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Playoff NBA Preview: le analisi di tutte le serie!

Alzi la mano chi ad inizio stagione ha avuto la faccia tosta di puntare i risparmi di una vita sul primato dei Boston Celtics nella Eastern Conference. Immagino che, veggenti a parte, a sventolare fieramente la mano al cielo come il più indisponente dei secchioni delle elementari siano ben pochi stavolta. Il perché non è certo da ricercare nei (presunti) difetti strutturali della truppa di coach Brad Stevens, che può meritatamente permettersi di guardare le altre sette sorelle dell’est dall’alto in basso, ma piuttosto nella gestione delle ultime partite della stagione da parte dei Cleveland Cavaliers. Giuste o sbagliate, le scelte di coach Lue hanno fatto sì che il primo ostacolo verso il repeat sia costituito da quegli Indiana Pacers che LeBron James ha già avuto modo di conoscere nelle scorse postseason. Sebbene l’esito della sfida appaia scontato, non bisogna sottovalutare le motivazioni dei Pacers e dell’intera Indianapolis: da quelle parti il Re ha ancora un conto da saldare.

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Era lecito attendersi che LeBron e soci, freschi vincitori del primo storico titolo della franchigia dell’Ohio, dominassero la Eastern Conference e così è stato, almeno fino alla loro personalissima March Madness: sono state soltanto 7, a fronte di 10 sconfitte, le vittorie riportate dai Cavs in questo lasso di tempo, record (condiviso con i non esattamente irresistibili Brooklin Nets) che ha contribuito alla riduzione di un gap con le dirette inseguitrici che ad un mese e mezzo dal termine della Regular Season sembrava incolmabile.

Thomas e compagni non sono rimasti a guardare e, complici le quattro sconfitte consecutive con cui Cleveland ha chiuso la stagione, sono riusciti a strappare di mano ai Cavs la prima posizione ad Est, con il conseguente fattore campo in un’ipotetica Finale di Conference. Per trovare una spiegazione alla crisi di risultati patita dai Cavaliers basta dare un’occhiata alle importanti defezioni con cui Tyronn Lue ha volutamente fatto i conti. L’obiettivo del coach era chiaro: risparmiare i Big Three in vista di serate ben più importanti, con la consapevolezza che la loro assenza sul parquet si sarebbe fatta sentire. Così è stato e i Cavs si ritrovano dunque in mano il seed #2. Sarà il tempo a dire se le scelte di coach Lue daranno i loro frutti, quel che è certo è che fin dall’inizio l’obiettivo era quello della vittoria finale. Il primato della Eastern Conference, così come tutti i record, conta fino a un certo punto: i Golden State Warriors lo sanno fin troppo bene.

Situazione diametralmente opposta in casa Pacers: le cinque vittorie consecutive che hanno fatto calare il sipario sulla Regular Season di Paul George e compagni hanno consentito ai Pacers di avere la meglio su Bulls e Heat in una volata Playoff che in più di un’occasione era parsa irrimediabilmente compromessa. Gli alti e bassi che hanno caratterizzato la stagione dei Pacers costituiscono l’inevitabile conseguenza del passaggio di consegne da Frank Vogel, accasatosi in estate in quel di Orlando, a Nate McMillan. In questo senso, le dichiarazioni, non sempre felicissime, di un disincantato Paul George non hanno certo aiutato un ambiente alla disperata ricerca di garanzie tecniche e morali in grado di riportare i Pacers nel novero delle contender.

Ad ogni modo, le ricorrenti voci che vedevano George con le valigie in mano in occasione della trade deadline sono ormai acqua passata e, con un Lance Stephenson in più, i Pacers sembrano aver ritrovato la consapevolezza nei propri mezzi necessaria per tentare di ostacolare l’avanzata di King James, proprio come ai vecchi tempi.

