Nel 1966 Sergio Leone mette la firma su quello che verrà ricordato come la quintessenza del genere spaghetti western: esce al cinema, infatti, l’ultimo capitolo di quella che verrà definita la “trilogia del dollaro” leoniana insieme a “Per un pugno di dollari” e “Per qualche dollaro in più”. “Il buono, il brutto e il cattivo” sbanca i botteghini in tutto il mondo ed entra per sempre nella cultura cinematografica mondiale, accompagnato sapientemente dalla maestosa colonna sonora del maestro Ennio Morricone.
Il Biondo, Tuco e Sentenza quest’anno hanno deciso di reincarnarsi all’interno di tre stelle NBA per dare vita ad un meraviglioso triello all’interno delle arene degli Stati Uniti d’America, tanto che la tensione, specie in alcune gare, si sfoga anche sulle comparse del kolossal. Questo paragone cinematografico ci serve per restringere il campo sulla corsa all’MVP che, mai come quest’anno, sembra doversi risolvere all’ultimo respiro. A dicembre, data la straordinaria partenza di un’ottima parte delle superstar della lega, avevamo deciso di dare un taglio panoramico nella prima puntata di questo approfondimento sulla corsa al premio individuale più ambito della regular season.
Arrivati a questo punto della stagione, con la pausa per l’All Star Weekend, ci è sembrato doveroso restringere il campo su coloro che stanno davvero tirando fuori dal cilindro conigli con costanza, tenendo un rendimento ed un impatto sull’economia del destino della relativa franchigia ad un livello decisamente alto. Andremo a restringere l’inquadratura su Russel Westbrook, James Harden e Kevin Durant che, per ironia della sorte, stanno disputando una delle migliori stagioni della propria carriera in contemporanea e purtroppo, per i tifosi di OKC, quando ormai le loro strade si sono divise senza possibilità apparenti di farle convergere nuovamente.
Russel Westbrook – Il Buono
Credits to: For The Win – USA Today via Google
Stats per game – 31.1 pts, 10.5 reb, 10.1 ast, 42.4 fg%, 33.8 3p%, 5.5 tov
Nella percezione dei semplici appassionati dopo le vicende estive Russel Westbrook si è eretto a paladino della giustizia, fedele al proprio simbolo ha deciso di caricarsi sulle spalle tutta Oklahoma City per tentare di farla rimanere ai piani alti della stratificata NBA odierna. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. La lucida follia del numero #0 sta producendo una stagione storica di cui forse realizzeremo a pieno la portata solamente quando sarà terminata. Dopo 57 gare di regular season Russel viaggia ancora ad un ritmo di tripla doppia di media e sembra poter portare fino in fondo l’impresa di pareggiare Oscar Robertson in tale categoria. Con la tripla doppia rifilata ai malcapitati Knicks nell’ultima partita prima della pausa All-Star Russel si è già issato sul podio storico per numero di triple doppie stagionali a quota 27, avendo nel mirino Wilt Chamberlain a quota 31 ed iniziano ad intravedere sulla vetta (manco a dirlo) Big O che aspetta a 41. Andando a questo ritmo Russel potrebbe riscrivere la Storia e, di conseguenza, viene facile pensare che se inizierà a fiutare la reale possibilità nei pressi del traguardo potrebbe incrementare ancora il livello del suo gioco.
Non è tutto oro quello che luccica perchè, come ogni buono che si rispetti, ha anche lui un lato oscuro con cui deve combattere. Mentre il personaggio rappresentato da Clint Eastwood prova pietà per tutti i caduti in guerra l’eroe di OKC non fa sconti a nessuno e, nell’ultimo scontro ravvicinato, non le ha certo mandate a dire alla sua vecchia spalla, nonché attuale avversario nella corsa all’MVP. Scherzi a parte in una stagione così perfetta ci sono due nei che fanno da appiglio per i suoi detrattori.
Il primo è decisamente un problema tecnico ed è rappresentato da una parte dalle troppe palle perse (più di 5 palle perse a partita sono un’enormità, spesso causate dalla voglia di strafare) e, dall’altra, da un numero di tiri presi fuori da ogni logica. 24 tiri presi dal campo a partita sono una cifra folle qualsiasi giocatore che, inevitabilmente, fa calare le sue percentuali. Se si pensa che è a meno di 100 tiri dal pareggiare quelli presi durante la scorsa regular season si comprende la crescita esponenziale della centralità di Russ nel sistema Thunder rispetto al passato.
Il secondo, invece, è il rendimento di squadra. Rispetto alla nostra prima analisi i Thunder si sono visti scavalcare da numerose franchigie e sono precipitati fino alla settima posizione. Il fattore campo ai play off resta decisamente un miraggio ed il recente confronto diretto con gli attuali numeri uno della lega ha messo in mostra l’abisso tecnico che c’è tra le due squadre. Al momento non si può immaginare che una onorevole sconfitta al primo turno ed indubbiamente la settima posizione nella classifica di Conference è un fattore che peserà in questo duello all’ultimo sangue per il riconoscimento più ambito.
James Harden – Il Brutto
Credits to: My Three Sents: Sports. Buisness. Life
Stats per game – 29.2 pts, 8.3 reb, 11.3 ast, 44 fg%, 35.3 3p%, 5.8 tov
Ci perdonerà James Harden se il ruolo del Brutto lo abbiamo affibbiato a lui ma siamo dovuti andare per esclusione visto che le vicende estive avevano assegnato di default gli altri due alter ego. Brutta deve essere anche la sensazione di trovarsi contro il #13 originario dei sobborghi di Los Angeles in questa regular season dato che gli Houston Rockets sono la più grande sorpresa dell’anno. Dopo la cessione di Howard e la panchina affidata a D’Antoni tutti si aspettavano una stagione di gioco spettacolare e risultati altalenanti. Ed invece, contro ogni logica, l’ex allenatore dei Suns ha trovato un gruppo che si cala perfettamente nel suo gioco tutto velocità e tiri da 3 e in James Harden la stella cometa in grado di indicare il cammino. Il risultato è la miglior stagione dell’intera carriera sotto il profilo dell’impatto sull’economia di Houston. Dai 12 e passa assist di media ad inizio stagione è sceso a 11 e spiccioli ma rimane saldamente in testa alla classifica di specialità ed è al terzo posto per quanto riguarda i top scorer.
