Sono solamente due le squadre che, dalla loro fondazione, non sono mai arrivate alle finali di Conference: New Orleans Hornets/Pelicans e Los Angeles Clippers. Chris Paul ha giocato solamente in due squadre dal suo ingresso in NBA: New Orleans Hornets/Pelicans e Los Angeles Clippers.
Premessa: questo è un articolo volto ad un elogio di Chris Paul. Non è la condanna a un fenomeno che non riesce a dare il meglio nelle situazioni che contano di più, al contrario vuole essere la celebrazione di uno dei giocatori più unici della storia della lega, uno dei pochissimi veri ‘generali da parquet’ che si siano mai visti. E che allo stesso modo, rischia di essere ricordato come una delle più grandi incompiute di sempre.
Los Angeles, 2 Maggio 2015. I Los Angeles Clippers al primo turno affrontano i San Antonio Spurs, campioni NBA in carica, e danno vita a una delle serie più belle degli ultimi anni, fatta di vittorie esterne e cambi di inerzia da una partita all’altra come poche se ne sono viste di recente. Il capitolo finale si svolge allo Staples Center, in gara 7, e in caso ve lo foste dimenticato, la partita termina così.
Chris Paul above the world, si prende tutte le responsabilità del mondo e senza coinvolgere neanche un compagno prima, e affrontando da solo Danny Green e Tim Duncan poi (non proprio gli ultimi arrivati in termini difensivi), segna il canestro della vittoria che fa sperare un intero popolo. I tifosi dei Clippers ci credono davvero: pensano che gli anni d’oro sono finalmente arrivati, che il resto della lega non potrà più farsi loro beffe, che il gruppo partito come Lob City finalmente è pronto all’ultimo salto.
Come disse un certo storyteller italiano in tempi non sospetti, però, sulle maglie c’è scritto Clippers.
E infatti, anche dopo la straordinaria impresa portata a termine contro gli Spurs, Paul e compagni subiscono l’ennesima deludente eliminazione e tornano a casa al secondo turno nel miglior anno della propria vita sportiva.
Los Angeles, 30 Aprile 2017. Sono passati solo due anni dall’epica serie contro San Antonio, e tutto è legato ancora una volta a una gara 7. L’atmosfera è leggermente diversa, i Clippers, tormentati dalla sfortuna, hanno perso Blake Griffin e si sono fatti portare al limite dagli Utah Jazz – più che competitivi, ma al primo anno solido dopo tanto rebuilding. Nella notte più importante, poi, gli ospiti giocano una partita in controllo e staccano il biglietto per il secondo turno dimostrando di avere una marcia in più rispetto a LA.
L’ultimo con la palla in mano è sempre lui, Chris Paul, che con la partita già ampiamente persa si precipita nella metà campo offensiva a cercare gli ultimi 3 punti della stagione, spingendo via la marcatura di George Hill in un gesto che sembra quasi l’emblema dei suoi sentimenti nei confronti di quello che gli Dèi del Basket gli hanno riservato.
“Se i Clippers non vincono nemmeno quest’anno, a fine stagione il gruppo viene smembrato”. Se ne è parlato tanto prima dell’inizio della regular season, si sono fatte tutte le considerazioni del caso durante la stagione e adesso siamo arrivati al quel momento, con la dirigenza che dovrà decidere cosa fare.
In realtà ai piani alti un’idea piuttosto chiara sembrano già avercela, ossia prendere tutti i soldi spendibili e riversarli nelle tasche Paul e Griffin , mantenendo l’ossatura della squadra e provando ad attirare qualcuno in estate per tentare l’assalto a questo benedetto anello negli ultimi anni buoni del playmaker ex Wake Forest. Ah già, perché Paul è arrivato alla fine del contratto che lo lega(va) ai Clippers, e adesso la decisione sul suo futuro spetta solamente a lui – scenario tanto intrigante quanto potenzialmente letale.
Essere padrone del proprio destino a quest punto della carriera diventa infatti un’arma a doppio taglio per CP3, che sì rappresenta ancora un’eccellenza assoluta nel ruolo di point guard, ma che deve allo stesso modo fare molto attentamente i conti con la proprio carta d’identità, che quest’anno dice 32.
Che fare quindi? Il nativo di Lewisville si trova ad affrontare la scelta più importante della sua carriera, e anche mettendo da parte i pensieri riguardanti i soldi che avrebbero invece il ruolo di priorità nella testa di un giocatore più giovane – a quest’età e con la sua esperienza, è lecito presumere che l’obbiettivo principale sia vincere – proprio questo semi-obbligo di infilarsi dell’argenteria al dito rischia di tenere più in ostaggio Paul.
