Coach Of The Year: Mike D’Antoni

“We’re not fan of threes. We’re fan of winning.”

Quando Daryl Morey, GM degli Houston Rockets, deve spiegare perché la sua squadra tiri così tanto da tre punti, la sua risposta è sempre la solita: non è una questione di triple, ma di vincere le partite. La scorsa turbolenta stagione aveva posto molti dubbi sull’efficacia della Moreyball ― la filosofia che prende appunto il suo nome e che si basa su prendere una marea di triple e tiri liberi, non considerando il resto ― e la decisione di affidare la panchina a Mike D’Antoni non aveva di certo aiutato a cambiare l’opinione generale, viste le ultime avventure sulla panchine di Knicks e Lakers. Così come non avevano aiutato le voci su di un James Harden svogliato e troppo primadonna per giocare accanto ad altre superstar e una free agency scialba, con gli arrivi di Eric Gordon e Ryan Anderson a presagire ancora meno difesa ed ancora più disfunzionalità.

Oggi, dopo cinque mesi di regular season, gli Houston Rockets sono una delle migliori squadre della Lega. Terzi ad Ovest (ma con un record migliore dei Cavs, primi ad Est) i texani stanno giocando una delle pallacanestro più di divertenti e concrete di tutta la NBA, e se nella gestione McHale il loro gioco sembrava aver toccato vette esasperate ― in una lega che comunque anno dopo anno tende sempre in quella direzione ― con Mike D’Antoni la filosofia è diventata ancora più estrema, visto che i Rockets tentano QUARANTA triple a sera. Ma ancora una volta non è questione di tirare da tre tanto per tirare, quanto perché è la cosa più giusta da fare.

Con un’ efficienza offensiva di 112.3 punti l’attacco di Houston è il secondo migliore della Lega, dietro solo allo juggernaut di Golden State. Mike D’Antoni è stato bravo a trovare subito uno starting-five che funzionasse, tant’è vero che con i titolari i Rockets spaccano subito le partite (+13.8 di Net Rating) segnando 121.4 punti su cento possessi. Ovviamente la straordinaria stagione di James Harden sta dando una grossa mano. Dopo la recente partita giocata sul campo dei Denver Nuggets, chiusa con una tripla doppia da 40 punti 10 rimbalzi e 10 assist Harden è diventato il primo giocatore nella storia della NBA ad aver realizzato due triple doppie in back-to-back per più di una volta nella stessa stagione. Basterebbe questo per spiegare la sua stagione.

Lo scorso Dicembre ho avuto modo di vederli giocare live a Phoenix e dopo la vittoria 125-111 contro i Suns, Mike D’Antoni in conferenza stampa ammette di fidarsi totalmente della sua gestione: “In ogni partita sembra sempre essere in controllo di quello che gli succede attorno e questo permette a lui e ai suoi compagni di essere sempre nelle migliori condizioni di segnare”. Non a caso infatti, oltre a segnare quasi 29 punti di media, guida la classifica degli assist con un career high di 11.3 cioccolatini regalati a sera. Morey e D’Antoni lo hanno messo nelle migliori condizioni possibili, circondandolo di tiratori e cucendogli addosso un sistema che ne facesse esplodere i pregi, rendendolo (complice anche la partenza di Howard) il sole copernicano attorno al quale ruota tutta l’organizzazione.

Una delle azioni più classiche di Harden. Il suo controllo tecnico e del corpo è una delle cose più incredibili da vedere su di un campo da basket. Indipendentemente da come finirà la sua stagione ― che già così è leggendaria, ma leggendaria per davvero ― vederlo giocare così è una cosa bellissima.

Da quando Mike D’Antoni occupa il pino in Texas, Harden va molto più spesso anche a rimbalzo. Così facendo permette alla sua squadra di essere pericolosa fin dal primo secondo dell’azione: non è strano infatti vedere Harden lanciare un proprio compagno, scappato immediatamente in attacco dopo il tiro degli avversari. Gli Houston Rockets effettuano tanta transizione offensiva ― oltre il 18% del loro attacco ― e nonostante gli avversari non ci provino neanche ad andare a rimbalzo d’attacco, Harden è bravo a far partire assist perfetti per ogni zona del campo. E poco importa se c’è il rischio di una palla persa, il range degli assist del Barba è pressoché illimitato e anche quando devono percorrere otto o nove metri, i suoi passaggi non perdono di efficacia.

Uno degli assist più caratteristici dell’Harden di quest’anno è questa specie di lob in corsa a due mani dal petto. Nonostante la difesa in transizione dei Knicks sia inguardabile la precisione e il rilascio della palla è davvero notevole.

