Primo Piano

Che estate aspetta i Boston Celtics?

La cavalcata dei Celtics si è arrestata per colpa del solito, mastodontico, ostacolo che pattuglia l’Est da 7 anni a questa parte. Succedendosi gli anni si sono succeduti anche gli avversari con il risultato di cambiare le venue ma non l’esito. Quest’anno è toccato proprio ai Boston Celtics di Brad Stevens, l’homo novus proveniente dal college basketball che ha trasformato una squadra di comprimari in un gruppo coeso e capace di giocare una pallacanestro al passo con i tempi.

Il primo posto nella conference aveva illuso in parte l’ambiente Celtics, così come le 53 vittorie che poco sono servite contro il despota della costa orientale. Soltanto un buzzer beater parecchio graziato dagli Dei del basket di Bradley ha evitato lo sweep contro i Cavaliers. Per assurdo quel canestro ha reso le considerazioni sul futuro ancora più incerte dal momento che questo gruppo ha dimostrato di avere la giusta fame di vincere, ma allo stesso tempo la sensazione è di una squadra incapace di fare lo step successivo ed arrivare al bersaglio grosso.

La stagione

Alzi la mano chi si aspettava una regular season di questa portata da parte di una squadra che lo scorso anno aveva chiuso al quinto posto ad Est? Pochi scommetto, così come poche erano le chance per un ragazzo di Tacoma alto 1,75m di sfondare nel mondo del basket ma tant’è la vita è strana. Madre natura non gli ha donato i mezzi per dominare sul parquet eppure quest’anno soltanto Westbrook e Harden sono riusciti a far registrare una media punti più alta della sua. Spiegare a un neofita del basket che razza di giocatore sia diventato Isaiah Thomas non sarebbe possibile utilizzando solo le parole. Fortunatamente viviamo in una società in cui le immagini la fanno da padrona e in questo caso collimano con il grido che spesso si è alzato dalle tribune del TD Garden.

M-V-P-!

Il soprannome King of The Fourth deriva da un rendimento sensazionale nell’ultimo quarto di partita quando segna 9,8 punti di media con il 46,7% dal campo. Con lui sul parquet l’attacco dei Celtics funziona a meraviglia; è la benzina che infiamma il falò meravigliosamente organizzato da coach Stevens. L’ex allenatore di Butler ha infatti beneficiato dell’aggiunta di Al Horford creando un sistema in cui il pick and roll e il continuo movimento del pallone dettano le linee guida.

Con Horford il campo è perfettamente spaziato e l’abilità dell’ex Hawks palla in mano rende tutto più facile (5 assist di media, nessun centro fa meglio di lui). Intorno all’asse centrale della squadra ruotano una serie di mestieranti/buoni giocatori/comparse semi-credibili che rendono il cocktail efficace anche nella metà campo difensiva. In particolare la stagione di Avery Bradley lo consacra a vero specialista nella difesa sulla palla anche contro giocatori che dal palleggio penetrano prima in area e poi negli incubi dei malcapitati impegnati a contenerli.

Quello sarebbe Kyrie Irving.

A febbraio il mercato offre la possibilità di aggiungere un pezzo da novanta via trade (George o Butler) ma il board dei Celtics è fiducioso nel gruppo assemblato e la fiducia viene ripagata dal primo posto nella Eastern Conference e l’etichetta di anti-Cavs. Il problema è che va sempre a finire così.

I playoffs

Se Rondo non si fosse fatto male in Gara 2 c’è la concreta possibilità che staremmo parlando di altro e non di un semplice incidente di percorso. Le prime due partite perse contro i Bulls sono servite al giovane gruppo in verde per capire quanto margine c’è tra la regular season e i playoff e quanto gli esseri umani logorati dal tempo tornino semidei per una notte appena sentono di essere in the zone.

Per ulteriori informazioni citofonare D-Wade.

Quei problemi di tenuta difensiva appena accennati fino ad aprile si sono abbattuti sui Celtics nella personificazione della nemesi col 9 aka Rajon Rondo. Le letture offensive e difensive del prodotto di Kentucky sparigliano i valori in campo esaltando una superiorità a rimbalzo della franchigia dell’Illinois alla quale Stevens non sembra in grado di opporre resistenza. Ad aggravare le cose poi c’è ovviamente il lutto che sconvolge Thomas e indirettamente tutta la squadra. Quel numero #4 abituato a dominare emotivamente le partite fa una fatica tremenda a trascinare il suo esile corpo per il campo.

Come detto poi Rondo si frattura il pollice, Stevens lavora sull’efficacia della sua squadra arrivando addirittura a schierare Gerald Green come stretch four, e le cose tornano al loro posto. In semifinale c’è la squadra rivelazione dell’anno quei Washington Wizards guidati da un John Wall in versione MVP se questa fosse stata una stagione normale. L’anormalità deriva anche dalle performance di Isaiah Thomas che torna a deliziare i tifosi del Garden chiudendo la serie con 27,4 punti di media toccando quota 53 in gara 2. Vengono fuori sette partite bellissime per intensità che deragliano in qualche momento di non tanto lucida follia a testimonianza di quanto sia alta la posta in palio e di quanto le due franchigie non si amino.

