Cosa succede ai Celtics?

Imprevedibile e surreale. Ci sono pochi dubbi sul fatto che la storia di questo inizio di playoff NBA sia il vantaggio 0-2 dei Chicago Bulls (ottavi nella Eastern Conference) sui Boston Celtics, primi al termine della regular season. Le due partite andate in scena sul parquet incrociato del TD Garden hanno sancito, nel giro di pochissimi giorni, un completo ribaltamento di pronostico e di prospettiva: quella che era una delle squadre meglio allenate della NBA e capace di mostrare un invidiabile gioco corale, con tanto di allenatore in corsa per il premio di coach dell’anno, è caduta due volte sotto i colpi di una Chicago considerata tra le squadre più disfunzionali della lega, che ha navigato in acque turbolente per tutta la stagione, e che ora invece recita il ruolo di squadra vincente, coesa e ben assortita. Questa una prima lettura, ma ovviamente c’è dell’altro, molto altro.

All’alba di sabato 15 aprile Chyna Thomas, sorella ventiduenne di Isaiah, rimane vittima di un incidente stradale nel natio stato di Washington. La notizia della tragedia viene comunicata al fratello al termine dell’allenamento pomeridiano dei Celtics. Circa ventiquattr’ore più tardi si gioca gara-1: Isaiah, dopo una notte presumibilmente insonne, decide di giocare e, in un clima di grande commozione e di forte sostegno, firma una prestazione da 33 punti, 6 rimbalzi e 6 assist in 38 minuti, come se servisse un’ulteriore conferma dell’enorme cuore insito in questo giocatore di 1 metro e 75.

Tuttavia ciò non basta per evitare la sconfitta, con i Bulls che la spuntano 102-106. E la situazione precipita in gara-2, con una netta affermazione di Chicago (97-111) e una generale perdita di lucidità, sia in Thomas sia in diversi compagni. Ma, per giustificare la doppia sconfitta, è sufficiente lo stato d’animo surreale in cui vive la squadra dopo il dramma che ha colpito il numero 4 bianco-verde? No, perché l’accaduto al massimo può aver accelerato la venuta a galla dei limiti di questi Celtics, che già in regular season ci avevano messo un bel po’ per trovare la quadra e che, non va dimenticato, hanno un bilancio in negativo con gli altri top team della lega.

C’è un dato, già evidenziato in sede di preview e confermato dal campo, che sintetizza con chiarezza cosa non ha principalmente funzionato in Boston in questo avvio di primo turno: i rimbalzi. In gara-1, Chicago ha dominato catturandone 53 contro i 36 degli avversari (33 difensivi e 20 offensivi, contro i 24 e 12 di Boston). Supremazia che si è ripetuta, anche se con differenza più ridotta, in gara 2: 43-38. Il tutto con una percentuale effettiva di 56,3 rispetto al 43,5 dei Celtics. All’interno della performance di squadra, in cui anche le guardie di Chicago hanno preso più rimbalzi di quelle di Boston, Robin Lopez è stato un punto di riferimento per i Bulls. Il centro dai capelli ricci ha ingigantito i problemi di atletismo e fisicità sotto canestro dei Celtics, tirando fuori una doppia cifra punti-rimbalzi nella prima uscita (14+10) seguita da un solidissimo 18+8 nella seconda vittoria.

L’altro grande limite di Boston è la stretta dipendenza da Isaiah Thomas. Nonostante coach Stevens abbia sviluppato una delle migliori motion offense della NBA, questa squadra non può fare a meno della sua point guard, sulla cui capacità di penetrazione e creatività si basa l’intero sistema. Se lo sforzo emotivo di gara-1 gli ha permesso di tirare fuori una grande prova, lo stress si è fatto sentire in gara-2, conclusa con 20 punti ma frutto di uno scialbo 6/15 dal campo e 1/5 al tiro da tre in 41 minuti, con 5 palle perse (16 quelle di squadra). Qui torna a manifestarsi la mancanza di una seconda stella in grado di caricarsi la squadra sulle spalle, perché nessuno degli attuali Celtics si avvicina allo status di leader né tecnicamente né caratterialmente. Tanto che nella frustrazione generale sono emersi vari episodi di nervosismo: Bradley ha criticato i compagni per la scarsa applicazione in difesa, Marcus Smart ha mostrato il dito medio a un tifoso, non sono mancate discussioni durante i time-out. Una situazione agitata che fino a qualche tempo fa sembrava prerogativa di un’altra squadra NBA: i Chicago Bulls.

