L’oro dei Denver Nuggets

Ogni volta che vado in America mi assicuro di fare almeno uno scalo all’aeroporto di Denver. Ci sono capitato, quasi per sbaglio, una delle primissime volte e da lì è diventata una tradizione. È una tradizione molto strana in realtà, ma se vi è capitato di passarci forse potete capire. Innanzitutto per atterrarci il pilota deve effettuare una manovra molto particolare, causa la troppa vicinanza delle montagne. Ha la forma delle Rocky Mountains, o di una svastica, dipende da che tipo di persone siete; c’è uno dei migliori Wetzel’s Pretzels che abbia mai assaggiato, una statua enorme di un cavallo appena fuori dalle piste di atterraggio, una serie di murales assurdi disegnati da Leo Tanguma, tanti simboli massonici, una statua di un Dio egizio e potrebbe o meno avere una città segreta nel sottosuolo che farebbe da base per un ordine segreto chiamato New World Order. Vi basta?

Passeggiando per la struttura mi son reso conto di quanto merchandising dei Denver Broncos (NFL) ci fosse rispetto a quello dei Nuggets, e onestamente ci son rimasto male. Capisco che i risultati degli ultimi anni non siano stati proprio esaltanti ma i Denver Nuggets hanno una delle migliori collezioni di gioielli della Lega e quantomeno un po’ di hype sarebbe stato lecito aspettarselo. Così tante pepite d’oro a Denver non si vedevano dalla metà dell’800, quando una banda di coraggiosi avventurieri questo glorioso stato lo ha pure fondato.

Uno dei murales, raffigurante un’ultima cena sotto LSD. (Credits to BuzzFeed)

I Denver Nuggets hanno iniziato questa stagione pieni di entusiasmo, con un roster giovane, un’estate dove erano andati molto molto vicini ad assicurarsi una grande firma, sintomo delle credibilità e della bontà del progetto del General Manager Tim Connelly. Fare i playoff forse era chiedere troppo, almeno all’inizio. Per di più Malone aveva definitamente sganciato la bomba con l’annuncio che la coppia di lunghi titolare sarebbe stata quella tutta slava composta da Jokic e Nurkic. Ora mancano meno di dieci partite al termine della stagione e valutare la regular season dei Nuggets non è una cosa facile.

In questo momento i Nuggets occupano la nona posizione con un record di 35-39 e sono ancora in lotta per aggiudicarsi l’ultimo posto disponibile per i playoff. Questa di per se è una cosa molto positiva, viste le premesse, ma considerando il livello non eccelso delle dirette rivali può essere vista un po’ come una beffa. Le varie disfunzionalità delle altre, come free agency sbagliate (Portland), false partenze (Dallas), pochezza (New Orleans), gioventù (Minnesota) o auto-sabotaggio (Sacramento) ― anche se il vero duello è stato quello con la squadra di Lillard & McCollum ― possono portare al vedere la mancata partecipazione ai playoff come un’occasione persa. Soprattutto in ottica futura dove allo zoccolo delle prime sette (Warriors, Spurs, Houston, Utah, Clippers, Westbrookland e Memphis) potrebbero aggiungersi presto altre come T’Wolves o Lakers, quest’ultimi qualora tornassero su livelli più consoni alla loro storia.

Difensivamente i Nuggets sono una delle peggiori squadre della NBA (penultimi per efficienza difensiva davanti solo ai Lakers), con un Gallinari sempre a mezzo servizio a causa degli infortuni ed in scadenza di contratto e situazioni che rischiano di diventare problematiche, come quella di Mudiay. Inoltre la coppia Jokic-Nurkic è implosa quasi sul nascere. Nei 108 minuti giocati assieme i numeri sono impietosi: 93.7 di efficienza offensiva contro gli oltre 108 punti concessi, per un Net Rating complessivo di -15.6: insomma un disastro. La soluzione (scontata) migliore era quella di cedere uno dei due, e infatti poco prima della trade deadline Denver ha spedito Nurkic (e una prima scelta) in direzione Portland in cambio di Mason Plumlee. Ovviamente dal suo arrivo nell’Oregon il giovane centro bosniaco sta andando a fuoco, ma lo scambio è da considerarsi buono per entrambi: per Nurkic appunto che poteva giocare con continuità e per i Nuggets, che oltre a prendersi un lungo con buone capacità di passatore e una rim-protection migliore di chiunque in squadra (una necessità visti i numeri difensivi di Denver), potevano definitivamente sdoganare il loro franchise player. NIKOLA JOKIC BABY!

È inutile girarci tanto attorno: Nikola Jokic è un giocatore pazzesco. Non solo perché con lui i Nuggets segnano 115.3 punti (su 100 possessi), o perché dal suo ingresso nello starting-five Denver ha il miglior attacco della NBA. Non solo perché ha delle mani magiche, o perché è un problema per chiunque a rimbalzo d’attacco, o uno dei migliori giocatori di post basso della Lega. È in grado di guidare la transizione offensiva dopo il rimbalzo catturato, può spaziare il campo tirando da tre, vedere linee di passaggio immaginarie in qualsiasi posto del campo ― anche dietro la sua testa.

