Non ho mai visto giocare Michael Jeffrey Jordan. Sì, certo, ho visto highlights, repliche e partite intere di His Airness, ho visto speciali su di lui e letto libri che tratteggiano la figura più iconica del mondo sportivo moderno ma non è la stessa cosa, o almeno non lo è per me. Approcciarsi ad un personaggio del genere essendo già a conoscenza dell’universo che ha costruito sulla sua magnificenza cestistica influenza per forza la visione del suo gioco e “sai già che vincerà, vuoi semplicemente vedere come“. Ma non è comunque la stessa cosa. Mi sono avvicinato alla pallacanestro negli ultimi anni della mia vita, il basket non è mai stato il mio sport di elezione in infanzia e probabilmente non lo è nemmeno ora, anzi, togliamo il probabilmente. Se mi sono avvicinato a questo magnifico sport e me ne sono innamorato comunque è merito di due personaggi.
Il primo è “Il fu Derrick Rose” di cui porto un personalissimo dolore per il fatto che abbia calcato i campi dell’NBA per solo qualche granello di sabbia della clessidra in cui scorre il Tempo. Ora c’è un ragazzo che si fa chiamare Derrick Rose ma non è lui, e non lo sarà mai più. Il secondo è LeBron James, che poi in ordine cronologico fu anche il primo a farmi guardare dall’altra parte dell’oceano con interesse. Potremmo dire che James mi fece scoprire un mondo meraviglioso “al di là dello specchio” e Rose mi ci fece perdere definitivamente.
Quando LeBron James disputava la prima partita di NBA aveva diciannove anni e aveva addosso le attenzioni dell’intero panorama statunitense da due o tre anni, ovvero da quando costringeva la squadra della sua high school a spostarsi in un palazzetto in grado di contenere le 16.000 persone che andavano a vederlo ogni santa volta che si allacciava le scarpe per dominare su un campo da basket sedicimila (!), riuscite a immaginarvi ad andare a vedere una partita di basket delle scuole superiori con altre 15.999 persone? Da quando sono venuto a conoscenza di questo fatto mi è sempre sembrata una cosa folle, una delle tante cose che rendono LeBron James un personaggio così affascinante. Tutto questo succedeva negli anni 2001-2002-2003, ovvero 14 anni fa. E se dalla stagione 2003-2004 sono successe così tante cose nel mondo NBA da rendere impossibile farne un riassunto c’è sempre stata una sola costante: LeBron Raymone James.
Credits to: Youtube via Google
Sono passate 13 stagioni da quando è entrato nella Lega, ha disputato per 11 stagioni consecutive i playoff (and counting), arrivando per 7 volte alle Finals e vincendo 3 volte l’anello e la cosa più assurda è che di questo gliene si fa una colpa. Ne ha vinti solo 3. Ha un conto aperto di 6 Finals consecutive, se riuscisse ad arrivarci anche quest’anno diventerebbe il primo giocatore nella storia a riuscire a disputarne sette consecutive. Attualmente è l’unico giocatore nella lega in grado di trasformare una squadra in Contender solo con la sua presenza. E’ indiscutibilmente il giocatore che sposta di più gli equilibri. Nonostante questo di LeBron James si parla sempre meno dal punto di vista tecnico e sempre di più solo a livello di amore/odio.
Prendiamo come minuscolo campione quello che ha fatto in questa prima serie di playoff: 32.8 punti, 9.8 rimbalzi, 9 assist, 3 rubate, 2 stoppate, il 54.3% dal campo e il 45.0% da dietro l’arco di media. E questi sono solo i numeri che stanno in superficie. Ah, tutto questo a 32 anni e con più di 8.500 minuti di playoffs (4° di sempre) sul groppone. Ha trascorso in campo in media 43.8 minuti, vale a dire un solo minuto in meno del tempo che trascorreva 10 anni fa sul parquet ed è il minutaggio massimo di media nella Lega. Questo sforzo extra ha pagato dividendi perché i Cavs sono a riposo da domenica 23 aprile mentre i Raptors, futuri avversari, hanno chiuso la serie solo giovedì 27 aprile. Inoltre possiamo dire con certezza che senza LeBron James la serie contro i disastrosi Pacers non si sarebbe mai conclusa con uno sweep.
Il pick&roll tra Irving e James è una delle armi tattiche dei Cavs per attirare l’attenzione delle difese avversarie liberando spazi per i tiratori. Kevin Love deve limitarsi a non sbagliare questi tiri, cosa che non gli riesce sempre così facile…
Ci sono due dati che valorizzano questa tesi. Il primo sono i 16 punti di scarto totali registrati tra le due compagini nel corso di quattro partite, e se tornate con la mente ai numeri di prima capirete perché affermo che senza di lui non sarebbe stato cappotto. Il secondo è una delle dimostrazioni di forza mentale e tecnica più spaventose degli ultimi anni, vale a dire la rimonta pazzesca in gara-3 guidata dal Re senza Irving e Love, ovvero le due altre stelle della squadra. Una cosa storica, la remuntada più difficile di sempre a causa dei 25 punti che separavano le due squadra a metà partita.
