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Che estate aspetta gli Oklahoma City Thunder?

Il calendario gregoriano, introdotto nel 1582 per modificare il precedente calendario giuliano, è stato adottato nella maggior parte dei paesi occidentali. La nostra scansione e concezione del tempo, come risaputo, prende come anno 0 la nascita di Cristo. Ad Oklahoma City, il 4 luglio 2016, hanno vissuto un evento tanto traumatico quanto segnante per la vita (sportiva) di buona parte della popolazione in grado di portare all’introduzione di un nuovo spartiacque epocale. Il nuovo capitolo di Kevin Durant prevedeva la partenza da uno Stato che il destino sembrava aver creato appositamente per renderlo il suo feudo, tanto da avere una città che porta il suo stesso nome. Ma si sa, il fato può incidere solo fino a un certo punto perché gli uomini, purtroppo o per fortuna, possono prendere in autonomia le decisioni e scrivere di proprio pugno la propria storia. Così, un caldo giorno di luglio ha segnato il nuovo inizio anche per i Thunder, che si sono trovati costretti a ripartire da zero, o più precisamente dall’anno I after Kevin Durant.

Oladipo, Westbrook e Adams (credits to: Bleacher Report)

Sopravvivere seguendo un solo Messia

47 vittorie e 35 sconfitte: questo ha prodotto la prima stagione dei Thunder senza Kevin Durant, valse la sesta casella nella classifica di Conference e la conseguente partecipazione ai playoff, terminati lo scorso 25 aprile per mano di uno sceriffo texano barbuto. I freddi, impietosi fatti presentano ai nostri occhi un netto calo nelle prestazioni della franchigia dell’Oklahoma, ampiamente prevedibile considerando l’importanza sportiva, mentale e sentimentale, del giocatore perso in estate a favore di coloro che avevano impedito poco meno di un anno fa ai Thunder di giocarsi nuovamente le Finals NBA.  Avendo bene in mente queste premesse cerchiamo di andare più a fondo per capire cosa è cambiato nella struttura della franchigia più discussa del panorama cestistico americano in questa lunga stagione.

La squadra dell’Oklahoma ha fatto registrare, durante la regular season, numeri decisamente contrastanti: ha chiuso con un Offensive Rating di 105.0, un valore che li classifica come la diciassettesima squadra della lega in quanto a “fase offensiva”, peggiore di tante squadre nemmeno classificatesi ai playoff come Denver, Minnesota o i ben più modesti Hornets. Un crollo drastico rispetto al 109.9 della stagione precedente che li posizionava dietro solamente ai Golden State Warriors e che è solo parzialmente contrastato dall’inserimento nella top-10 per quanto riguarda il Defensive Rating. Il 2016-2017 dei Thunder ha infatti prodotto un peggioramento anche nella metà campo difensiva: il 105.1 segnala un team che si è tenuta sul filo equilibrio tra produzione offensiva e difensiva (Net Rating di -o.2, anche qui diciassettesima). Una squadra che, dati alla mano, ha disputato una stagione nella media NBA. Come ha fatto quindi nel tanto temuto West a guadagnarsi (con ampio anticipo) un pass per la post-season in una posizione assolutamente rispettabile?

Così.

Da ottobre ad oggi sono stati versati fiumi di inchiostro (reale e virtuale) sulla stagione di Westbrook di cui conosciamo tutti i contorni, tutte le sfumature e tutte le carte che entrambi gli schieramenti giocano per cercare di innalzarlo su un piedistallo di cristallo oppure per buttarlo giù dallo stesso. Molto ponziopilatescamente me ne laverò le mani, non prendendo una posizione e limitando le mie osservazioni a dei dati numerici (personali e di squadra) che possano testimoniare nel bene e nel male la stagione di Russell Westbrook da cui si possono prendere molti spunti di riflessione.

Il primo dato che mi sento di sottoporre alla vostra attenzione è la differenza di rendimento offensivo e difensivo della squadra quando Russell è stato in campo e quando no: il Net Rating in regular season con lo #0 sul parquet ha registrato al termine di 82 partite il valore di 3.3 mentre senza di lui precipitava a -8.9, con un Offensive Rating ben inferiore ai 100 punti. Dato che fa riflettere soprattutto quello della post season dove i 46 minuti senza Westbrook sul parquet sono costati senza alcun dubbio una buona parte delle sconfitte contro i Rockets: un -51.3 che vale molto più di mille parole.

