Ho scelto il numero “0”, qui ai Pelicans, perchè voglio ricominciare da capo. Qui inizia la mia nuova vita.

La “new life” di DeMarcus Cousins è iniziata solamente qualche giorno fa ed è ancora presto per avere una idea ben delineata sull’andamento di questo rapporto d’amore nato all’improvviso con la franchigia di New Orleans. Che si è acceso e ha dato “scandalo” in tutto il mondo NBA durante l’All-Star Weekend, rappresentando l’unico vero botto di questo mercato. DeMarcus Cousins, la (apparente) pietra angolare su cui si sarebbe dovuto basare l’ennesimo tentativo di ricostruzione della franchigia di Sacramento, è finito ai Pelicans con una trade che, a chiunque abbia una minima conoscenza della pallacanestro americano, è sembrata un mezzo suicidio da parte della franchigia californiana. Solo una discreta dose di fortuna potrebbe regalare ai Kings una ottima chiamata al draft e contemporaneamente far diventare Buddy Hield il nuovo “Stephen Curry”. Una scommessa che definire azzardata  è poco. Ma (anche) sulle “bizzarre” scelte dirigenziali di Sacramento ci siamo già concentrati in questo pezzo.

Riportiamo allora la nostra concentrazione su Boogie. Le qualità del nuovo #0 dei Pelicans sono conosciute da tutta la lega e qualsiasi franchigia con legittime ambizioni deve averci fatto un pensierino. Soprattutto dopo aver visto il prezzo pagato da New Orleans per ottenere uno dei top 15 della lega, un giocatore che da solo può spostare parecchio. E allora come mai è finito a New Orleans? Perché nessun’altra franchigia è stata disposta a sacrificare due buoni giocatori di rotazione e due scelte (di cui una al secondo giro) per un giocatore determinante? La risposta è da ricercare nel suo passato.

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Leggerezza

Ok, “leggerezza” a prima vista potrebbe essere un titolo non azzeccatissimo per un ragazzone che balla tra i 120 e i 130 chili. Eppure è il primo termine che mi è venuto in mente vedendo il balletto che ha messo in scena il ragazzo durante il suo periodo di reclutamento  per il college. Promettersi a ben due college e poi sceglierne un terzo non è roba di tutti i giorni eppure DMC l’ha fatto, ed anche con una certa spensieratezza, una leggerezza mentale appunto. E poi, vedendo questo coast to coast, a voi sembra così pesante? Lo fa con una tale naturalezza che non sembra essere così “grosso”. Il momento in cui te lo ricordi è quando passa come un treno sul malcapitato Crowder.

DMC (Shaqtm) nasce a Mobile, Alabama, il 16 agosto 1990. Come tanti, tantissimi altri giocatori già dalle prime partite alla John L. LeFlore High School della sua città natale mette in mostra un arsenale davvero completo ed un ottimo livello di coordinazione e agilità per uno della sua stazza. La crescita esponenziale lo porta a dominare in lungo e in largo. L’anno da senior si chiude con medie da sogno: 24.1 punti, 13.2 rimbalzi, 4,6 assist, 5 palle rubate, e 3 stoppate a partita e, ovviamente, non può che avere gli occhi addosso di tanti, tantissimi college.

E qui inizia il balletto di Boogie: sfoglia la margherita staccando un petalo alla volta e alla fine sceglie l’università di Memphis. No, un secondo, nel 2008 si era già “promesso” alla UAB (University of Alabama at Birmingham), ovvero l’università più importante dello stato natio che si era mossa in anticipo per tenersi stretta il pupillo di casa. Ma non aveva firmato la sua “letter of intent”, la lettera con cui si aderisce alla NCAA per un determinato college. La motivazione ufficiale per il suo cambio di idea è che nel frattempo l’allenatore è cambiato e lui aveva accettato solo per Mike Davis. A Memphis invece c’è uomo che stima molto, John Calipa… ehi, un momento, Calipari è appena andato a Kentucky. Niente lettera nemmeno con Memphis che va a tanto così dall’assicurarsi il ragazzo dell’Alabama. La University of Kentucky si affretta a far firmare a Boogie.

