Categorie: Primo Piano

La rinascita di Eric Gordon

Per rispondere all’ultimo interrogativo ricorreremo all’analisi di qualche azione di gioco relativa al match contro i Denver Nuggets dello scorso 24 marzo.

Abbiamo già avuto modo di vedere come l’arrivo di Gordon a Houston fosse dovuto alla necessità di trovare un valido sostituto di Harden, in grado di emularne le gesta, anche se con le dovute proporzioni. Qui vediamo il barbuto numero 13 passeggiare in modo piuttosto blando verso la metà campo avversaria. Tocca a Gordon occuparsi, magistralmente, della gestione del pallone: con un’esitazione elude la marcatura di Will Barton, bruciandolo in velocità e appoggiando al tabellone due punti importanti, con la benedizione di un Harden che decide di concedersi qualche secondo di riposo. È evidente come, nell’economia della squadra, la presenza di un marcatore del calibro di Gordon contribuisca a tenere costantemente sulla corda le difese avversarie, concedendo ai compagni metri utili per attaccare il canestro o tentare una tripla con spazio, come testimoniato dall’appostamento di Beverley sull’angolo sinistro.

In questa situazione di gioco è ancora una volta Gordon, complice l’assenza di Harden, a portare palla. Mudiay si fa tagliare fuori troppo facilmente dal blocco portato da Capela, costringendo Jokic a prendere una decisione in tempi brevissimi: seguire Capela, che nel frattempo sta rollando verso il canestro, o concedere una facile penetrazione a Gordon. Il serbo opta per una soluzione intermedia, sbarrando la strada al prodotto di Indiana e cercando di non perdere di vista Capela; tutto inutile, perché Gordon riesce comunque a trovarlo per due punti facili. Se necessario, anche Gordon sa essere generoso con i compagni e con Capela in particolare, servendo cioccolatini gustosi quanto quelli di Harden.

Pur rappresentando il sostituto naturale di Harden, grazie alle sue doti balistiche Gordon è allo stesso tempo uno dei principali beneficiari degli assist del Barba. In quest’immagine possiamo notare come la sola presenza di Harden sul parquet contribuisca a liberare spazi decisamente invitanti per i suoi compagni di squadra: grazie alle sue doti di ball-handling, il numero 13 si sbarazza della marcatura avversaria e mette a referto due punti in penetrazione, ma è evidente come il movimento di Harden verso il canestro fa sì che un distratto Jamal Murray collassi verso il pitturato, lasciando libero Gordon sull’angolo destro. In questo caso, Harden decide di mettersi in proprio e concludere alla sua maniera, ma se avesse deciso di servire il suo cecchino dall’arco è probabile che i punti messi a referto al termine dell’azione sarebbero stati tre anziché due.

La ritrovata confidenza con le corner three, come abbiamo già avuto modo di vedere, è uno dei radicali cambiamenti apportati da Gordon al suo stile di gioco negli ultimi mesi. Stavolta vediamo l’ex Pelicans contribuire insieme a Nenê al recupero di una palla persa da Jokic: Gordon affida le responsabilità del contropiede ad Ariza, correndo verso il canestro per poi deviare verso l’angolo sinistro, cogliendo di sorpresa Jokic. Il serbo non può far altro che correre alla disperata verso il 10 in maglia Rockets, ma è troppo tardi per rimediare al suo errore. Eric Gordon si dimostra mortifero dal perimetro, anche da una posizione che negli anni precedenti ha costantemente evitato.

Una classica situazione dei Rockets. Beverley porta palla, salvo poi affidarla alle sapienti mani di Gordon, per poi portargli un blocco liberandogli lo spazio sufficiente per il tiro da tre: solo rete e applausi per il sorpasso dei Rockets. La tripla del vantaggio arriva in un momento particolarmente significativo per Gordon, il cui contributo offensivo si rivela determinante per la vittoria finale di Houston, sancita dallo spettacolare layup di Harden a 2,4 secondi dalla fine.

Anche il contributo difensivo di Gordon ha rischiato di decidere, negativamente, le sorti del match. Croce e delizia di allenatore e compagni, se in attacco il suo range di tiro lo rende uno degli avversari più temibili, in difesa si concede ancora un elevato numero di pericolosissime pause fisiche e mentali. Un esempio lampante è offerto da questa situazione di gioco, immediatamente successiva alla corner three di cui sopra.

Con tre secondi sul cronometro dei ventiquattro, Barton scarica ad Harris il pallone del potenziale contro-sorpasso e l’esterno dei Nuggets ripaga ampiamente la fiducia del compagno. Certo, la distanza da cui Harris punisce il suo difensore è notevole, ma è evidente come la tripla messa a segno dai Nuggets sia una diretta conseguenza dell’atteggiamento a dir poco passivo di Gordon, che nei secondi precedenti al passaggio di Barton si comporta come un corpo estraneo alla discreta difesa imbastita dei Rockets. Quando Gordon si rende conto di aver lasciato colpevolmente solo il suo diretto avversario è troppo tardi per rimediare.

L’azione presa in esame è solo una delle situazioni di gioco in cui Gordon si dimostra più un peso che un valore aggiunto per la squadra. Il suo atteggiamento nella metà campo difensiva rischia di compromettere il buon esito dell’avventura ai Playoff dei Rockets, che pur privi dei favori del pronostico si giocheranno le proprie carte per arrivare il più in fondo possibile. Volendo fare un bilancio dell’importanza di Gordon nell’economia della squadra, è però innegabile che il peso offensivo di un giocatore del suo calibro, in grado di spostare gli equilibri della second unit, sia alla base degli ottimi risultati della truppa di D’Antoni.

Fra qualche settimana conosceremo il nome del vincitore del premio di Sesto Uomo dell’Anno. La concorrenza non manca ed è particolarmente agguerrita, ma, per la prima volta da troppi anni si ha la netta sensazione che questo ragazzo possa realmente togliersi quelle soddisfazioni di cui finora il destino l’ha ingiustamente privato.

Statistiche risalenti al 25 marzo.

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BEING THE SIXTH MAN

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Pubblicato da
Federico Ameli

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