Restando in California e firmando un nuovo accordo con i Clippers, oltre ad essere ricoperto d’oro, l’ex New Orleans si ritroverebbe ancora una volta al centro del progetto. I Clippers come detto avranno anche la grana del rinnovo di Griffin, e quest’ultimo potrebbe avere una forte voce in capitolo nelle scelte estive della dirigenza. Perdere entrambi potrebbe far perdere alla franchigia stabilità e forza d’acquisto, aspetto mai banale agli occhi di chi può essere interessato ad arrivare da fuori.
Anche mettendo che Paul rimanga, però, poi che succede? La NBA ci ha ormai insegnato fin troppo bene che per creare un ambiente vincente ci vuole, oltre a tanta abilità nel creare il giusto environment, tanto, tanto tempo. Certo, c’è l’esempio di LeBron che da quando è tornato a Cleveland nel giro di 12 mesi ha preso i Cavs dagli ultimi tre posti e l’ha trascinati alle Finals (per due anni di fila, vincendoci pure un titolo storico). Ma parliamo di LeBron James, tentare qualsiasi tipo di paragoni con altre situazioni e giocatori è, più che proibitivo, quasi inutile/dannoso.
Tutto questo per arrivare a concludere che, anche se Paul dovesse rifirmare con i Clippers e l’estate dovesse portare in dote un altro co-protagonista per alzare il livello della squadra, un viaggio alle Finals sarebbe tutt’altro che scontato.
Si può provare a testare il mercato allora, vedere se c’è l’occasione giusta per entrare un sistema migliore e magari provare a vincere subito. Ma dove?
Gli Spurs sicuramente, per storia della squadra e caratteristiche tecnico-caratteriali di Paul, sarebbero l’opzione più suggestiva. San Antonio è la definizione in termini cestistici di winning environment, e gli sarebbe data l’opportunità di fianco a LaMarcus Aldridge e soprattutto Kawhi Leonard di essere allenato da uno dei più importanti coach della storia del gioco come Popovich. Gli Spurs per poter creare lo spazio per assorbire il contratto di CP3 dovrebbero muovere diverse pedine. Una cosa come: rinunciare a Mills, Dedmon e Simmons (tutti free agent in estate), stretchare il contratto di Gasol (ammesso che eserciti la player option, ma ha 16 milioni di motivi per farlo e lo farà) e scambiare Tony Parker – dando per scontato ovviamente il ritiro di Manu Ginobili. Detta così sembra infattibile, ma stiamo pur sempre parlando di Chris Paul, una delle point-guard più forti della lega: mai dire mai.
Poi ovviamente l’estate di Paul non si limiterà ad un mero ‘soldi a LA o titolo a San Antonio‘, è chiaro. Di altre squadre che proveranno a tentarlo ce ne saranno eccome, dalle compagini di millenials letali come Minnesota e Milwaukee, che vedrebbero nel playmaker un faro di esperienza dal quale trarre ogni beneficio possibile, a situazioni più assestate ma ancora lontane dai vertici massimi come Utah o Denver.
Qualora Chris Paul decidesse di sondare la temperatura del mercato ci sarà sicuramente una lunga fila di ammiratori, e qui starà di nuovo all’ex NOLA stabilire priorità, sportive e non, considerare il suo presente, il suo futuro e la sua famiglia che vive a Los Angeles (e che nella sua vita ha un’importanza primaria).
Per i Clippers provare a trattenere Paul potrebbe rivelarsi più facile a dirsi che a farsi, ma la parola finale (e non solo perché è padrone del suo destino, vista la capacità di uscire dal suo contratto) spetterà a CP3. Legarsi definitivamente ai colori della parte meno cool di Los Angeles gli darebbe un obbligo pressoché dogmatico di cavare una mentalità vincente ad una franchigia che finora ha avuto molte più ombre che luci. Inoltre vorrebbe dire mettersi totalmente nelle mani di un progetto che per adesso fa acqua da tutte le parti, visto che oltre a Paul e Griffin anche JJ Redick e Mbah a Moute potrebbero andarsene quest’estate (quattro quinti dello starting-five in pratica). Così come lo stesso Doc Rivers, tentato dal lasciare la città degli angeli per assumere un ruolo da allenatore-presidente agli Orlando Magic.
Che l’attrattiva di una delle città più suggestive del mondo basti a convincerlo pare onestamente difficile. Chris Paul è arrivato a un crocevia, il più importante della sua carriera e probabilmente l’ultimo, e la decisione che prenderà quest’estate rischia di lasciare un’impronta indelebile sulla valutazione definitiva della sua carriera. Perché alla fine stiamo parlando di una delle point-guard più forti della sua generazione, forse di tutti i tempi; e rischiare di sprecare gli ultimi anni del suo talento dietro a progetti fallimentari o squadre disfunzionali è una tortura che tutti – Paul e chiunque ami questo sport – sperano davvero di non vedere.