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Già da questo episodio si può trarre un profilo del ragazzo, tanto bizzoso quanto talentuoso. Passa un solo anno al college (se ve lo state chiedendo la risposta è no, a Boogie non interessava laurearsi) e lascia intravedere un potenziale da giocatore franchigia NBA. Tra l’altro Calipari quell’anno poteva disporre anche di John Wall e Eric Bledsoe: come possano essersi fermati alle Elite Eight è un mistero della fede, o meglio, del college basketball.

“DeMarcus is one of the most talented big men I’ve ever had. He has tremendous ball-handling skills for a player his size. His combination of size and shooting ability should make him tough to defend. He has a mean streak on the court that gives him an edge.”

Musica e parole di John Calipari, uno che di giovani fenomeni se ne intende. Con questa benedizione e 15+10 punti e rimbalzi di media in soli 23 minuti di utilizzo DeMarcus si rende eleggibile al draft 2010, insieme al suo compagno di squadra John Wall. Il play finisce a Washington da prima scelta assoluta, Big Cous viene chiamato alla #5 da Sacramento.

Re matto

DeMarcus a Sacramento si presenta decisamente bene venendo nominato Rookie del Mese di Luglio, in pratica la miglior nuova leva NBA durante la Summer League. Si ambienta talmente bene che si fa conoscere a fondo da tutti i componenti della franchigia, dai compagni alla dirigenza, compreso lo staff tecnico. Il problema è che Cousins non è solo movimenti in post che uniscono sciabola e fioretto, non è nemmeno una buona tecnica di tiro dalla media o una grande presenza nel pitturato sui due lati del campo: DMC è anche scatti di rabbia, incapacità di tenere sotto controllo le emozioni, scarsa capacità di gestione dei rapporti sul campo con compagni e avversari e una voragine al posto della bocca con cui prendersi falli tecnici a non finire. Boogie è anche una testa matta.

In questa compilation non si può non notare come Boogie sembra in perenne lotta con i demoni interiori. Sa che non deve reagire, sa anche che a volte gli arbitrino sbagliano esattamente come sbaglia lui eppure non ce la fa. A guardarlo sembra un vulcano che inizia a sentire la lava ribollire, tenta di contenerla e poi la sputa fuori moltiplicandone la violenza. La fama che si è creato poi non lo aiuta di certo e c’è la sensazione, condivisa anche dal diretto interessato, che gli arbitri lo abbiano preso un po’ di mira. Durante questa stagione ha scritto il suo nome anche nel libro dei record, purtroppo in maniera negativa. A febbraio gli è stato chiamato il 16° fallo tecnico stagionale (terza volta in carriera, altro record) per cui scatta in automatico la sospensione di una gara: è il più veloce di sempre ad aver raggiunto questo “traguardo”.

Di episodi significativi della lotta che combatte contro il proprio io interiore ogni santissimo giorno ce ne sono in abbondanza. Si parte dal litigio con coach Westphal che gli impedì di disputare una gara contro i New Orleans Hornets (ironia della sorte), si passa al diverbio con il grande ex degli Spurs Sean Elliot, allora commentatore, colpevole di averlo accusato per un trattamento non pienamente” legale” ai danni di Duncan durante una partita con gli Spurs nel 2012 (valsa due giornate di sospensione), per arrivare al pugno rifilato a Patrick Beverly nel 2014 in un match con gli Houston Rockets.

