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Road to Draft 2017: Josh Jackson

Josh Jackson (2.03 m. x 94 kg) nasce il 10 febbraio 1997 a San Diego (California).

La sua carriera sportiva ebbe inizio presso la Consortium College Prep School, un liceo di Detroit, dove cominciò a mettersi in mostra, attirando l’attenzione dei primi scout NCAA.
Da freshman mise assieme delle ottime cifre, ma fu il suo anno da sophomore quello di svolta: chiuse, infatti, la stagione a 28 punti, 15 rimbalzi e 6 assist di media, trascinando il suo liceo verso il primo titolo nazionale della sua storia.
Dopo questa esperienza biennale in Michigan, Josh dovette trasferirsi a Napa (California) assieme alla sua famiglia; la sua nuova dimora sportiva divenne la Justin-Siena High School, dove continuò ad impressionare gli scout con prestazioni totali, fatte di possessi offensivi di qualità e di difese arcigne.
Il mondo del College Basket non vedeva l’ora di abbracciare un simile prospetto.
Esclusa ESPN (secondo cui Harry Giles era dotato di un talento superiore a quello di Jackson), tutti gli altri siti specializzati nel reclutamento dei ragazzi dell’High-School lo classificavano come prospetto numero uno della sua classe.

Credits to: www.usatoday.com

Nonostante la corte serrata di coach Tom Izzo (che voleva riportare in Michigan il suo talento cristallino), la sua scelta universitaria ricadde sulla University of Kansas di coach Bill Self.
In quel di Lawrence (sede dell’Università di Kansas), Jackson ha continuato il suo processo di crescita, disputando una fenomenale stagione da freshman. Le sue cifre parlano chiaro: 16.3 punti, 7.4 rimbalzi, 3.0 assist e 1.7 palle rubate e 1.1 stoppate a partita. Dinanzi ad una meteora di tali proporzioni, poco hanno potuto i suoi colleghi.
A livello di conference, Jackson ha sbaragliato la concorrenza degli altri giocatori al primo anno, portandosi a casa il premio di Big 12 Freshman of the Year ed entrando addirittura a far parte dell’All-Big 12 First Team. Un’impresa non da poco.

I punti di forza di Jackson sono variegati, e comprendono entrambe le metà campo di gioco. Ad emergere nel corso della sua prima ed unica stagione collegiale è stata in primis la capacità di questo ragazzo di disciplinare la sua fisicità debordante. Di rado si è visto qualcuno con quei mezzi atletici e quel controllo degli stessi a quell’età (citofonare Andrew Wiggins, altro giocatore uscito da Kansas, se si cerca uno dei sui più nobili predecessori).
Ad aver sollecitato maggiormente le fantasie di tifosi e addetti ai lavori è stata, tuttavia, la sua capacità di arrivare al ferro con facilità, sia per un comodo layup destro o mancino, sia con una poderosa schiacciata.
La sua altezza (2.03 m.) e la sua apertura alare (2.08 m.) hanno permesso a coach Self di impiegare Jackson sia da ala piccola che da ala grande nel corso della stagione: si tratta di un vantaggio non da poco, in virtù del diffondersi della “moda” della small ball nell’NBA attuale.
Offensivamente, Jackson ha dimostrato di poter mantenere delle percentuali di tutto rispetto durante la stagione collegiale (55% da due e 38% da tre). In quest’ottica, la sua abilità di giocare lontano dalla palla e di creare linee di passaggio efficaci per i suoi compagni con i suoi tagli, lo ha facilitato non poco.
Quando si pensa al Jackson “attaccante” non si deve pensare ad un ball hog (una prima punta offensiva e/o un giocatore egoista), ma ad un giocatore altruista, capace di fare tante piccole cose utili per il successo della sua squadra. La sua efficacia nei tiri in spot-up, la sua fame a rimbalzo offensivo e la sua abilità nello sfruttare i mismatch sono, a mio modo di vedere, le tre caratteristiche fondamentali che lo rendono un perfetto giocatore di complemento in qualsiasi sistema offensivo nell’NBA attuale.
Difensivamente, il suo vantaggio è quello di poter essere un giocatore versatile, in grado di marcare dall’1 al 4 avversario. Madre Natura è stata generosa nel dotarlo non solo di una struttura fisica impressionante, ma anche di istinti difensivi di primo livello. Lo dimostrano le sue quasi 2 palle rubate a partita, figlie di una comprensione precoce degli sviluppi offensivi degli avversari, che lo ha aiutato nell’anticipare una valanga di palloni e nello stoppare giocatori anche più alti di lui.
Al contributo di Madre Natura ha saputo abbinare anche applicazione e concentrazione. Lontano dalla palla non è stato colto quasi mai impreparato, così come sulla palla, dimostrando una capacità di scivolamento difensivo da top assoluto nel mondo del College Basket.

A questi enormi pregi, si affiancano però dei punti deboli su cui il ragazzo di San Diego dovrà necessariamente lavorare in ottica NBA.

A causa di difetti strutturali nel movimento di tiro, Jackson non si è dimostrato un giocatore di primissimo livello nel mettersi in proprio e nel crearsi dei tiri. Il suo rilascio di palla lento e macchinoso lo ha sempre messo in notevole difficoltà quando ha dovuto tirare dal palleggio o tirare dalla media distanza. Secondo Synergy Sports, Jackson ha avuto un’efficacia del 20% nei tiri dal mid-range.
La sua sensibilità non straordinaria nel rilasciare il pallone è stata più volte dimostrata anche nei tiri liberi. La percentuale del 57% dalla lunetta non è sicuramente un bel biglietto da visita per le franchigie NBA impegnate a scoutizzarlo.
Altra situazione in cui non è dimostrato granché efficace sono stati gli isolamenti o le situazioni di pick and roll, raccogliendo un misero 28% dal campo.
Ho motivo di credere, tuttavia, che in questo specifico caso ci siano grossi margini di miglioramento. Durante la stagione, Jackson ha dimostrato di possedere un notevole IQ cestistico, impiegandolo nel prendere vantaggio sui difensori e nel cercare i suoi compagni con passaggi semplici ed efficaci.
Anche a livello emotivo e mentale, Jackson dovrà lavorare duramente. Si è troppo spesso messo in mostra per le sue manifestazioni di insofferenza nei confronti della terna arbitrale, perdendo concentrazione ed affinità con la partita.
Molto probabilmente questo difetto è figlio della giovane età e verrà limato con il tempo.

L’ipotesi più accreditata è quella che vede proiettato Josh Jackson alla terza chiamata del prossimo Draft. Entrerebbe, così, a far parte della famiglia dei Boston Celtics, che possono contare su un collettivo già affiatato e con mentalità vincente, soprattutto grazie a quel genio di coach Brad Stevens.
Le sue doti di all-around in attacco e la sua versatilità difensiva farebbero di sicuro comodo ad una squadra che vuole acquisire quanto prima dei fenomeni in free agency o attraverso una qualche trade e costruirgli attorno un esercito di soldati fedeli.

Le strade dei Celtics e di Jackson potrebbero non incrociarsi solo se, come qualcuno ritiene, la franchigia del Massachusetts decidesse di virare su Jayson Tatum, talentuosissima ala da Duke (che potrebbe portare in dote una massiccia quantità di soluzioni offensive e darebbe maggiore respiro ad Isaiah Thomas).
Non ci resta che metterci comodi ed aspettare, perché Danny Ainge avrà di sicuro in serbo qualche sorpresa per noi.

 

 

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Pubblicato da
Cataldo Martinelli

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