La metamorfosi di Gordon Hayward

Bisogna andare parecchio indietro nel tempo per ritrovare una corsa al premio di MVP così agguerrita. Ci sono talmente tanti giocatori che hanno innalzato il livello delle proprie prestazioni che capita di dimenticare quei cestisti inadatti al ruolo di Most Valuable Player. Non parlo soltanto di qualità sul parquet, o del carisma, la visibilità: si tratta di fattori secondari ma comunque influenti quando bisogna eleggere il miglior giocatore al mondo. Esistono però quelle persone le quali non posseggono il quid da superstar in grado di attirare le attenzioni di stampa e addetti ai lavori. Non è un male, anzi, è un modo di approcciare la vita in forte contrasto con il modello vincente dell’Entertainment statunitense. Di questa categoria, tra i campioni silenziosi, gli antidivi, gli underdogs, fa parte anche un ragazzone dell’Indiana cresciuto a pane e pallacanestro. Nonostante la stagione folgorante e i numeri da All-Star che sta mettendo insieme, se digitate il suo cognome su Google non è nemmeno il primo risultato. È il settimo. A quanto pare c’è un’azienda di materiali per piscine e una città in California che meritano maggior risalto. Magari se capitate nello Utah non la pensano esattamente così. Perché se i Jazz sono tornati ad essere competitivi lo devono soprattutto a Gordon Hayward.

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Se ne facciamo un discorso di etica lavorativa il ragazzo ne ha davanti veramente pochi. Questo è il suo settimo anno in NBA e non c’è stata stagione in cui non abbia migliorato il suo rendimento rispetto a quella precedente. La sua curva di apprendimento sembra studiata in laboratorio, perché come crescono i tiri crescono anche i punti e inverosimilmente le percentuali dal campo. Hayward sta tirando con il 46% facendo peggio soltanto rispetto al suo anno da rookie quando però prendeva appena 4 tiri a partita. Adesso i tiri sono quasi 16 dei quali 7,3 finiscono nel cesto e il risultato è di 21,8 punti a partita.

La follia è che questi numeri non sono mai diminuiti passando da una stagione a un’altra. Non c’è stato un singolo anno in cui Hayward abbia tirato i remi in barca o comunque subito una flessione delle sue performance sul parquet. Allora perché non ci siamo mai accorti del giocatore che sta venendo fuori? Un po’ per la riluttanza ai flash di cui sopra, e un po’ anche per il sistema nel quale è coinvolto. Quin Snyder, ex assistant coach di Ettore Messina, è l’allenatore dei Jazz dal 2014 e da quel momento ha sempre proposto una pallacanestro atipica per certi versi. Nelle ultime tre stagioni la squadra ha avuto sempre il peggior Pace della lega a dimostrazione che la sua pallacanestro è lenta, compassata, quasi zen, in attesa del miglior tiro.

L’idea di Snyder, seguace di coach Popovich, è giocare come fanno a San Antonio, prendendosi però il tempo per eseguire correttamente la giocata. D’altronde gli automatismi che hanno gli Spurs non si sono creati in tre anni. I Jazz sono la terza franchigia per frequenza di tagli in una partita, la terza per punti segnati nel singolo possesso in uscita dai blocchi, ma soprattutto hanno il quarto NetRtg della lega (fanno meglio solo Warriors, Spurs e Rockets). In un contesto che premia il collettivo senza esaltare alcuna individualità (vi ricorda qualcosa?) il ruolo di Gordon Hayward è fondamentale. Il motivo è semplice: in attacco sa fare praticamente tutto.

Per anni era il più piccolo del gruppo, arrivato al college in un’estate era diventato il più grande di tutti. Improvvisarsi big man quando nel tuo arsenale ci sono le skills di un ball handler è un gioco da ragazzi. Dal suo ingresso in NBA diventa subito chiaro che il ragazzo, qualsiasi accoppiamento sia costretto ad affrontare, si esalti sia contro i lunghi che contro gli esterni. In situazioni di tagli, pick and roll, uscita dai blocchi, spot up e transizioni assomma almeno l’80esimo percentile esprimendo un pattern di soluzioni offensive praticamente illimitato. L’arrivo di George Hill lo ha sgravato del lavoro di playmaking che ha dovuto ricoprire negli ultimi anni. Adesso può esaltare il suo gioco lontano dalla palla che ruba meno l’occhio ma riveste un’importanza enorme nell’attacco dei Jazz.

Leader di squadra per punti segnati, secondo per assist, terzo per rimbalzi, la sua centralità è indubbia.

Come detto sta vivendo la sua miglior stagione in maglia Jazz e l’attacco di coach Sneyder risente fortemente quando Hayward non è in campo. L’OffRtg della squadra si assesta intorno ai 107 punti; con lui su 100 possessi i punti diventano 117 (fonte Basketball Reference) a dimostrazione di un contributo mastodontico nel facilitare la vita ai compagni. Il prodotto di Butler University ha il 27,4% di USG%, molto lontano dai leader di questa statistica (Westbrook guida con il 41%!), ma anche senza accentrare troppo il gioco su di sé riesce a far accadere tante cose in attacco. In primis in transizione, vera specialità della casa. Gordon Hayward segna 1,39 punti per possesso in transizione facendo peggio dei soli Butler e Gary Harris tra chi ha giocato almeno 100 possessi in questa situazione di gioco. Le sue lunghe leve unite ad una rapidità di pensiero e di gambe molto sviluppata gli consentono di pattugliare le linee di passaggio avversarie senza rischiare di perdere il contatto visivo con il suo uomo.

