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Che estate aspetta i Toronto Raptors?

Schiantarsi contro una montagna di roccia non dev’essere una bella esperienza. Soprattutto se hai la certezza che nonostante quanto tu sia abile, nonostante quanto ti senta fortunato, preparato, pronto o allenato arriverà il momento, prima o poi, in cui andrai a tutta velocità contro una parete inscalfibile. Dev’essere questa la sensazione che tutte le squadre della Eastern Conference provano da tre anni quando incontrano i Cleveland Cavaliers del LeBron James 2.0 Redemption Tour. E anche i Toronto Raptors 2017 non hanno fatto eccezioni.

Nella riedizione della scorsa finale di conference i canadesi sono stati spazzati via da i Cavs in un 4-0 rotondo che esprime la netta, per certi versi quasi clamorosa, inferiorità di Toronto nei confronti dei campioni NBA in carica. Eppure i Raptors sembravano sufficientemente equipaggiati per rendere la serie almeno interessante, provando a togliere delle certezze allo scacchiere primaverile dei playoff di Cleveland (che da sei anni a questa partite si conclude sempre a fine giugno, nel bene e nel male). Non nascondo che anch’io personalmente credevo che Toronto potesse avere legittimamente una possibilità di giocarsela ad armi pari coi Cavs: non solo perché dopo i fantasmi l’anno scorso erano arrivate le prime (seppur faticose) vittorie nei playoff: non solo perché i Raptors venivano dalla seconda stagione consecutiva con almeno 50 vittorie, alternando momenti ― soprattutto all’inizio della stagione ― in cui hanno giocato una pallacanestro offensiva micidiale (e con un DeRozan storico), ad un finale di stagione dove avevano consolidato la loro identità difensiva. Non solo infine perché rispetto ad un anno fa sembravano disporre di un roster più lungo e completo qualitativamente, con gli innesti di Ibaka e PJ Tucker negli ultimi giorni della deadline che avevano scandito bene la linea del GM Masai Ujiri: All-in!

Toronto ha sì riversato tutte le proprie fiche al centro del piatto, ma è rimasta scottata dalla mano (nettamente) migliore della sua avversaria e adesso si ritrova in bilico tra diversi scenari, molto lontani e diversi da loro, e soprattutto con l’incertezza del dove muovere le pedine future. Soprattutto perché quella montagna di roccia di nome LeBron James sembra non avere intenzione di muoversi e quindi il rischio di schiantarcisi sopra resta bello alto anche nel prossimo futuro.

Gli highlights dell’ultima partita stagionale dei Toronto Raptors

La prima cosa da realizzare per Toronto è che in questo modo non si vince. Nonostante le buone prestazioni stagionali e il lavoro (che va riconosciuto) di Casey nel costruire una squadra solida, non appena arriva aprile i Raptors diventano troppo prevedibili, con un attacco facilmente arginabile e scomponibile che gli impedisce di giocarsela alla pari quando il livello si alza. Come nella passata post-season anche quest’anno Lowry e compagni hanno fatto tantissima fatica nel segnare e il gioco destrutturato, fatto di pochissimi passaggi e ancora meno circolazione dell’attacco dei canadesi non aiuta. A Cleveland per esempio è bastato raddoppiare sistematicamente DeRozan costringendolo a passare la palla per rompere gli ingranaggi. Gli stessi nuovi arrivati (Ibaka e Tucker) non sono giocatori in grado di costruire qualcosa mettendosi in proprio. L’unico è stato Joseph ― e dico l’unico perché Lowry, dopo le prime due partite ha dovuto abbandonare la serie per un infortunio ― che con le sue scorribande al peperoncino ha provato a smuovere (con scarsi risultati va detto) la difesa avversaria.

I Toronto Raptors hanno tirato (molto) male anche dal perimetro, anche nei tiri parzialmente o non-contestati. Nonostante gente come Ibaka, Patterson e Carroll non siano spot-up shooter terribili in queste situazioni non sono stati in grado di punire le scelte difensive di Cleveland, col risultato di soffocare ancora di più le spaziature dell’attacco dei Raptors. Spaziature che sono vitali quando la tua stella principale, DeMar DeRozan, vive di penetrazioni e jumper dal mid-range. Purtroppo, per Toronto, così non è stato e per Cleveland è stato relativamente molto facile prendere il sopravvento e chiudere la serie in quattro partite. E adesso?

Credits to Raptors HQ

Quattro giocatori del core attuale saranno free agent a luglio: Patterson, PJ Tucker, Ibaka e Kyle Lowry. Tenerli tutti richiederebbe uno sforzo economico enorme, con anni di luxury tax pesante e la consapevolezza di non essere sul livello delle migliori della lega. Tenerli tutti tenendo intatto il roster attuale è pressoché impossibile. Il giocatore più rappresentativo è Lowry, il quale ha già fatto sapere che uscirà dal suo contratto (come era logico che fosse visti i soli 12 milioni di dollari). Il futuro della point-guard è molto incerto con voci che lo vorrebbero intenzionato a sondare il mercato, anche ad Ovest, e con i Raptors che invece vorranno provare a portarlo indietro. Dei quattro l’unico su cui avrebbe senso fare uno sforzo economico sembra proprio lui, fosse altro che è un all-star fatto e finito e, nonostante qualche acciacco, ha ancora davanti qualche anno ad alto livello.