46 minuti che Russell ha trascorso più o meno tutti in questo modo.

La seconda “verità numerica” che voglio sottoporvi è un insieme di dati di squadra in cui però non ci vuole molto a scovare lo zampino di Westbrook. Oklahoma ha fatto registrare la 27° percentuale in NBA per canestri assistiti (53.3%) e la 24° per turnovers (14.8%) evidenziando la tendenza a giocare in maniera (eufemisticamente) poco corale, caratteristica che dobbiamo obbligatoriamente attribuire anche allo #0, e di conseguenza ad infilarsi in vicoli ciechi, i quali hanno prodotto un numero incredibile di palle perse. Se a questi numeri sommiamo la folle percentuale di Usage% mantenuta dal nativo di Los Angeles (40.8) possiamo facilmente evidenziare come di questi numeri collettivi così poco entusiasmanti il primo responsabile sia proprio lui.

Un aspetto del gioco in cui i Thunder hanno dominato in lungo e in largo è il controllo dei tabelloni: in stagione regolare hanno catturato il 53.4% dei rimbalzi disponibili in cui spicca il 27.9% dei rimbalzi offensivi disponibili, alias la prima percentuale della Lega. I Thunder si sono trasformati così in uno spauracchio per qualunque squadra che, preparando la gara contro gli uomini di Donovan, dovevano preoccuparsi soprattutto di non concedere troppe seconde opportunità agli abili rimbalzisti di OKC. Infatti è in buona parte dei giocatori più utilizzati che spicca la tendenza a rimbalzo: dietro a Westbrook leader di squadra con 10.7 di media troviamo i lunghi Adams (7.7), Kanter (6.7) e Gibson (4.5) e gli esterni Roberson (5.1) e Oladipo (4.3). I numeri dei lunghi che sono stati anche ridimensionati dalla scelta tattica di lasciare da subito la palla in mano a Westbrook per organizzare attacchi pericolosi sin dai primi secondi di possesso, una situazione vitale per una squadra che, come lascia intuire anche lo stesso dato delle assistenze, ha fatto una fatica tremenda nel creare attacchi “posizionali” in grado di fare breccia nelle mura avversarie.

Un limite, quello della pericolosità negli attacchi a metà campo, incentivato dalla mancanza di una seconda reale minaccia offensiva e, soprattutto, dal terribile (e imperdonabile nell’NBA attuale) deficit dell’intero roster da dietro l’arco dei 3 punti. Gli Oklahoma City Thunder hanno fatto registrare la peggior percentuale dell’intera Lega dalla lunga distanza consentendo agli avversari di trincerarsi all’interno del proprio pitturato in attesa di sentire il suono del mattone che impatta contro il ferro. In questo contesto offensivo così povero di soluzioni la spiccata capacità a rimbalzo dei Thunder è stata un’arma fondamentale per riuscire a disputare una stagione di squadra dignitosissima. Una franchigia che, è bene ricordarlo, si è trovata costretta a sopravvivere mettendosi nelle mani di un solo Messia contro ogni previsione dirigenziale.

Cosa aspettarsi dall’anno II 

La stagione che verrà sarà la prima in cui i Thunder potranno davvero iniziare a progettare il futuro senza l’incognita Durant. A partire già dal mercato da cui, a onor del vero, non dovrebbero arrivare scossoni clamorosi. Partiamo dalle certezze: i milioni già garantiti per la stagione 2017-2018 sono oltre i 110, ovvero ampiamente oltre il floor e a poco meno di 10 milioni dalla soglia della luxury taxIl cap di Oklahoma City è infatti intasato dalla presenza dei rinnovi di Adams e Oladipo, che scatteranno dalla prossima stagione e che porteranno i due a ritrovarsi sul conto in banca più di 21 milioni di dollari a testa. Ad essi si aggiunge l’ultimo anno garantito del contratto di Westbrook, a cui dovrebbe arrivare anche il rinnovo da circa 200 milioni di $ per renderlo una bandiera della franchigia dell’Oklahoma. In tale scenario si stagliano poi coloro che vedono il loro contratto arrivare a scadenza ed iniziano a riflettere sul loro futuro. I giocatori attorno a cui si concentrano i pensieri di Sam Presti sono essenzialmente due: Gibson e Roberson.