Il tabellino di gara-3 è testimone di una prestazione che va molto oltre i semplici numeri, di per sé straordinari. Tripla doppia con 41 punti, 13 rimbalzi e 12 assist con 6 triple realizzate su 12 tentativi (storicamente il suo punto debole) e l’unico neo rappresentato dal 50% ai tiri liberi, un dato che sta preoccupantemente precipitando in questa fase della carriera, tanto da renderlo soggetto ad hack nei momenti conclusivi. Al di là di questo ciò che impressiona è il controllo mentale assoluto che possiede su compagni, avversari, allenatori, arene, pubblico e, ovviamente, sul Gioco. Le triple messe nel terzo quarto di Gara-3 sono emblematiche, spesso non sono buoni tiri ma sembra poter decidere quando riuscire a farle entrare nella retina. Nei momenti importanti tutti sanno che si può sempre contare su LeBron.
Nel 2° quarto era già bello carico: penetrazione contro 3 avversari, risultato 2+1. Con l’esultanza già annuncia la sua giocata successiva: bang! Quando sente questa fiducia è davvero difficile pensare di contenerlo
Nel quintetto con cui ha sbriciolato le certezze costruite dai Pacers nei primi due quarti di gioco, quello con Deron Williams-JR Smith-Korver e Channing Frye, LeBron gioca contemporaneamente da “play” e da “centro”, in un sistema di giocatori positionless che prevede accanto a lui la presenza di 4 tiratori che hanno un solo lavoro: non scalpellare i capolavori del Re.
I risultati sottoforma di stats: Offesive Rating dei 5 giocatori citati che non scende sotto il 130 (proprio di LeBron) e spazia fino al 160 abbondante di Korver e Frye, senza tralasciare quel 266 di Deron Williams semplicemente fuori da ogni logica. I risultati sottoforma di gifs:
Deron Williams = 260 Offensive Rating
“Channing, this is for you!” (semicit. parte 1)
“Channing, this is for you” (semicit. parte 2)
Buona parte del merito è di Korver che in un decimo di secondo trova l’equilibrio per segnare una tripla pesantissima nonostante il passaggio non sia precisissimo. Tuttavia la consapevolezza della disposizione dei compagni è sempre presente nella mente di LeBron.
I Cavaliers sono totalmente affidati alla leadership di LeBron James. Anche giocatori del calibro di Irving e Love sono rimpiazzabili in determinati momenti di gioco, mentre l’unico che non può essere sostituito è proprio il Prescelto, che mantiene entrambe le mani sul timone della franchigia dell’Ohio. Le speranze di repeat sono concentrate sulle spalle del #23, tornato a Cleveland proprio per lasciare un segno anche nella storia della franchigia casalinga come (solo in parte nella sua mente) è già riuscito a fare con il Larry O’Brien Trophy dello scorso giugno.
La situazione attuale in Ohio non è delle migliori, l’equilibrio e la concentrazione soprattutto in fase difensiva di tutti i giocatori è ancora precaria e tutto si può ridurre nella capacità della squadra di switchare la mentalità nei momenti decisivi, cosa che per ora sembra riuscire a fare solo il padrone di casa. Già dalla prossima serie contro i Raptors il solo LeBron James potrebbe non bastare.
Il tiro da 3 punti è il suo storico punto debole…
La grandezza del Prescelto è testimoniata anche dalle scalate a qualsiasi possibile classifica playoff all-time vi venga in mente. Terzo posto per punti segnati (MJ è ormai lì, a meno di 300 punti), settimo in quella dei rimbalzi, terzo in quella degli assist e rubate ed un “deludentissimo” 21° posto in quella delle stoppate. Una macchina da guerra della post-season, un unicum storico per costanza a certi livelli e un unicum per il tipo di giocatore che è arrivato ad essere: è probabilmente il migliore all-around player di sempre.
Perché mai allora si respira così poca ammirazione per un giocatore così? Ci siamo legati al dito il fatto che abbia deciso di andare a Miami per vincere insieme ad altre due Superstar? In parte potrebbe essere così ma anche la Storia ha dimostrato che un uomo solo non può vincere. Lo stesso Jordan ha avuto bisogno di Pippen, Kobe di Shaq o Gasol, gli Warriors odierni presentano 4 Superstar e per questo stanno subendo l’ondata di “odio collettivo”.
Se da una parte è normale da semplici spettatori sperare in una distribuzione del talento per avere uno spettacolo maggiore dall’altro lato non si può travisare completamente il giudizio su dei giocatori che oggettivamente sono straordinari. Un giocatore da solo non può vincere, la meravigliosa e al contempo folle stagione di Westbrook è un fatto che abbiamo visto dispiegarsi davanti ai nostri occhi. Si può davvero biasimare così tanto dei ragazzi che vogliono semplicemente trasformare il talento donatogli da Madre Natura in una firma sotto il grande albo d’oro del Gioco? Just appreciate greatness è una massima di vita che dovremmo fare nostra in ogni situazione.
In fondo, però, la motivazione principale potrebbe essere un’altra. Probabilmente LeBron James ci ha stancato. O meglio, ci siamo assuefatti al suo frantumare record, alla sua dimensione di re Mida che trasforma in una squadra competitiva anche accozzaglie di giocatori, al suo essere semplicemente un giocatore straordinario che sta costruendo una carriera leggendaria. Il tempo costruirà il mito e lo innalzerà al livello dei più grandi di sempre, laddove merita di stare un professionista del genere. Il nostro compito è quello di osservarlo, ammirarlo e, nel limite del possibile, apprezzarlo mentre la storia si svolge, un compito meno facile di quello che può sembrare a prima vista. Dobbiamo cercare di farlo per ricordarci del #23 da Akron con i suoi pregi e i suoi difetti, in modo da poter dire serenamente di non aver mai visto giocare Michael Jordan ma di aver visto giocare LeBron James. E per questo essere grati.
Alberto Mapelli