L’esito delle prime due sfide con Boston ha messo Butler e compagni, qualificatisi ai playoff all’ultima partita, nella posizione di squadra unita e funzionante, mentre sono gli altri adesso a rischiare un’eliminazione che, dal 1984 a oggi (anno di nascita dei playoff a 16 squadre) sarebbe la sesta per una testa di serie numero 1 buttata fuori da una numero 8. La squadra guidata da Fred Hoiberg per tutto l’anno è stata vista come un non-senso: nell’estate scorsa, al termine di una precedente stagione a sua volta movimentata, la franchigia sembrava avviata a una ricostruzione propedeutica a un basket più in linea con le tendenze attuali (spaziature, ritmi alti, tiro da tre, transizione offensiva), salvo poi prendere Wade e Rondo, elementi tutt’altro che funzionali alla concezione di Hoiberg.

A questo, vanno aggiunti i problemi di spogliatoio, la frattura tra Butler e Wade da una parte e Rondo dall’altra e la difficile posizione dello staff tecnico. Una pentola in ebollizione che finora aveva causato malcontento e insufficienza di rendimento di più di un giocatore. Eppure, come lo stesso Hoiberg ha sottolineato, lo sprint finale per agguantare i playoff (7 vittorie nelle ultime 9 partite) sembra aver creato una nuova chimica e compattato la squadra dopo tante burrasche. Tutti si stanno impegnando, rispettando la leadership e l’esperienza di Wade e Butler e dalla panchina escono fuori apporti preziosissimi come Portis (19 punti in gara-1) e il rookie Zipser, autore di 16 punti in gara-2, oltre a un ritrovato Mirotic. E soprattutto, la storia nella storia: Rajon Rondo.

In gara-2 al TD Garden, Rondo sembrava tornato quello dei vecchi tempi di… Boston. Ha sfiorato la tripla doppia, con 11 punti, 9 rimbalzi e 14 assist, a cui vanno aggiunte 5 palle rubate e tanti passaggi sporcati, come se si ricordasse a menadito schemi e movimenti della sua ex squadra, in cui ha militato per nove stagioni di cui una e mezzo proprio agli ordini di coach Stevens. In generale, la difesa di Chicago è stata efficace e rapida, ha costretto Boston a forzare e affrettare molti tiri. Rondo, che durante la regular season ha dovuto attraversare un periodo buio in cui ha rischiato di essere definitivamente messo da parte, ora guida a pieno titolo l’attacco dei Bulls ed è una presenza determinante in difesa.

Ora che succede? La serie, ovviamente, è ancora aperta, ma l’inerzia è tutta dalla parte di Chicago che ha acquisito un notevole vantaggio nel fattore campo. Boston dovrà violare almeno due volte lo United Center, dove in regular season è uscita sconfitta in entrambe le occasioni. Molto dipenderà da Isaiah Thomas e su come riuscirà a gestire il macigno che gli è piombato addosso all’improvviso, perché questi Celtics dipendono da lui. E i compagni dovranno ritrovare con molta fretta la miglior condizione soprattutto mentale per affrontare il clima dei playoff NBA. Per quanto riguarda i rosso-neri, è lecito aspettarsi una salita in cattedra di Dwyane Wade, autore di due solide prestazioni anche se non appariscenti né dominanti, ma a 35 anni è difficile chiedergli di più di quel che sta facendo. Butler ha dimostrato grande spirito e concentrazione, segnando molto nei momenti decisivi di gara-1 e gara-2 e Rondo dovrà evitare di perdersi di nuovo.

Francesco Mecucci

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