segnerai o sbaglierai il prossimo tiro. Dio ti ha dato e ti darà tante cose cose, ma non ti darà un jumpshot efficace. Quello può dartelo solo il duro lavoro quotidiano.

In questa frase si può trovare riassunta tutta la filosofia sportiva del giocatore Ray Allen, che è rimasta immutata dal primo giorno in cui ha iniziato a mettere piede su un campo da basket. Il college lo vive per tre lunghi anni, nonostante le voci che lo ritenevano in una buona posizione nel draft del 1995. Coach Calhoun gli farà sputare sangue durante ogni singolo allenamento e, in fondo, Allen non desiderava altro. La mentalità del suo coach potrebbe essere stata una delle motivazioni che lo trattenne un anno in più all’interno del sistema college basketball, tanto da fargli vivere un’annata da junior strepitosa, conclusasi con oltre 23 punti, 6 rimbalzi e 3 assist di media, oltre a mettere in mostra il suo jumposhot “divino” dietro la linea dei 7,25.

Nel draft 1996 viene selezionato con la pick #5 dai Minnesota Timberwolves che, secondo uno scambio già deciso a tavolino precedentemente, lo girano ai Milwaukee Bucks in cambio di Steven Marbury, selezionato alla #4 proprio dalla franchigia del Wisconsin. Misteri del draft.

Sin dalla prima stagione Allen parte in quintetto: nessuno può mettere in discussione il suo talento e la sua utilità in una squadra che naviga nei bassifondi della lega. Per tre anni i Bucks mancano l’approdo ai playoff fino a quando, nella stagione 98-99, le cose cambiano radicalmente. Sam Cassel, il nuovo playmaker, arriva a metà stagione da New Jersey, unendosi a Ray ed a Glenn Robinson e andando a formare i Big Three. Il cambio di passo lo dà, soprattutto, l’arrivo in panchina di George Karl, che dopo aver portato i Sonics fino alle Finals nel ’95-’96, era uno dei migliori allenatori della lega. Per due anni consecutivi Milwuakee viene eliminata al primo turno dai Pacers ma il gruppo sta crescendo ed Allen diventa sempre di più figura di riferimento all’interno di tutta la lega, non solo nella franchigia del Wisconsin.

Annata 2000-2001: finalmente i Cervi sembrano avere spiccato il volo e si presentano ai playoff da sfidanti numeri uno della Philadelphia di Allen Iverson, la risposta che tutti cercavano nella lega. Passano indenni i primi due turni, anche se Charlotte gli fa sudare 7 camicie per avere la meglio, ed approdano alle Finali di Conference, pronti per andare a giocarsi l’anello. Ray Allen gioca una post-season strepitosa, chiusa con 25 punti e 6 assist di media, ma di fronte al demonio in maglia 76ers nessuno riesce a resistere. La sconfitta in gara-7 fa crollare il castello di carte di Milwuakee, che si trova costretta a smobilitare una squadra andata ad un passo da disputare le Finals a causa di grossi dissidi interni, provocati, secondo i rumors dell’epoca, da una delle tre stelle della squadra, Glenn Robinson. Il 20 febbraio 2003 Ray Allen viene ceduto ai Seattle SuperSonics, andando alla ricerca di un nuovo ambiente in cui poter mettere in vetrina tutte le sue qualità.

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Una storia d’amore

A Seattle Ray rimane per 3 anni e mezzo ma, nonostante il rinnovo di contratto arrivato al termine della stagione 2004-2005, l’unica in cui i SuperSonics riuscirono a qualificarsi ai playoff mentre Allen vestì la canotta giallo-verde, non sembra essere nel posto giusto al momento giusto. Un giocatore nel pieno della sua carriera, un All-Star, un grandissimo tiratore non può accontentarsi di giocare in una squadra mediocre. Durante il draft 2007 Ray Allen viene quindi scambiato e spedito a Boston, assecondando sia la sua volontà di giocare in una squadra da titolo sia la volontà della franchigia di ringiovanire la squadra rifondandola dal principio.

I tifosi di Boston accolsero con entusiasmo la strategia che portò in città uno dei veterani della lega, una stella, ma ci furono legittimi dubbi sulle aspirazioni dei Celtics fino a quando, con un colpo da teatro, a Paul Pierce e Ray Allen venne affiancato “The Big Ticket”, alias Kevin Garnett, trasformando di colpo la franchigia più vincente della storia NBA in una pretendente al titolo. Al primo tentativo i Big Three bostoniani si portano a casa il miglior record della regular season, presentandosi ai cancelli di partenza dei playoff come i favoriti numeri uno per la corsa al titolo. Nonostante una falsa partenza e tanta fatica (che vogliono dire due gare-7) Boston elimina sia Atlanta sia Cleveland, senza un importante contributo di Ray, piuttosto in difficoltà. La risposta da campione arriva nelle finali di Conference contro Detroit, prima, e nelle Finals contro i Lakers, poi. Il doppio 4-2 fa laureare Boston di nuovo campione, dopo oltre 20 anni di assenza dal trono NBA.

