Coach Of The Year: Brad Stevens

Quando si parla di tanking i pareri sono sempre discordanti. Il sistema americano è fatto per dividere, ma che piaccia o no a livello sportivo è il più democratico di tutti. Quando in NBA si cerca di costruire una squadra “per perdere” bisogna considerare una moltitudine di fattori. Un progetto ha bisogno di tempo per crescere, ma capire se la strada è quella giusta prima che il danno sia irreparabile non è facile. Sixers, Lakers, T’Wolves, Nets, Suns, Bulls. Negli ultimi anni tante franchigie hanno provato a fertilizzare il terreno in attesa del germoglio vincente, ma se parliamo di fiori e parliamo di tanking si torna dall’unica squadra che è riuscita magistralmente ad uscirne viva. I fasti dei Big Three sono ancora lontani ma i Boston Celtics hanno plasmato il core della squadra fino a trovare il giusto incastro per tutti i pezzi con il risultato di una franchigia che primeggia nella Eastern Conference. Se a livello dirigenziale Danny Ainge non ha sbagliato praticamente niente, sul campo allena un fresco quarantenne che ha modellato la squadra credendo fermamente nei suoi precetti e nei suoi ragazzi. Viene dall’Indiana, si chiama Brad Stevens e se non vincerà il premio di Coach Of The Year ci andrà molto vicino.

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L’ex coach di Butler University è un accolito di Gregg Popovich il che vuol dire Motion Offense; ma se a San Antonio il livello di difficoltà raggiunge vette difficilissime da replicare, in quel di Boston l’idea è molto più semplice, specialmente quest’anno che è arrivato Al Horford. A metà tra il “5 tattico” e l’Unicorno (specie in forte crescita sui parquet NBA) è la vera chiave di volta dell’attacco di Stevens. Horford produce 3,4 screen assist a partita il che con un ball handler come Isaiah Thomas può diventare un problema euclideo per chi difende, visto che anche l’opzione di aprirsi dopo il pick-and-roll (in gergo fare pop) non è trascurabile dal momento che Horford tira da 3 con un dignitoso 35,8%. La sua intelligenza cestistica però si nota anche palla in mano. Tra i centri è primo per assist (5 a partita) il che potremmo aspettarcelo, ma sovrasta tutti anche per assist potenziali e punti creati da un suo assist (12,1 a partita), facendo meglio di rifinitori eccelsi come Gasol, Cousins e Jokic. Horford è tra i primi cinque della Lega anche per Assist/Ratio (la percentuale che calcola gli assist su 100 possessi) tra i centri ad aver giocato almeno 20 minuti, con un 25.9 che lo colloca dietro ai soli Bogut e Noah. Anche spalle a canestro il suo rendimento è più che buono (top 10 per efficenza in post) ma quando la palla corre tra gli uomini in verde, e lo fa spesso, diventa in assoluto uno dei più determinanti.

E anche quando mette palla per terra direi che ci siamo.

Quando Horford ha il pallone tra le mani è una certezza; il suo rapporto assist/palle perse è il migliore della squadra (2,89) e anche il Net Rating è positivo (5,1) segno che comunque per quanto faccia parecchie cose in attacco, anche in difesa resta una pedina fondamentale per coach Brad Stevens (miglior uomo sotto le plance con 1,3 stoppate a partita e 6,9 rimbalzi catturati). Con Horford la squadra ha sicuramente trovato un uomo in grado di aprire il campo ed eseguire gli schemi in maniera sopraffina, ma il vero termometro della squadra è un altro.

Su The Ringer è uscito un pezzo molto divertente che spiega quanti Isaiah Thomas servirebbero per svolgere determinati compiti (costruire un aeroplano, sollevare un camion). La cosa più assurda è che per diventare il terzo marcatore della lega segnando 29,1 punti ad allacciata di scarpa ne basta uno (meglio di lui solo Westbrook e Harden). Per segnarne 52 in una partita e 29 in un quarto idem. Per tutti è diventato The King of The Fourth e se siete interessati alla sua storia vi consiglio di leggere questo pezzo perché in questa sede non c’è il tempo di elencare gli innumerevoli record che il ragazzo di Tacoma ha brutalmente infranto.

