Nel mondo dello sport le rivalità sono all’ordine del giorno, e sono una componente a cui tutti gli atleti devono abituarsi, specialmente nel caso di sfide importanti o di addii dolorosi.
Di questo argomento ne sa qualcosa Kevin Durant che, intervistato da Michael Lee di The Vertical ha parlato del suo ritorno da Oklahoma City in maglia Warriors:
La partita è una pausa di due ore nella vita dei tifosi che cercano un po’ di divertimento. Poi vanno a casa e si svegliano la mattina dopo per andare a lavorare, tutto qui. Non prendo le offese sul personale. Non odio nessuno che mi ha insultato durante la partita. È semplicemente un divertimento. È così che loro lo considerano. Non ho fatto nulla a loro personalmente. Le loro vite non sono cambiate in base a quello che ho fatto. Le due ore della partita, quando mi insultano, vengono dimenticate quando tornano a casa la sera e devono vivere la loro vita, esattamente come devo fare io. Non provo rancore. Anche per me è stato solo una partita come altre in cui ho giocato e mi sono divertito.
Le parole di KD fanno chiaramente eco a quelle di un’altra superstar della lega, ossia LeBron James che, nel 2011, dopo la sconfitta in finale dei suoi Heat contro i Mavericks, era stato oggetto di pesanti critiche e aveva risposto in questo modo:
Tutte le persone che sperano che io fallisca, alla fine devono svegliarsi la mattina dopo e avere la stessa vita che avevano il giorno prima, avere gli stessi problemi personali. Continuerò a vivere la mia vita come voglio e continuerò a fare le cose che voglio per me e per la mia famiglia. Quindi possono essere felici qualche giorno, qualche mese o quanto vogliono per il fallimento mio e dei Miami Heat. Ma dovranno tornare alla vita reale prima o poi.
Parole molto simili per percorsi professionali molto simili quelle di James e Durant, che si affronteranno per il titolo nelle prossime Finals.