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La storia tra Boston e Ray Allen, dopo una partenza così, non può che essere di amore profondo e reciproco. Passano insieme altri 4 lunghi anni tra alti e bassi ma senza riuscire mai a far ripetere quella straordinaria annata 2007-2008. Non che non ci provino, sia chiaro. Da campioni in carica non riescono a difendere il titolo alle Finals, arrendendosi agli Orlando Magic dell’astro nascente della lega, Dwight Howard, durante il secondo turno della post-season.

L’occasione per realizzare la doppietta si presenta nella stagione successiva, il 2009-2010, dove va in scena la riedizione delle Finals contro i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant. L’ormai veterano Ray Allen mette tutto sé stesso in campo per 7 gare ma, nonostante una gara-7 in cui mette il silenziatore al Mamba, su cui difende da campione per tutta la serie, vede scappare via il suo secondo anello. La chimica di squadra, come in ogni dinastia che si rispetti, prima o poi si perde e gli ultimi due anni si trascinano con due apparizioni ai playoff in cui, però, non hanno grande voce in capitolo; solo un miracolo potrebbe riportare Boston a giocarsi il titolo e, puntualmente, questo miracolo non si concretizza.

L’avventura più significativa della carriera di Ray Allen si conclude nell’estate del 2012 quando, un po’ a sorpresa, decide di andare a fare da scudiero ai Big Three più discussi della storia a South Beach. Ray Allen sarà nel roster dei Miami Heat campioni in carica.

The Shot

Reinventarsi sesto uomo, all’età di 37 anni, in un ambiente stracolmo di ego e di stelle non deve essere stato facile. L’uomo con più tiri da 3 realizzati nella storia della regular season e dei playoff va ad aggiungersi ad una squadra che può contare sul talento di Lebron James, Dwayne Wade e Crish Bosh. Il suo destino, anche se magari nuovamente vincente, è quello di passare in secondo piano e non essere più un attore protagonista. Eppure, eppure… la classe non invecchia e trova il modo di essere decisiva, rientrando nuovamente e prepotentemente nella storia della pallacanestro americana.

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Come da previsioni Miami è arrivata in finale ma dall’altra parte, questa volta, ci sono gli intramontabili San Antonio Spurs di Tim Duncan, Manu Ginobili e Tony Parker. Gli Heat giocano contro il mondo intero perché nessuno, a parte i tifosi di Miami, può tifare contro l’epopea degli Speroni e a favore degli “spocchiosi” Heat. Ed il mondo intero sembra poter ottenere la soddisfazione di veder vincere proprio la truppa di Popovich. San Antonio, infatti, sembra ad un passo per vincere nuovamente il titolo NBA. Dopo l’1 su 2 ai liberi di Kawhi Leonard gli Spurs si trovano avanti 95-92 con 20 secondi da giocare e la possibilità di trascinare la gara fino in fondo alternandosi dalla lunetta del tiro libero. La scelta (suicida) di San Antonio è quella di far giocare gli avversari. Il possesso di Miami produce una buon tripla di LeBron, che si spegne però sul ferro. Il rimbalzo offensivo di Bosh regala un’ultima speranza alla franchigia della Florida. Nella concitazione del momento l’unico che sa quello che deve fare sembra proprio essere il lungo ex Toronto. In un momento di ispirazione divina vede Ray Allen che si sta andando a sistemare nell’angolo. In una situazione di non-equilibrio Ray sistema i piedi dietro la linea da 3 punti e, con poco più di 5 secondi sul cronometro, impatta la partita. Su quel canestro, passato ai posteri come “The Shot”, la legacy degli Heat si consacra definitivamente e si portano a casa il secondo titolo consecutivo dopo una grandissima gara-7.

Nonostante il triennale firmato nel 2012 Allen decide di non giocare più alla fine della seconda stagione, quando la vendetta della banda di Popovich si consuma nella riedizione delle Finals 2014, con i nero-argento che riescono a regalare l’ultimo titolo della carriera di Tim Duncan. I successivi rumors che prevedono un possibile rientro in scena del bi-campione NBA non si traducono mai in realtà, fino alla già citata lettera di questo autunno che ci fa salutare un magnifico giocatore.

Un giocatore che ha vinto due titoli e lo ha fatto in due modi indimenticabili. La prima volta ha riportato il titolo nella franchigia più vincente della storia contro i rivali di sempre; la seconda volta è stato fondamentale per consacrare definitivamente la carriera di uno dei giocatori più forti di sempre.

Grazie di tutto Ray, you got game

Alberto Mapelli

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NbaReligion Team

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