Appena parte il passaggio è già oltre. Pochi possono fare questa giocata.

Non solo è un ottimo interprete del roaming difensivo, ma è anche abile nelle letture ad alta velocità. Spesso per aprire un contropiede la squadra si affida a lui e raramente Hayward spreca una transizione positiva.

Read and React

Prima però parlavamo di un set di movimenti senza palla da leccarsi i baffi e quindi esaminiamo lo straordinario mondo dei tagli haywardiani. I punti per possesso nei tagli sono 1,45 dato che lo colloca alle spalle dei soli Lebron e Giannis (chi ha detto all-arounder?!) e non può essere altrimenti vista la qualità dei movimenti di Hayward.

La palla di Gobert è un cioccolatino, il movmento di Hayward lo faceva simile un certo Pippo Inzaghi.

Non va nemmeno troppo veloce ma è fatto talmente bene questo ricciolo che non può essere contestato.

Altro contro-movimento da centravanti puro. Che poi secondo me non l’ha nemmeno mai vista una partita di calcio ma tant’è.

La sua prima convocazione all’All-Star Game è la riprova che le stelle non si caratterizzano esclusivamente per gli highlights. La poetica dei tagli di Hayward non ha paragoni nel panorama NBA ed è uno dei motivi per il quale vale la pena guardare la franchigia dello Utah.

Il ragazzo però gioca molto bene anche quando deve guidare l’attacco. In situazioni di pick and roll genera 5,4 punti a partita; il suo approccio palla in mano è di quelli consapevoli, attenti a scegliere l’opzione migliore in qualsiasi circostanza.

Love rimane passivo e in un amen è già partito il tiro.

Legge splendidamente il raddoppio e per Gobert è una passeggiata.

L’abilità da playmaker l’abbiamo spiegata in precedenza, ci può stare, ma quello che realmente sorprende guardando questo mingherlino dell’Indiana è l’atletismo che sprigiona in campo. Non è un grandissimo intimidatore (appena 0,3 stoppate a partita) ma quando decide di voler andare in cielo…

…vola

Che poi presa singolarmente è una grande schiacciata, un timing pazzesco, ma c’è di più. Magari non ha ancora una signature shoes (e non credo gli interessi averla) però ha sicuramente una signature move.

Idem

Idem con patate

E per chi avesse ancora dei dubbi sulle formidabili doti atletiche di Gordon Hayward c’è la gif definitiva.

Ah ecco

L’altro sarebbe quella specie di esperimento riuscito male che ha condannato il povero Giannis a vivere in un corpo totalmente fuori scala. La cosa è diventata interessante quando si è cominciato a giocare a basket e infatti adesso è uno degli spettacoli ambulanti più richiesti oltreoceano. Hayward evidentemente non lo sa e gli salta in testa comunque. Terrificante. Non è spiegabile a livello fisico e quindi bisogna accettare il fatto che questo con ore e ore di lavoro in palestra è diventato uno dei giocatori più immarcabili della lega.

Gli Utah Jazz sono finalmente diventati quella squadra matura e capace di inanellare vittorie che i tifosi aspettavano. Adesso però viene il difficile. La stella del gruppo ha un contratto in scadenza e le possibilità che si accontenti della player option sono risicate. D’altronde perché dovrebbe. Gordon Hayward ha tutte le carte in regola per aspirare ad un max contract che comunque la dirigenza dei Jazz gli offrirà. Qualora rientrasse in uno dei tre quintetti All-NBA il discorso sarebbe meno problematico, dal momento che la franchigia che ne detiene i diritti potrebbe arrivare ad offrire un massimo di 220 milioni di dollari per cinque anni. La concorrenza però è agguerrita, e dei sei posti disponibili negli slot di ali almeno quattro sono già prenotati (James, Leonard, Durant, Antetokounmpo). Primeggiare sui vari Green, Love, Griffin, George, Butler, Davis (qualora venga considerata un’ala) non è cosa per esseri umani, per quanto sviluppati nella loro arte. Il max-contract dei Jazz quindi sarà di 180 milioni, 50 in più di qualsiasi altra offerta possa ricevere il ragazzo di Brownsburg.

Tuttavia se la dirigenza dei Jazz non si muoverà in tempo per trasformare la squadra da cigno appena svezzato a contender c’è la possibilità che Hayward lasci sul piatto qualche bigliettone pur di puntare al titolo. Paul George in persona si è già esposto sulla possibilità di giocare insieme al prospetto scelto appena prima di lui nel draft 2010, i Boston Celtics farebbero carte false pur di portarlo in Massachusetts. D’altronde sul pino dei verdi c’è il suo mentore, uno dei primi che ha creduto nel suo talento, quel Brad Stevens che insieme ad Hayward è andato a un tiro da uno dei più clamorosi titoli NCAA. Chissà che non vogliano tentare un’altra cavalcata insieme; entrambi sono più maturi, entrambi hanno brancolato nell’ombra prima di uscire allo scoperto. Non ditelo ad Hayward però, le luci della ribalta le lascia volentieri ad altri.

Credits to bostonherald.com

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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