Alla fine la spuntano i Celtics fondamentalmente perché Wall stecca gara 7 (merito anche della difesa organizzata da coach Stevens) regalando a Boston un viaggio in finale di Conference che mancava da cinque anni. Ad aspettarli però c’è una squadra che oltre ad essere obiettivamente più forte e avere il miglior giocatore della lega è anche molto più riposata. Il canestro di Bradley in gara 3 è solo un dolce interludio che non scalfisce in nessun modo le certezze dei Cavs. Lebron domina la contesa e i suoi araldi perfezionano il lavoro. Bastano cinque partite per sedare i coraggiosi Celtics e prenotare un posto alle Finals. Alla fine della giostra resta un po’ di amaro in bocca per non aver osato di più nel momento decisivo, ma allo stesso tempo c’è la consapevolezza di una crescita costante di questo gruppo che il prossimo anno ripartirà con l’obiettivo di spodestare un padrone che non accenna ad abdicare.

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sportsreplay.club

Il futuro

In questo momento il lavoro di Danny Ainge non dovrebbe essere il più invidiato sul pianeta. Nelle prossime due offseason le valutazioni e le conseguenti decisioni del GM dei Celtics predisporranno il successo o il fallimento della franchigia nel medio-lungo periodo. Gli effetti della malsana trade che ha portato Pierce e Garnett a Brooklyn sono ancora spendibili dai Celtics e le palline quando vogliono ci vedono benissimo: la lottery ha consegnato a Boston la prima scelta assoluta che ancora oggi non è sicuro se si trasformerà in Markelle Fultz o in un asset da scambiare.

Il prodotto di Washington è destinato ad essere il primo nome chiamato da Adam Silver la notte del 22 giugno e tale sicurezza lo ha portato a svolgere workout esclusivamente con i Celtics. Tuttavia le parole pronunciate lo scorso febbraio del proprietario Wyc Grousbeck sembrano suonare come un campanello d’allarme: “servono almeno altri due giocatori”. In effetti la post-season dei verdi ha detto più o meno questo: con Thomas seduto l’attacco ristagna ma se il #4 è in campo è troppo difficile proteggerlo in difesa, e per quanto si impegni resterà comunque un handicap. D’altro canto la squadra di Stevens è sembrata mancare di giocatori in grado di punire costantemente le rotazioni avversarie e non dimentichiamoci il problema dei rimbalzi, vero tallone d’Achille nell’organico a disposizione del nativo di Zionsville, Indiana.

Se Robin Lopez spadroneggia nel pitturato c’è qualcosa che non va.

Tutto ciò per dire che rinunciare a un prospetto dal (quasi) sicuro avvenire non è facile ma quantomeno richiede la ponderazione di tutti i fattori in gioco. Dalla free-agency ci sono segnali positivi per quanto riguarda Gordon Hayward: la possibilità di firmare un max-contract da 220 milioni in cinque anni con i Jazz è svanita nel momento in cui non è stato inserito in quintetto All-NBA. Tra la potenziale offerta dei Celtics (che possono giocare anche la carta Brad Stevens, coach del ragazzo ai tempi di Butler) e quella dei Jazz ballano una cinquantina di milioni. Tanti per noi esseri umani, pochi per chi capisce che questo è il momento per prendere la giusta direzioni in termini sportivi. In Utah il futuro sembra sorridente ma la concorrenza ad Ovest è troppo serrata per pensare di andare tanto avanti ai playoff e lo stesso coach Snyder non sembra così certo della sua permanenza nella terra dei mormoni. Al contrario inserirsi nel roster dei Celtics vorrebbe dire migliorare una squadra già arrivata in finale di Conference e con la quale costruire nel breve periodo. O almeno questo si aspetterebbe Hayward. Già perché il vero nodo gordiano che avvolge i pensieri di Ainge non riguarda tanto questa offseason, quanto la prossima.

Nel 2018 Thomas e Bradley andranno in scadenza e se ripeteranno le performance di questa stagione sarà praticamente impossibile tenerli entrambi senza sforare la luxury tax (al netto di quello che dice IT4). Vale davvero la pena giocarsi tutte le carte in un momento storico dominato da un Lebron James che non accenna minimamente un fisiologico calo di prestazioni? Si tenga presente che anche nel 2018 i Celtics avranno la prima scelta dei Nets con buone probabilità che sia una top 3, oltre ad avere già in casa il lungo in grado di risolvere, almeno in parte, i problemi di verticalità che risponde al nome di Ante Zizic ma che ovviamente necessiterà di tempo per diventare un fattore in NBA.

Arrivare in finale di conference e ritrovarsi con un gruppo totalmente da riformare due anni dopo non deve essere il massimo della vita per i tifosi di Boston ma il compito primario di un GM è innanzitutto quello di pensare come portare la squadra al titolo. Contro questo Lebron James sembra impossibile competere in una serie al meglio delle 7 senza avere altri due pesi massimi da opporgli, e i nomi che circolano (Hayward, George, Butler) non sembrano in grado di colmare il gap con i Cavs. Sicuramente Ainge deve muoversi per mantenere competitiva la squadra ma allo stesso tempo la via migliore potrebbe essere quella di non ingolfare il payroll, aspettare la maturazione delle scelte al draft e tentare l’assalto al titolo tra quattro, cinque anni.

È un discorso sicuramente più complicato di così ma è una semplificazione per evidenziare quanto sarà difficile preparare il terreno quest’estate e quanto sarà importante operare le scelte migliori nella prossima offseason. In mezzo c’è comunque un’altra stagione da giocare con una squadra che potrà essere solo migliore e un Garden stracolmo ad ogni palla a due. A Boston le cose vanno bene e andranno bene nell’immediato futuro. Ci sarà tempo per preoccuparsi del domani.

credits to nba.com

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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