La dea bendata, per una volta, sembra stare dalla parte di George

Sfida nella sfida

Con Cavs e Pacers a giocarsi il passaggio del Primo Turno dei Playoff, è impossibile non pensare all’ennesimo round dello scontro LeBron James-Paul George. Il primo, che ha concluso anticipatamente la sua Regular Season con l’harakiri andato in scena lo scorso 9 aprile a tutto vantaggio degli Atlanta Hawks, è reduce dall’ennesima regale stagione: 26,4 punti (quella appena conclusa è la tredicesima stagione consecutiva conclusa con oltre 25 punti di media), 8,7 assist e 8,6 assist ad allacciata di scarpe, che fanno di lui l’unico giocatore della storia a far registrare un minimo di 25 punti, 7 assist e 7 rimbalzi per più di sei stagioni.

A tenergli testa finora era stato Oscar Robertson… beh, finora non dev’essere stato un gran 2017 quello vissuto da The Big O. Per la lotta all’MVP della stagione sembrano esserci ben poche possibilità: si sa, tranne in rare occasioni il LeBron della Regular Season non è neppure paragonabile a quello ammirabile ai Playoff, ma anche quest’anno King James non si è certo tirato indietro, dimostrando di poter spostare indifferentemente gli equilibri di una singola partita o dell’intera lega. Al di là delle polemiche, in 74 partite giocate sono ben 37,8 i minuti trascorsi ogni sera sul parquet, che lo rendono il giocatore mediamente più utilizzato nel panorama NBA. Se invece si tengono in considerazione i minuti effettivamente trascorsi in campo, James rientra comunque nella top 10 della lega (decimo con i suoi 2794 minuti totali).

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Pregi e difetti di LeBron sono ormai di dominio pubblico, ma uno dei massimi esperti dello strapotere tecnico e fisico del nativo di Akron è senza dubbio Paul George. Nel corso delle sue stagioni in maglia Pacers, George ha potuto ammirare da vicino le doti cestistiche di James in più di un’occasione: in particolare, quando i talenti di King James erano ancora a South Beach, le poche speranze di passaggio del turno dei Pacers erano affidate alle sapienti mani di George, che ha sempre dimostrato di poter tenere testa alla stella dei Miami Heat.

Ripresosi completamente da un brutto infortunio che avrebbe potuto avere notevoli ripercussioni sulla sua carriera, George è ormai il leader tecnico ed emotivo della squadra di Larry Bird. Nei sette anni trascorsi nello Stato del basket, il numero 13 dei Pacers è diventato l’uomo franchigia in grado di alzare sempre di più l’asticella delle proprie prestazioni e per il quale ogni allenatore farebbe follie pur di averlo in squadra. Sebbene i punti di media siano “soltanto” 23,7 (che comunque costituiscono il suo massimo in carriera), George ha concluso il mese di aprile con la bellezza di 32,8 punti ad allacciata di scarpa, più di ogni altro nell’arco temporale preso in considerazione. Oltre al consueto apporto nella metà campo offensiva, George non perde occasione per dimostrare che è in difesa che si vincono le partite: non scopriamo certo oggi che fa parte dell’élite degli all-around player, merce sempre più rara in un universo cestistico dominato da superstar offensive. Staremo a vedere che dei due avrà la meglio: sebbene sia probabile che il supporting cast faccia la differenza, l’ennesimo scontro James-George rappresenta senza dubbio uno dei testa a testa più interessanti di questo Primo Turno.

Bonus track: il figliol prodigo Lance Stephenson è tornato nostalgicamente a casa e non ci ha messo molto a seminare zizzania qua e là. Chissà se il vecchio Lance tenterà nuovamente di far soffiare il vento della sconfitta su LeBron e soci?

Precedenti Stagionali

Le quattro partite disputate tra le due squadre nel corso della stagione sembrano essere in controtendenza con quanto detto fin qui. Infatti, la vittoria dei Pacers dello scorso 16 novembre costituisce una nota stonata all’interno della sinfonia perfetta eseguita dai Cavs schiacciasassi di inizio stagione, mentre le tre vittorie fatte registrare nel giro di due mesi sono una delle poche soddisfazioni concesse ultimamente da James e soci ai propri tifosi

Chiavi della serie

Come dimostrato anche dal primo incontro stagionale tra le due squadre, il fattore chiave della serie ha un nome piuttosto noto: LeBron James. Il match andato in scena lo scorso 16 novembre ha inevitabilmente risentito dell’assenza del Re, che negli altri tre scontri diretti della stagione non ha invece tradito le attese: con i suoi 32,3 punti di media, LeBron costituisce senza alcun dubbio il pericolo numero uno per la difesa dei Pacers.