Jokic è forse l’esempio migliore del prototipo di giocatore, il playmaking 5, recentemente stampatosi sulla NBA. Sotto i termini di impatto siamo al meteorite ai tempi dei dinosauri. Troppo grosso per spostarlo spalle a canestro ― dove può segnare contro chiunque chiunque ― o tagliarlo fuori a rimbalzo. Troppo intelligente per non analizzare e trovare sempre la soluzione migliore, Jokic è già diventato il centro su cui gira tutta l’organizzazione. È il sesto giocatore della NBA per True Shooting, cosa di per se incredibile ma che diventa ridicola se si vanno a vedere le mappe di tiro sue e dei cinque suoi predecessori, e cattura il 12% dei rimbalzi offensivi disponibili quando è in campo (numeri alla DeAndre Jordan per dire)

I Denver Nuggets sono una delle migliori squadre offensive della Lega e oltre ai meriti del giovane serbo ci sono buoni tiratori, giocatori in grado di segnare tanti punti in poco tempo (Barton, Chandler), o che possono prendersi falli e tiri liberi (Gallinari); hanno una buona trasmissione della palla e sono anche molto fisici. Infatti Denver è anche la migliore squadra della NBA a rimbalzo, grazie soprattutto al 28% di quelli catturati in attacco. Sono tra le prime dieci della Lega anche per percentuale reale dal campo e Assist Ratio (cioè assist calcolati su 100 possessi). In quest’ultimo campo Jokic guida con 20 assist: vuol dire un assist ogni cinque possessi, una follia. Degli oltre trecento inviti distribuiti ai compagni c’è un destinatario che però è molto più ricorrente degli altri. Con ben 66 assistenze Gary Harris è il più cercato (e trovato) da Jokic, risultato di una connessione perfetta.

Jokic cattura il rimbalzo (con una mano, disinteressandosi di Teletovic che lo trattiene) e contemporaneamente ha già la testa alta verso il posizionamento dei compagni. Harris sa che deve farsi trovare pronto e quindi effettua uno dei suoi tagli classici con il serbo che lo pesca immediatamente. Oramai i giochi a due tra di loro sono una costante nelle partite dei Denver Nuggets.

Questo invece un altro schema molto usato da coach Malone. Mudiay mette la palla nelle mani di Jokic in post, dove inizia l’azione dei Nuggets. Sul lato debole Harris prima blocca per il taglio del compagno (in questo caso Gallinari) per poi uscire prendendosi il blocco di Faried (che impalla il suo diretto marcatore, che infatti si stampa su di lui), ricevendo il passaggio di Jokic per una tripla in catch-and-shoot.

Fermato dagli infortuni nella prima parte di stagione Harris sta crescendo di partita in partita, tanto che oggi è da considerarsi il secondo giocatore più importante a roster. Nonostante Gallinari abbia numeri migliori (secondo per Net Rating e quando lui non c’è gli avversari segnano oltre 112 punti, il peggiore dato di tutti) la sua evoluzione, in una guarda multi-dimensionale capace di giocare con la palla ma soprattutto senza, lo ha reso un pezzo importante da affiancare a Jokic. Harris sta tirando il 42.9% da tre punti e si sta consolidando come uno dei migliori giocatori della NBA a giocare sulla linea di fondo e sugli scarichi. Questo lo rende ideale non solo per il centro serbo, ma anche per formare una bella coppia di guardie con Jamal Murray, altro gioiellino pescato al draft.

La Stephcurryness pare esserci.

Nonostante la giovanissima età (classe 1997) l’ex Kentucky ha già dimostrato di poter diventare la point-guard titolare di questa squadra entro pochi anni. Entrato nella Lega come un tiratore d’élite i suoi numeri da fuori non sono impressionanti ― anche se in crescita mese dopo mese ― ma questo non lo ha scoraggiato finora e non lo farà di certo in futuro. Per di più la meccanica di tiro è molto valida e tira benissimo i liberi, un altro indicatore importante per capire l’efficacia di un giovane tiratore. Infine non ha paura neanche di andare al ferro, dove spesso ancora è troppo inesperto ― o troppo debole ― per finire; ma anche qui sta chiudendo in crescita la stagione. Che sia lui la point-guard titolare dei Denver Nuggets del futuro non è in discussione, e con Harris Malone ha già una bella coppia su sui lavorare nel back-court.

Tutti e tre sono frutto di buone prese al draft, ma non sono le uniche e se si escludono alcuni errori (che ci stanno sempre) si può tranquillamente dire che il front office dei Nuggets siano uno dei migliori della NBA nello scovare talenti. Nello scorso draft infatti hanno messo le mani anche su altri due prospetti ― oltre a Murray ― molto interessanti come Malik Beasley e Juan Hernangomez, fratello minore del centro dei Knicks.

Il primo è un potenziale 3&D molto solido fisicamente e che potrebbe riempire quello spot di esterno difensivo attualmente vacante nel roster. Il secondo è un il prototipo perfetto della Power Forward moderna: solido fisicamente, buona attitudine a rimbalzo, non ha paura di andare al ferro e soprattutto tira il 43% da tre (58% di percentuale reale dal campo e oltre il 50% dagli angoli). Con questo tipo di giocatori è facile cadere in innamoramenti precoci, ma Denver potrebbe davvero aver trovato qualcosa più di una passione esotica.

Una bella circolazione nell’attacco dei Denver Nuggets chiusa da una tripla nel mezzo angolo di Juancho <3

Oltre a tanti giovani Denver ha anche uno zoccolo duro di veterani, tra cui Barton, Nelson ― che nel corso della stagione è diventato la point-guard titolare e sta vivendo una sorta di seconda giovinezza ― Chandler, Faried ed il nostro Gallinari. Per motivi diversi ognuno di questi potrebbe salutare a fine stagione, e il front office di Denver sarà chiamato in estate a delle scelte molto delicate. Ma cosa possono fare i Nuggets?

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Pubblicato da
Niccolò Scarpelli

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