In campo informatico si definisce bug un errore di programmazione del software. In alcuni casi il bug può rimanere a lungo nascosto, ma quando viene scoperto i suoi effetti possono essere devastanti. Ripensandoci, questa definizione rispecchia l’andamento della carriera di Stephen Curry. Arrivato abbastanza in sordina nel 2009, nei suoi primi anni ha, a grandi linee, rispettato le etichette che si portava dietro dal college: gran tiratore, tanti punti nelle mani, fisico esile, problemi alle caviglie. Un software di ottimo livello, perfettamente funzionante, ma nulla di straordinario, di rivoluzionario. Poi, ecco l’estate del 2014. L’aggiornamento. Arriva Steve Kerr, allenatore esordiente ed inesperto, ma con le idee ben chiare. Crede in Steph fin dal primo momento e gli concede massima fiducia. Per la prima volta in carriera Curry ha carta bianca sul parquet e delle caviglie che sembrano reggere. E poi, il bug che il nuovo aggiornamento ha portato: il “tiro alla Curry”, come verrà poi definito. Una sorta di evoluzione del tiro “ignorante” portato in auge dal nostro Gianluca Basile anni prima. Un tiro scoccato da ben dietro la linea dei tre punti, spesso direttamente dal palleggio, spesso con più di un uomo addosso. Un tiro che avrebbe fatto mettere le mani nei capelli a qualunque allenatore. Un tiro a bassissima percentuale per chiunque. Chiunque, tranne lui.
Non servono statistiche, basta andare a ripescare qualche highlight. Per tutte le ultime due stagioni Curry ha infilato quel tiro con una facilità imbarazzante, divenendo virtualmente immarcabile. Qualsiasi game plan difensivo è infatti andato in frantumi a causa della variabile non prevista; la pericolosità del numero 30 da quella distanza costringeva gli avversari a pressare fin dalla linea di metà campo, stancandosi molto più rapidamente e lasciando enormi buchi in penetrazione. Il colpo di grazia era costituito da un blocco portato ad esempio dall’ “orso ballerino” Draymond Green: per non subire il ben noto tiro la difesa era costretta o a cambiare sistematicamente, lasciando un lungo in balia dei crossover di Steph, o a raddoppiare il playmaker dei Warriors, lasciando completamente libero un tiratore dal 38% da tre ed un fine passatore come Green.
Con Holiday e Davis costretti al cambio, Curry ha tre possibili soluzioni: pull-up jumper, attaccare in palleggio Davis o scaricare per Green. Sceglie la prima: fondo della retina.
E poi? E poi sono arrivati i playoff e le Finals. Vuoi per la pressione, la stanchezza, le difese più arcigne, la non perfetta forma fisica, il rendimento di Curry inizia a calare, così come quello della sua squadra. E le crepe nascoste dal 73-9 iniziano a palesarsi: prima fanno capolino in maniera silenziosa contro Portland, poi si manifestano in tutto e per tutto contro OKC. E infine costano il titolo alla corazzata della Baia, costretta a vedere i Cavaliers trionfare sul proprio campo. Inevitabilmente le critiche si concentrano sul figlio di Dell, additato come principale colpevole della disfatta. Analisi grossolana e certamente riduttiva, ma non completamente inesatta. Curry non ha giocato al suo meglio, e questo è un dato di fatto. In particolare, sembrano essere venute meno quella freddezza e quella sicurezza nei propri mezzi al limite della sfrontatezza che gli hanno permesso di diventare il giocatore che è oggi.
L’estate e l’arrivo a Oakland di Kevin Durant non hanno certo migliorato le cose da questo punto di vista.L’avvento di una stella come il numero 35 ha messo in discussione la leadership tecnica di Steph, ed i risultati si vedono. La squadra continua a volare come negli anni precedenti, magari meno spumeggiante ma sempre schiacciasassi, ma il nativo di Akron non ha più tutti i riflettori puntati addosso. Al di là delle cifre, inevitabilmente in calo a causa della necessità di condividere di più il pallone, è la pericolosità offensiva ad essersi ridimensionata. No, il maggiore degli Splash Brother non si è tutto a un tratto scordato come si gioca. Ma sembra aver perso la capacità di andare in campo con la testa completamente sgombra, e di conseguenza quella di prendere (e segnare) i numerosi “tiri alla Curry” degli anni precedenti.
Il basket non è informatica. Non è arrivata nessuna patch correttiva che di punto in bianco ha eliminato il bug, ma una serie di fattori che hanno determinato la momentanea eclissi di quel particolare tiro. Tutto finito dunque? Non esattamente, poiché non è stata presa in considerazione una delle altre grandi doti di “The Baby-Faced Assassin“: un’intelligenza cestistica fuori dal comune. L’ex giocatore di Davidson non è certo rimasto con le mani in mano, ma ha iniziato a lavorare per poter mettere il suo talento a disposizione della squadra in un modo diverso.
Le cifre parlano chiaro: riferendoci ai tiri effettuati oltre i 30 piedi (corrispondenti a circa 9 metri), Curry ha tentato 39 conclusioni segnandone appena 10 (25%), a fronte dei 45 con 21 segnati (46%) dell’anno precedente. Un netto calo, ancor più accentuato se si spalmassero i numeri di queste prime 55 partite sull’intera Regular Season. Vedendo la sua arma letale offensiva temporaneamente inefficace, Steph ha cercato altri modi per punire la difesa. Nello specifico cerca sempre di attaccare dal palleggio il lungo avversario sui cambi, in modo da attirare più avversari possibili in aiuto. A questo punto scarica ad uno dei numerosissimi tiratori del roster di GSW (con risultati facilmente intuibili) o conclude con un letale layup sfruttando spesso e volentieri il tabellone, guadagnandosi punti e falli subiti. Inoltre è migliorato nella gestione, facendo sempre più spesso la cosa giusta al momento giusto, e nello spirito di sacrificio, effettuando più blocchi per i compagni nonostante la struttura fisica non certo da gigante.
Meno highlights e spettacolo, più solidità e versatilità. Cambiamento in meglio o in peggio? Difficile dirlo, ciò che è certo è che il bug si sta dimostrando più difficile del previsto da debellare.
Nel 1927 Werner Karl Heisenberg formulò il suo famoso principio di indeterminazione, secondo il quale la sola osservazione di un fenomeno influisce, anche in misura minima, sul fenomeno stesso. Da qui deriva il termine heisenbug, definizione utilizzata in informatica per definire un particolare tipo di bug che sembra scomparire o variare quando si cerca di neutralizzarlo. Ovviamente la pericolosità aumenta in maniera esponenziale, poiché diventa estremamente complesso prevedere il suo comportamento. Questo, è dunque, il nuovo rompicapo delle difese di tutta America quando affrontano Stephen Curry: non sai come ti colpirà, ma puoi star certo che lo farà, direttamente o per mezzo dei suoi commilitoni. E se dovesse ritrovare il tiro da 4? Auguri al tecnico che dovrà fare il debugging…
Enrico Busseti
Guarda i commenti
Lui è il bug, James la patch.