Partiamo da Roberson, scudiero sin dalla sua entrata in NBA delle stelle transitate dalla franchigia dei Thunder. Mano a mano che queste hanno deciso di abbandonare la nave e portare i loro talenti in altri lidi il ruolo del #21 è cresciuto sia in campo che nello spogliatoio, grazie all’ottimo apporto sul lato difensivo. D’altro canto le ultime due post-season hanno messo impietosamente in evidenza gli enormi problemi offensivi da sempre compagni del prodotto della Università del Colorado, anche dalla linea dei tiri liberi. Difficile immaginare un’offerta sostanziosa per Roberson, così come è difficile immaginare OKC rinunciare al miglior difensore del roster, a cui però sarà chiesto uno sforzo per limitare i disastri offensivi. La mancanza di altri difensori d’élite e lo scarso appeal sul mercato di una Lega sempre più orientata alla ricerca di giocatori polivalenti dovrebbero far proseguire il matrimonio.

Immagine del 2/12 ai liberi del povero André in gara-4, perculato da tutta la panchina dei Rockets sullo sfondo.

La seconda questione spinosa si chiama Taj Gibson, la cui situazione è legata a doppio filo a quella di Kanter e alla scelta che la dirigenza farà nell’orientare il gioco a partire dal prossimo ottobre. Gibson ha dimostrato nella serie con i Rockets di poter dare un discreto contributo alla causa, anche se difficilmente è stato sostenibile in campo contemporaneamente a Adams, unico lungo davvero insostituibile nello scacchiere di Donovan. Visto l’orientamento (soprattutto ad Ovest) di allargare il campo con quattro esterni da parte di tutte le squadre da playoff è facile pensare alla rinuncia di uno dei due, se non entrambi, con Kanter che sembra il primo indiziato a partire data la bruttissima serie giocata e i (non) progressi difensivi. In caso di rinuncia al turco un contratto per Gibson potrebbe arrivare per avere un cambio “small” di Adams. L’unico aspetto su cui Presti, salvo scenari clamorosi, sarà giudicabile sarà quindi il bottino che riuscirà ad ottenere in cambio del contratto di Kanter.

Va bene non sei un grande difensore, va bene quello è Harden, va bene tutto… ma diamine Enes, sei un manuale vivente di come NON bisogna difendere!

Gli stravolgimenti dovranno arrivare all’interno del parquet, in cui Donovan dovrà resettare Russell Westbrook togliendogli in parte il fardello del salvatore della patria in modo tale da coinvolgere maggiormente i compagniOladipo su tutti è sembrato colui che più a risentito della stagione da Superman dello #0, finendo spesso ai margini e fallendo nelle poche occasioni in cui è stato coinvolto maggiormente nel gioco; essendo il giocatore più talentuoso del roster dopo Russ il contributo dalla prossima stagione sarà essenziale. Ridistribuire le responsabilità anche sulle spalle dell’ex Magic, di Adams e di qualche giovane che ha mostrato spunti interessanti (Grant, Sabonis, Abrines) sarà importante per evitare il ripetersi di un’altra disfatta ai playoff. I sopracitati rampolli dovranno lavorare duramente in estate per cercare di costruirsi un tiro rispettabile dalla lunga distanza dando modo di allargare il campo. Difficilmente infatti immaginare una OKC ai blocchi di partenza della prossima stagione senza un’ala in grado di espandere il range di tiro collettivo stabilmente in quintetto.

Proprio la bassa età media della squadra rappresenta la speranza migliore per un futuro migliore. Una crescita che, però, dovrà avvenire non troppo lentamente in modo che non inizi a venire qualche pensiero di trasferimento anche all’ultima stella rimasta ad Oklahoma City, la quale vorrà tornare a competere almeno sul medio termine per le posizioni che contano. Guardandosi indietro sembra impossibile capire come una squadra con tre All-Star (e mezzo) non sia mai riuscita a vincere un anello ma nell’NBA non c’è tempo per rimpiangere il passato. Il tempo scorre e l’anno II after K.D. sta già per cominciare: saranno pronti ad Oklahoma City a guardare avanti?

Alberto Mapelli

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