Il bello degli schemi dei Cavs è che tutti li conoscono, ma quelli che sanno come mandarli all’aria si contano sulle dita di una mano. La presenza in campo di LeBron non può che catalizzare l’attenzione delle difese avversarie su di lui: è in occasioni come questa che il nativo di Akron, invece di attaccare il canestro (se i Cavs sono i primi per punti generati da un isolamento – 0,99 – il merito è in gran parte suo) può mettere in bella mostra le sue eccelse doti di uomo assist, ingolosendo non poco la nutrita batteria di cecchini che il GM Griffin ha allestito per il suo re.

Come fai a pensare al ritiro se hai la fortuna di giocare con uno così?

Non è un caso che il 31,4% dei punti messi a segno dai Cavs derivi da situazioni di catch & shoot, che gli esterni dei Pacers dovranno necessariamente limitare: in questo senso, la presenza di specialisti del calibro di Jeff Teague, Lance Stephenson e Paul George offre delle solide garanzie difensive a coach McMillan, tuttavia il livello d’attenzione di Monta Ellis dovrà necessariamente salire di tono trovandosi di fronte ad un backcourt avversario che non sembra conoscere punti deboli, almeno nella metà campo avversaria.

Concentrarsi esclusivamente su LeBron potrebbe essere l’ultimo errore della stagione dei Pacers: come ai tempi di Miami, il Re dispone di validissimi scudieri in grado di mettere in crisi le difese avversarie. Sebbene Jeff Teague sia uno dei playmaker più affidabili difensivamente parlando, il ball-handling di cui Kyrie Irving dispone è un rebus ancora insoluto per la maggior parte delle difese avversarie. Nonostante, come sarebbe invece lecito attendersi da una point guard, l’assist non sia esattamente la specialità della casa – “solo” 5,8 passaggi decisivi a partita quest’anno, mentre lo stesso James ed altri “outsider” come Nicolas Batum e Draymond Green fanno registrare cifre migliori – lo sterminato range di tiro di Uncle Drew è una delle armi offensive più efficaci a disposizione di coach Lue. Sono ben 19,7, convertite nel 47,3% dei casi, le conclusioni tentate ogni sera (sesto nella lega), segno piuttosto evidente che il ragazzo è cresciuto anche dal punto di vista della personalità e non ha alcun timore riverenziale nei confronti di avversari e compagni, LeBron compreso (18,2 tiri a partita per King James).

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Tenendo conto della dimensione perimetrale di gran parte degli interpreti da ambo le parti, con tutta, non è poi così rischioso pronosticare un ampio ricorso al tiro dalla lunga distanza nel corso della serie. In casa Cavaliers, le 1067 triple mandate a bersaglio, il relativo record di franchigia ma soprattutto il fatto che il 35,4% dei punti realizzati da James e soci siano frutto del tiro pesante sono un segnale piuttosto evidente della volontà della truppa di coach Lue di sfruttare le proprie doti balistiche: il 38,4% dalla linea dei tre punti fatto registrare in stagione fa dei Cavs la terza squadra della lega con la percentuale più alta.

Inutile aggiungere che Warriors e Spurs sono le due franchigie che li precedono in questa particolare classifica, mentre è invece interessante notare come la quarta posizione sia occupata proprio dai Pacers di coach McMillan. Sebbene il 37,6% fatto registrare in stagione costituisca un segnale decisamente positivo nell’ottica di una sorta di Three-Point Contest valido per il passaggio del turno, è doveroso ricordare come le conclusioni mediamente tentate dalla distanza dai Pacers siano state soltanto 23 (ventisettesimi nella lega), a fronte delle 33,9 dei Cavs. Pur non abusando di questo genere di conclusioni, i Pacers dispongono di validissimi interpreti in grado di allargare il campo e punire le difese avversarie nei momenti opportuni. In quest’ottica, il deludente Defensive Rating dei Cavs di 108 punti concessi su 100 possessi, che relega James e soci al ventiduesimo posto di questa graduatoria, potrebbe dare una grossa mano all’attacco dei Pacers.

