INTRO
«I’ve never been the guy to take the easy way!»
Non potrebbe essere altrimenti, se il tuo nome è Is(a)iah Thomas e la tua altezza è di 1.75 cm (melius abundare quam deficere, dicevano i latini): bisogna intraprendere sentieri diversi, inconsueti. Per il folletto nativo di Tacoma (nello stato di Washington) non c’è mai stato vento favorevole, non ci sono mai stati motivi per credere fortemente in un futuro roseo. Quei motivi ha dovuto trovarli dentro di sé, scavando nel profondo del suo orgoglio e della sua determinazione.
Flash back:«It’s a smaaall world! It’s a smaaall world!». Probabile che nelle orecchie di Isaiah risuoni ancora quel motivetto, quell’incubo che l’ha accompagnato nel corso della sua carriera all’high-school. Era abitudine dei tifosi della squadra avversaria, infatti, schernirlo insistentemente in quel modo durante le sue gite in lunetta. Il viso del ragazzo di Tacoma non tradiva alcuna emozione, alcun sussulto; il risultato era sempre lo stesso: due su due, e zitti tutti.
Ne ha dovute superare di difficoltà Isaiah, pochi come lui hanno avuto così tante avversità da fronteggiare inseguendo i propri sogni di gioventù. Eppure ce l’ha fatta. I Playoffs in corso e la passata Regular Season da lui disputati (dove ha messo su numeri leggendari, degni delle divinità del Gioco), probabilmente saranno serviti da lezione a quei tifosi poco simpatici. Chiunque adesso dovrà fare i conti con la sua eredità, con il suo Mito.
Parafrasando la metafora attribuita al filosofo francese Bernardo di Chartres, siamo nani sulle spalle di giganti.
Uno di quei giganti ha due nomi ed un cognome: Isaiah Jamar Thomas.
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