Oltre ad una straordinaria stagione individuale il fattore che può dare la spintarella decisiva per ottenere il premio di MVP è, come abbiamo accennato poco fa, la sorprendente classifica dei Rockets. Con il passare delle partite, invece di sgonfiarsi, la bolla rappresentata dal rendimento della franchigia della terra NASA è decollata e si è consolidata come terza forza nel competitivo West. Complice la vertiginosa discesa dei Clippers, dovuta ad un mix di infortuni, sfortuna e incapacità di gestire i momenti difficili, i Rockets sono pressoché certi di chiudere le 82 partite tra le prime 4. Il che significa fattore campo ai playoff e, in caso di 2° o 3° posto, rimandare il problema Golden State fino ad una eventuale finale di Conference. La prevedibile gestione dei minuti di Popovich nell’ultima parte di stagione permette anche ai tifosi di Houston di sognare la seconda testa di serie. James Harden in tutto questo è il deus ex machina.
Ma cosa potrebbe fargli perdere il titolo di miglior giocatore della Lega? Sicuramente le 5.8 “pallottole” perse a partita gridano vendetta ma sono anche naturale conseguenza del numero dei possessi che Harden è costretto a gestire ogni volta che scende sul parquet, a cui si somma la velocità del gioco di coach D’Antoni e la canonica difficoltà a mantenere la concentrazione ai massimi livelli per lunghi periodi, comunque migliorata quest’anno. Ma a fare la differenza potrebbe essere quello che farà l’altro grande favorito perché se dovesse davvero riuscire a concludere la stagione a quelle medie scrivendo così una pagina di storia del Gioco sarebbe difficile non dargli il premio. In sostanza, oltre a continuare a sciorinare prestazioni sublimi (siamo a 14 triple doppie stagionali anche per il nostro Tuco), si trova nell’infame posizione di dover sperare in un calo rendimento di Westbrook. Per il momento, però, non si può fare altro che togliersi il cappello di fronte alla super stagione di Capitan Barbanera.
Kevin Durant – Il cattivo
Credits to: playbuzz.com via Google
Stats per game – 25.8 pts, 8.3 reb, 4.9 ast, 53.9 fg%, 37.4 3p%, 1.7 bpg
Sentenza è chiamato il cattivo di Sergio Leone e Sentenza può essere definito Kevin Durant in questo primo scorcio della sua esperienza in maglia Warriors. Rispetto alla nostra prima analisi sono calati sia i punti a partita sia le percentuali dal campo che, francamente, erano insostenibili. E allora cosa ci ha convinto ad inserirlo come terzo incomodo? Il fatto è che il quasi 54% dal campo è molto più significativo di quanto il mero dato numerico possa dire. Quello che impressiona di questa versione di KD è la facilità con cui è sempre più integrato nel sistema offensivo e soprattutto difensivo della franchigia della Baia. Alla pausa i Warriors sono arrivati dopo un crescendo di prestazioni e di convinzione tanto che la partita in casa Thunder può essere presa come manifesto della differenza attuale tra la franchigia californiana e la middle class della lega. A questo livello sembrano davvero ingiocabili. E Kevin Durant è una delle parti fondamentali di un meccanismo quasi perfetto.
Difensivamente è ormai leader insieme a Draymond e offensivamente è semplicemente una sentenza. La capacità di alzare il livello nei momenti chiave delle partite è esattamente ciò di cui Golden State avrà bisogno in post-season e la possibilità di isolarlo in post sui cambi difensivi favorevoli sembra, ad ora, un rebus irrisolvibile per le difese avversarie che non possono permettersi di sganciare un uomo dai cecchini appostati sul perimetro.
Cosa lo separa allora dal secondo titolo di MVP della regular season? Il paradosso del fatto che le sue straordinarie qualità siano esaltate in un sistema più collettivo come quello della Baia è che le mere cifre non sono così esaltanti; o meglio, non sembrano esaltanti conoscendo che straordinario giocatore sia Kevin Durant e risultano quasi modeste vista l’annata dei suoi due ex compagni di squadra. La risalita di Stephen Curry ai suoi livelli stratosferici dopo i primi mesi trascorsi ad occuparsi di far sentire il benvenuto l’ex Thunder calamitano qualche possesso nelle mani del #30 e qualche tiro in meno in quelle del #35 (15 tiri presi a partita a febbraio contro i 17 abbonanti dei primi mesi).
La sensazione è che Durant sia solo il terzo incomodo nella sfida tra i due playmaker di Houston e Oklahoma, pronto a elevare la propria candidatura solamente in caso di un crollo verticale di entrambi gli ex-compagni, ad oggi difficilmente pronosticabile. Inoltre, la possibilità (concreta) che una volta ottenuto il miglior record NBA Kerr inizi ad applicare un “turnover spursiano”, memore della debacle passata, potrebbe definitivamente fare uscire di scena il cattivo Durant. Comunque vada a finire, l’MVP annuale sarà uno dei più combattuti degli ultimi anni, prima di lasciare che l’attenzione del mondo NBA si sposti sulla rincorsa al Larry O’Brien Trophy.
Alberto Mapelli