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E’ stato così per ben sei lunghissime stagioni e per sei anni i tifosi di Sacramento lo hanno adorato. Un amore ricambiato perché in fondo è un ragazzo buono, uno che al momento della sua firma sull’estensione del contratto con i Kings nel 2013 ha donato un milione di dollari in beneficenza alle famiglie in difficoltà di Sacramento, uno che si è sempre prestato ad iniziative per supportare persone in difficoltà (come regalare un auto ad una famiglia), uno che solamente il 17 febbraio aveva giurato amore ad una franchigia disastrata come quella in mano a Ravanadive.

E poi, parlandoci chiaro, in una franchigia che non disputa una serie di playoff dal 2005/2006 i falli tecnici e le giornate di sospensione di un atleta in grado di tenere una media di 21 punti, 10 rimbalzi e 3 assist in 471 partite sono problemi che devono finire in fondo alla lista delle priorità da risolvere. Sono chiaramente un punto debole di Cousins, ormai è innegabile e difficilmente eliminabile completamente, ma i Pelicans non devono spaventarsi di questo e hanno il compito di puntare in maniera decisa su questo re matto dal cuore d’oro.

Twin Towers

Torniamo infine al punto di partenza. Siamo arrivati davvero al punto di svolta per la carriera di Cousins? Siamo di fronte all’inizio di una nuova vita per il figlio di Monique e Jessie Cousins come da lui stesso dichiarato? Le prime tre partite disputate dal nuovo numero #0 della franchigia della Lousiana sembrerebbero dire il contrario. 3 partite in coppia con Davis hanno fruttato solo 3 sconfitte, di cui una molto pesante in ottica 8° posto contro i Mavs, e l’ennesimo fallo tecnico della carriera di DMC (e siamo a 18 stagionali).

Eppure non dobbiamo farci distrarre da ciò che (al momento) è di secondaria importanza, come il risultato. Ciò che importa è che le prime riflessioni sulla più che possibile convivenza tra la nuova stella della squadra e mister Anthony Davis si stiano dimostrando corrette. Possono davvero essere più di una intrigante scommessa e rivelarsi come una delle coppie di lunghi meglio assortiti della lega. Di Twin Towers è piena la storia NBA ma forse nessuna aveva caratteristiche così eclatanti nel complesso.

Credits to: twitter.com

Stiamo parlando di due All-Star che si stanno avvicinando al prime delle loro carriere (Davis ha ancora margini di miglioramento soprattutto in fatto di esperienza e malizia) in grado di giocare spalle a canestro o di attaccare in palleggio, in possesso di un eccellente tiro dalla media ed in grado di allargare il campo appostandosi sul perimetro per dare più soluzioni offensive alla squadra. Potremmo iniziare a vedere qualche pick&roll 4-5 con uno dei due a portar palla e l’altro a fare il bloccante aprendo voragini all’interno del pitturato avversario. La capacità di vedere l’uomo smarcato sui raddoppi che le difese dovranno fare in caso di accoppiamenti favorevoli ad una delle due “torri” sarà una delle chiavi per sfruttare al massimo le potenzialità della coppia da sogno.

La prova del 9 è arrivata nella sconfitta contro Oklahoma in cui, nonostante la sconfitta, Cousins e Davis hanno dato spettacolo e sono stati fermati solo dal candidato numero uno nella corsa all’MVP. I problemi di New Orleans ora si chiamano “pacchetto esterni” e “panchina” che non sono assolutamente al livello delle due star e che non sono in grado di aumentare al massimo la pericolosità della loro convivenza sul parquet. Un mercato estivo con i botti, aiutato da una buona situazione finanziaria e dall’hype generato dalla recente unione, potrebbe inserire una nuova contender sulla mappa NBA.

La sua nuova vita è appena cominciata e, forse, in questi giorni la radio passerà una canzone che a DeMarcus sembrerà lo specchio dei suoi sentimenti nei suoi primi, spensierati, giorni a New Orleans: “It’s a new dawn, it’s a new day, it’s a new life for me… and i’m feeling good”

Alberto Mapelli

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NbaReligion Team

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