Spostandoci nel reparto lunghi, sarà interessante vedere chi tra Myles Turner e Tristan Thompson avrà la meglio nel duello sotto le plance. Il sophomore di Indiana, vero e proprio underdog della categoria unicorni, è in grado di creare non pochi grattacapi alle difese avversarie grazie alla sua estrema versatilità: la sua capacità di aprire il campo potrebbe portare TT fuori posizione, il che agevolerebbe le scorribande al ferro di George e compagni, e negli ultimi tempi ha dimostrato di essere un più che valido rim protector (sono state ben sei le stoppate rifilate agli Hawks nell’ultima partita della stagione); tuttavia, è innegabile che la presenza di Thompson non farà altro che accentuare uno dei problemi che McMillan ha tentato invano di risolvere, quello relativo ai rimbalzi.

Le 42 carambole catturate mediamente dai Pacers, che li collocano al poco invidiabile ventiseiesimo posto nella lega, rischiano di compromettere irrimediabilmente l’esito della serie se lo staff tecnico della squadra di Bird non riuscirà ad arginare la presenza a rimbalzo dell’accoppiata Thompson-Love, due specialisti nella cattura dei palloni vaganti. L’assenza di un lungo con caratteristiche diverse costituisce una gravissima lacuna del roster dei Pacers: né Young né Jefferson, per quanto quest’ultimo sia riuscito a contenere lo strapotere fisico di Hassan Whiteside nel corso dei Playoff 2016, sono in grado di offrire garanzie in questo senso. L’assenza di alternative nel reparto lunghi è l’emblema del divario esistente tra le due franchigie. La profondità delle due panchine non è infatti neanche lontanamente paragonabile: senza dilungarci oltre, basti pensare che nel match dello scorso 8 febbraio Kyle Korver è stato in grado di mettere a referto 29 punti, frutto di otto triple mandate a bersaglio su nove tentate, risultando il top scorer della partita. Al di là delle prestazioni individuali, la forza di LeBron James, e di conseguenza di Cleveland, è quella di migliorare il rendimento dei comprimari: tanto per fare un esempio, non è certo un caso che la percentuale al tiro da tre punti dello stesso Korver sia passata dal 40,9% dei primi mesi ad Atlanta al 48,5% attuale.

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Tenendo in considerazione anche i problemi fisici, seppur non di grave entità, accusati da Jeff Teague (la cui importanza e costanza sono testimoniate dalle sue 82 partenze in quintetto, primato detenuto insieme a Dieng, Towns, Wiggins e Gortat) e Al Jefferson negli ultimi giorni, la missione a cui sono chiamati George e compagni è poco meno che impossibile. I Big Three dei Cavs, tirati a lucido per l’occasione, se coadiuvati a dovere dal resto della corte del Re, non dovrebbero avere troppe difficoltà a passare il turno. Tuttavia, non è da escludere che le sconfitte racimolate negli ultimi due mesi abbiano lasciato qualche strascico in termini di fiducia nei propri mezzi.

George contro LeBron, Turner contro Thompson, Teague contro Irving: se i Pacers hanno intenzione di passare il turno dovranno avere la meglio in ogni singolo duello individuale, nel tentativo di spezzare l’incantesimo che li vede uscire con le ossa rotte ogni volta che LeBron mette piede sul parquet della Bankers Life Fieldhouse. Noi non dovremo far altro che impostare l’unica sveglia dalla quale ogni uomo si augura di essere svegliato: it’s Playoff time!

Cleveland Cavaliers-Indiana Pacers

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Pubblicato da
Andrea Falcetti

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