Come risaputo, le squadre di Mike D’Antoni sono famose per giocare sempre a ritmo alto, e anche questa edizione degli Houston Rockets non è da meno visto il quarto PACE (102 possessi a partita) complessivo in NBA. Ma la squadra è strutturata anche per giocare un attacco letale a metà campo. Harden è in grado di poter segnare in qualsiasi momento: anche se il 36% della sua produzione offensiva avviene tra il quindicesimo ed il settimo secondo dell’azione, il Barba è tra i ultimi i primi cinque giocatori della Lega per conclusioni tentate negli ultimi quattro secondi.

La sua pericolosità è favorita (e favorisce al tempo stesso) dalle perfette spaziature ― preventivabile per una squadra allenata dal creatore della Seven Seconds or Less ― cosa che porta le difese avversarie quasi sempre a dover compiere delle scelte disperate. Gli Houston Rockets posizionano due giocatori negli angoli e uno nel mezzo angolo (o destro o sinistro non cambia). Sempre. In questa foto, che ho scattato durante la partita di Phoenix, i tre esterni di Houston occupano le posizioni prefissate anche quando il gioco è fermo per un consulto arbitrale al tavolo. Quello che però rende gli esterni dei biancorossi così terrificanti è la loro tendenza a stare molto al di fuori della linea da tre punti. I Rockets infatti sono la squadra che ha tentato più triple tra i 7.5 e i 9 metri di distanza, con ben tre giocatori (Gordon, Harden e Anderson) tra i primi cinque della NBA per tentativi a partita. Insomma non si tratta solo di tirare tanto da tre: si tratta di tirare tanto da tre da lontanissimo.

Una classica situazione di transizione offensiva dei Rockets. Dopo aver portato il blocco centrale alto Anderson si apre (pop) sul perimetro e spara da tre punti da oltre nove metri, rendendo impossibile un’efficacie rotazione difensiva di Aldridge, che arriva tardi e non può fare niente per contestare il tiro.

In questo Anderson e Gordon sono fenomenali. Arrivati tra lo scetticismo generale (ma soltanto per via delle ripetute astinenze difensive, che fossero eccellenti tiratori nessuno lo metteva in dubbio) sono entrambi parte integrante del progetto dei Rockets. Il primo sta vivendo una stagione al tiro pazzesca e basta guardare la sua mappa di tiro per capire che è un’arma illegale. Gordon, finalmente ristabilito dagli infortuni, è uno dei più seri candidati a miglior sesto uomo dell’anno: uscendo dalla panchina assicura bilanciamento alle rotazioni e playmaking quando Harden riposa in panchina. Insieme ad Ariza ― altro pezzo insostituibile per D’Antoni nonché miglior amico del Barba all’interno dello spogliatoio ― rappresentano una batteria di tiratori in grado di prendersi un tiro in qualsiasi momento e da qualsiasi posizione, aprendo spazi incolmabili all’interno delle aree avversarie.

Un gioco usato almeno un paio di volte a partita dai Rockets. per creare un tiro veloce per Gordon. Beverley porta palla in attacco, mentre le due forward riempiono un lato; Gordon, che parte dalla linea di fondo, gli si fa incontro per ricevere l’hand-off. Una volta ricevuto, Beverley blocca il difensore diretto di Gordon, permettendogli di tirare incontestato. Il range di tiro pressoché illimitato dell’ex giocatore dei Pelicans fa il resto.

Con un campo così aperto anche i giocatori con un range di tiro quasi nullo come Capela diventano letali. Il giovane centro di origini svizzere ha capito da subito cosa serviva alla sua squadra e nonostante sia ancora grezzo, possiede le caratteristiche perfette per giocare il sistema di Mike D’Antoni. È un buon bloccante, sa correre molto bene; è un buon rimbalzista (soprattutto offensivo) e cosa ancor più fondamentale sa perfettamente quando e come rollare a canestro. Capela segna oltre cinque canestri di media all’interno della restricted area con una precisione del 68% semplicemente rollando dopo aver portato il blocco sul pick-and-roll giocato con Harden, che infatti gli ha già regalato 142 assist.

Una situazione classica di pick-and-roll tra Harden e Capela. Il centro svizzero porta un blocco in punta molto alto, dando ancora più spazio di manovra al portatore di palla. Portare blocchi molto alti è un’altra caratteristica del gioco di D’Antoni, con i tre esterni molto larghi negli angoli. Lo spazio da difendere diventa ingestibile. Capela è bravo e preciso a rollare dopo il blocco e favorito dalla pericolosità di Harden che attira l’attenzione principale del difensore chiude un alley-oop con una facile schiacciata.