Sugli altri tre le considerazioni possibili sono pressoché infinite. Sia Patterson che Tucker hanno dimostrato in questa post-season di garantire a Casey una duttilità difensiva preziosa, ma con il contratto ingombrante di DeMarre Carroll e il giovane Powell in rampa di lancio tenerli entrambi non sembra un’opzione. I Raptors vorranno guardarsi intorno alla ricerca di una trade per Carroll, ma il mercato sarà freddino ― per renderlo più interessante Ujiri potrebbe attaccarci una prima scelta, ma questo andrebbe in contro-tendenza qualora Toronto decidesse di ricostruire da capo.

La situazione per Ibaka è diversa. Il contratto che chiamerà quest’estate il lungo congolese (85×4 più o meno a grandi cifre) rischia di essere un boomerang che i Toronto Raptors non possono permettersi. Quella che sembrava la power forward perfetta per i canadesi ha mestamente fallito in questi playoff: come detto perfettamente da Zach Lowe difensivamente non è più il giocatore di una volta e in attacco, soprattutto, oltre ad essere uno spot-up shooter affidabile fa poco altro. Non è in grado di mettere palla per terra, né di buone letture, uccidendo di fatto il flow della propria squadra. Anche qui i Toronto Raptors si troverebbero di fronte ad una scelta delicata: confermarlo, magari con l’idea di scambiare Valanciunas (un altro il cui contratto pesa e non poco sulle spalle dei Raptors, visto soprattutto il plateau mostrato in questa stagione) o lasciarlo libero e puntare invece sullo sviluppo di giovani come Siakam e Poetl.

Credits to CBC

Toronto non ha margine di manovra al momento, e ne avrebbe pochissima anche qualora decidesse di rinunciare a due o tre giocatori tra i 4 free agent. La situazione cambierebbe qualora riuscissero a liberarsi dei contratti di Carroll e Valanciunas, ma come detto è più facile a dirsi che a farsi. Cory Joseph sarebbe materiale più interessante in sede di scambio ― e Toronto ha in Wright un prospetto interessante nello stesso ruolo da poter provare ― ma i suoi 7 milioni di contratto permetterebbe poco o niente. Ujiri potrebbe sondare la temperatura per DeRozan, ma 28 milioni di contratto potrebbe portare le altre franchigie a dubitare. Insomma, il caso è complesso.

Un opzione ― che assomiglia forse alla migliore ― sarebbe quella del rebuilding totale. Perdere Lowry (più Ibaka, Tucker e PP) e provare a cedere in cambio di asset futuribili anche DeMar DeRozan darebbe a Toronto un foglio bianco su cui ricominciare da capo. È una scelta difficile, lo riconosco, che non garantisce nessun tipo di successo e che richiederebbe pazienza e sacrificio (soprattutto da parte dei tifosi), ma che potrebbe portare i Raptors ad avere un quadro futuro generale migliore. Perché non solo la montagna LeBron non sembra essere stanca di distruggere tutto quello che tocca, l’Est si sta riempiendo anche di altre realtà che sembrano più attrezzate ― o con più margine di crescità ― rispetto alla franchigia canadese. Due esempi su tutti: Boston e Milwaukee.

Ujiri ha dimostrato nel corso della sua straordinaria carriera da General Manager di essere portato per questo tipo di lavoro e con i risultati ottenuti negli ultimi due anni potrebbe essersi guadagnato la fiducia necessaria per giocarsi la carta dell’operazione nucleare. I Toronto Raptors hanno già a roster alcuni giovani molto interessanti, che vedrebbero così la possibilità di esprimersi e crescere. I vari Poetl, Siakam, Wright e soprattutto Powell ― già autore di partite importanti negli scorsi playoff ― potrebbero rappresentare una buona base da cui ripartire. Se si arrivasse davvero a questo scenario sarebbe interessante vedere anche cosa i Raptors deciderebbero di fare anche con il proprio coaching staff. I meriti di Casey nella costruzione di questa squadra sono indubbi, soprattutto nello sviluppo umano dei giocatori, ma i limiti evidenziati ― soprattutto nella metà campo offensiva, nei playoff ― sono altrettanto innegabili.

Credits to Toronto Star

Ujiri potrebbe decidere di cambiare anche il proprio head coach, affidandosi ad un restyling totale da far invidia anche al più vorace tifosi di Sam Hinkie, avendo nella propria squadra di D-League un profilo molto interessantedi cui si parla benissimo da mesi ― come Jerry Stackhouse. L’ex giocatore dei Mavs porterebbe linfa nuova al progetto e permetterebbe lo start-over definitivo. Sembra incredibile pensare che una squadra che negli ultimi due anni si è arresa solo con la Cleveland di LeBron James possa attuare una linea così drastica. Ma il rischio di perdere gli anni migliori di questo gruppo inseguendo la chimera di Akron Ohio è reale e ancora peggio Toronto corre il rischio di ritrovarsi nella posizione che nessuna franchigia vuole: troppo forti per perdere (e ricostruire), troppo deboli per competere (e vincere).

Meglio premere il pulsante dell’autodistruzione quando sei ancora in tempo, che gozzovigliare nella palude della mediocrità senza costrutto. L’NBA è come la vita, a volte bisogna toccare il fondo per poter tornare a sorridere.

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Pubblicato da
Niccolò Scarpelli

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