È il giocatore più efficace della Lega quando penetra (9,4 punti a partita, in drive nessuno fa meglio), a fronte di appena 5,9 assist a partita; gioca 1,8 hockey pass (passaggi che portano a un assist) facendo peggio del solo Curry e dimostrando un IQ cestistico di primissimo livello. Il soprannome di cui sopra è suffragato da un rendimento sensazionale quando sul cronometro mancano solo dodici minuti, visto che segna 9,9 punti di media nei quarti periodi (il migliore di tutti) con un sensazionale 46,9% dal campo. I compagni si fidano totalmente di lui in situazioni clutch, tanto che la Usage Percentage di Thomas nel quarto quarto è di 41,5% (quella totale è di 33,7% sesto dato assoluto). Solo Westbrook e Cousins vengono cavalcati di più dalle rispettive squadre quando la palla scotta.

Crowder fa anche il gesto per ricevere ma è l’altro è in trance da fenomeno.

Più in generale i Celtics sono diventati una squadra da volata: nelle partite con 5 punti (o meno) di differenza tra le due squadre negli ultimi cinque minuti i Celtics hanno un record di 29-15. Solo Spurs e Cavs vantano uno score migliore, ma hanno giocato meno partite di questo tipo e infatti hanno vinto rispettivamente cinque e otto partite in meno rispetto ai ragazzi di Brad Stevens. Ovviamente il contributo di Thomas in queste situazioni è vitale ma tutta la squadra sale di giri quando la partita è sul filo, caratteristica che la renderà molto temibile da aprile in poi.

Quello che invece Boston deve sistemare è il rendimento offensivo quando Thomas siede in panchina. La squadra segna 108,5 punti ogni 100 possessi (ottavi nella Lega) ma con Thomas in campo il dato schizza a 113,8. Vista la madornale importanza che riveste il #4 sono ancora più preoccupanti i dati contro le tre principali avversarie ad Est. I Celtics hanno un record di 0-2 contro i Cavs, 1-3 contro i Raptors e 2-2 contro i Wizards. Nelle due sconfitte contro Washington Thomas ha tirato con il 25% dal campo nell’ultimo quarto, contro i Raptors addirittura con il 21%. Numeri che raccontano di un giocatore, per quanto strabiliante, in evidente difficoltà contro sistemi difensivi rodati e molto fisici. Allargando l’inquadratura proprio sulla difesa dei Celtics emerge tutto il lavoro che Brad Stevens deve ancora fare.

Thomas è ovviamente il più bersagliato dagli esterni avversari. Il suo Defensive Rating è uno dei peggiori della squadra (108,6), contro di lui gli avversari tirano con il 46,2% e nonostante Bradley sia uno specialista della difesa sulla palla, la squadra vacilla quando non riesce a nascondere il suo folletto. Più in generale però il roster è carente di intimidatori sotto le plance e di giocatori ruvidi nel pitturato. Boston concede 10,8 rimbalzi offensivi a partita che portano a subire 14 punti da seconde chance; soltanto Knicks e Nets ne subiscono di più. Al contrario però i punti subiti da contropiede sono appena 12,1 per game, dato che rispecchia il sistema difensivo di coach Stevens, più preoccupato di mantenere i riferimenti a difesa schierata che non di andare a contestare il rimbalzo e offrire il fianco in transizione.

Su 100 possessi Boston incassa 105,3 punti facendo peggio di ben dieci squadre. La defezione più evidente è come detto nel pitturato dove gli altri tendono a banchettare troppo frequentemente. I Celtics prendono 41,9 rimbalzi a partita, dato che li colloca in ventisettesima posizione; è palese la mancanza di un lungo esplosivo e dominante dal punto di vista atletico. Amir Johnson non ha queste caratteristiche, così come i vari Horford, Jerebko, Olynyk e Zeller. I grattacapi più evidenti quindi emergeranno quando al TD Garden arriverà gente come Witheside o Tristan Thompson, vere e proprie calamite quando il ferro risputa il tiro. Se i Celtics vogliono giocarsi alla pari una serie a 7 dovranno trovare il modo di limitare le seconde chance contro squadre come Heat e Cavaliers.