Più in generale, e ad ulteriore dimostrazione della difficoltà delle difese avversarie a difendere l’area, gli Houston Rockets segnano 1.14 PPP da situazioni di roll dopo il pick-and-roll ― solo i Clippers fanno meglio. Capela è anche un buon rim protector e assieme a Nene (che detiene il miglior DefRtg di squadra, 102.2) forma una coppia di lunghi efficacie.

Uno dei maggiori meriti di Mike D’Antoni è stato quello di riuscire a consolidare il gruppo e tirare fuori il meglio da ognuno di loro. Non è casuale infatti che anche un duro come Patrick Beverley (che invece detiene il miglior Net Rating con un +8.8, a dimostrazione di come tutti siano importanti in questa squadra) gli sia molto affezionato ― pure troppo ― o che anche chi gioca meno, tipo Dekker, riesca a farsi trovare pronto quando serve. Il suo lavoro nel rendere una squadra disfunzionale in una delle migliori macchine offensive della NBA è davvero notevole, e questo se vogliamo anche indipendentemente dalla stagione di Harden. A dimostrazione di questo quando il Barba va in panchina, sebbene l’efficienza offensiva inevitabilmente cali, i Rockets restano uno dei primi dieci attacchi della Lega con quasi 107.7 punti segnati su cento possessi (per intendersi meglio di squadre come Milwaukee, Utah, Portland, Memphis o OKC).

Come tutte le squadre, anche i Houston ha dei punti deboli e cose da migliorare. La difesa per esempio non è sempre ermetica ― nonostante il 105.7 di Defensive Rating li collochi appena fuori dalle prime dieci ― soprattutto in restricted area dove concede oltre il 64% con ben 19 canestri a partita (la peggiore per distacco). Nonostante mentalmente sia più connesso rispetto alle passate stagioni Harden resta un pessimo difensore, soprattutto dentro l’area, ed è un bersaglio facile per gli avversari che cercano di farlo lavorare il più possibile. I Rockets concedono molto dentro anche a causa della loro difesa sempre molto aggressiva, cosa che li porta a patrocinare bene l’area ed a difendere bene il mid-range (primi della Lega col 35% concesso) ed a rubare oltre 8 palloni a partita, quarti nella Lega. Anche in attacco a volte la macchina si inceppa: soprattutto contro avversari in grado di cambiare su ogni blocco e di poter imporre la loro superiorità fisica all’interno del pitturato, costringendo i Rockets a dipendere troppo dalle loro lune al tiro. Cosa che comunque per adesso è stata più facile a dirsi che a farsi.

Nonostante il canestro subito (che pareggia la partita dopo che i Rockets erano stati in vantaggio anche di 15 punti) la macchina offensiva di D’Antoni non si ferma: transizione offensiva, riempire gli angoli, ball movement e tripla. Facile no?

Nella settimana della trade deadline si pensava che Houston potesse rinforzare la propria difesa, col nome di Bogut su tutti; ma Morey ha finito con l’accontentare ancora di più la sua visione estrema del gioco (condivisa dal suo head coach) andando a prendersi Lou Williams dai Lakers. Sebbene anche su di lui ci siano ombre nella metà campo difensiva, la sua aggiunta aumenta il livello tecnico della panchina ― ed anche Williams potrebbe essere un possibile vincitore del premio di sesto uomo dell’anno ― e soprattutto aumenta la capacità di segnare punti e triple. Da quando è arrivato si è già preso oltre cinque tiri a partita da tre e per capire meglio l’impatto che ha avuto finora nei Houston Rockets è sufficiente vedere i primi due palloni toccati con la sua nuova maglia.

Lou Williams rappresenta la volontà di D’Antoni (e Morey) di andare fino in fondo con le proprie idee. È il simbolo, nonostante tutte le critiche o le perplessità, della convinzione di giocare il Gioco secondo la propria filosofia, e che sia proprio la riuscita di questa a fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Nell’intervista dopo la partita di Phoenix, Mike D’Antoni diceva anche che per vedere la versione finale dei suoi Rockets occorrerà pazientare ancora un po’; forse, addirittura un altro anno. C’è di certo che Houston sembra avere tutte le carte in regola per provarci anche in questa stagione, e questo grazie al lavoro di un allenatore sempre molto discusso ma che adesso appare come una delle candidature più solide per il premio di Coach Of the Year. Bentornato Mike.

Statistiche risalenti al 21 Marzo.

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Pubblicato da
Niccolò Scarpelli

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