Al contrario invece gli esterni dei Celtics non soffrono così tanto se attaccati vicino a canestro. Thomas subisce 31,6 punti a partita se attaccato in area, Bradley 31,2. Entrambi fanno meglio di gente come Westbrook, Butler, Klay Thompson. Il vero specialista difensivo sugli esterni è proprio Avery Bradley: con 2,7 deflection a partita è una delle migliori guardie per palloni sporcati, a cui assomma 1,3 steal facendo peggio soltanto di Smart in squadra. È anche vero che dalle statistiche emerge un giocatore nella media ma questo perché i dati sono soltanto una parte della storia. Basta prendere alcune azioni di riferimento.

Qui deve difendere in singole coverage contro uno dei migliori giocatori nella lega da situazioni di post alto e nelle statistiche ci va soltanto la stoppata finale che però deriva dal lavoro sfiancante fatto in precedenza.

Qui invece si appiccica ad Irving fino a fargli perdere la pazienza.

Prima toglie il fiato a Rose poi legge bene il cambio e costringe Anthony ad un tiro forzato nonostante il mismatch.

In una serie a 7 sarà fondamentale disporre di Bradley e Smart al meglio per limitare le scorribande dei vari Wall, Lowry, DeRozan, Irving, Dragic, George. Proprio la point guard di riserva sta dimostrando dei margini di miglioramento nella propria metà campo notevoli. I due migliori quintetti dei Celtics per DefRtg comprendono entrambi il prodotto di Oklahoma State e tra le guardie con almeno 30 minuti a partita è uno dei migliori per punti subiti nel pitturato e punti subiti da contropiede.

 

Tigna ne abbiamo?

La crescita di Smart si evidenzia anche quando la palla ce l’hanno i verdi. Nel playbook di Stevens una delle chiamate più inflazionate nei momenti di crisi è l’isolamento in post del numero 35. In stagione ha smazzato la bellezza di 22 assist da situazione di post up, facendo peggio del solo Marc Gasol che insegna la materia da ormai diversi anni. Traslando il dato su 100 possessi si arriva a 14,3 assist, numeri impressionanti per i palloni toccati dal ragazzo in post che sono appena 2,2 a partita. Se n’è accorto anche Zach Lowe che le abilità di Smart possono essere una variante di ardua lettura per le difese avversarie specialmente in ottica playoff

Chi invece deve fare il salto di qualità per rendere la difesa di Boston a prova di postseason è il 3&D incedibile per coach Stevens ovvero Jae Crowder. Il ragazzo porta in dote il miglior plus/minus della squadra (5) e in molti vorrebbero vederlo completare il processo di maturazione cestistica che dovrebbe portarlo ad assomigliare ad un Kawhi Leonard meno dominante sui due lati. Anche in attacco la sua percentuale reale dal campo è del 56,1%, un’enormità per un giocatore che prova 5,5 triple a partita, a testimonianza di quanto breve sia il passo per diventare un all arounder decisivo nelle partite che contano. Il vero problema però che ha gravato la psiche di coach Stevens per tutta la stagione non è stata tanto la difesa, quanto l’impossibilità di fornire continuità ad un quintetto tartassato dagli infortuni.

In totale il quintetto titolare dei Celtics (Thomas-Bradley-Crowder-Johnson-Horford) ha giocato insieme per la miseria di 390 minuti in stagione. Il quintetto di Washington guida la classifica con 1328 minuti giocati insieme. Un abisso. Ecco perché, a playoff acquisiti, l’obiettivo di coach Stevens per questo ultimo mese scarso prima della post-season sarà quello di rendere il più possibile meccanici gli automatismi tra i suoi senza ovviamente sovraccaricare di lavoro i giocatori più impegnati nel corso della stagione. Un gioco che richiede attenzione, perizia, capacità di adattarsi, tutte doti riscontrabili in Brad Stevens. Probabile che un giorno il premio di Coach Of The Year lo farà suo, se sarà quest’anno abbiamo la certezza che lo merita in pieno. Per chi non guardasse spesso la classifica i Celtics hanno la stessa percentuale di vittorie dei Cavs e di conseguenza guidano a braccetto la Eastern Conference. Non sarà mica un caso.

Credits to bostonglobe.com

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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