Primo Piano

Kawhi Leonard, on fire

A chi è piaciuta la stagione 2016-2017?

Ok, non ai fan dei Bulls.

Lui forse ha goduto un po’.

E sono sicuro sia piaciuta molto anche a questo scricciolo. Pure a lei, che ormai non fa più testo. Ed è piaciuta, tutto sommato, anche a noi. Ci ha fatto discutere, ci ha fatto piangere, ci ha emozionato, ci ha divertito. Ha ovviamente fatto parlare di sé, ha fatto nascere campioni e ne ha salutati altri. Come succede col Natale, anche a ‘sto giro ci siamo divertiti.

Eppure siamo qui riuniti per parlare del premio di miglior giocatore della suddetta stagione. Che barba che noia, vero? Perlomeno farlo nei soliti termini, analizzando le solite trite statistiche, narrando i mitici prodigi di queste stelle mai viste prima. Grazie, basta. La retorica di cui si è gonfiato il premio di MVP, che già di per sé è pompato a sufficienza, ha sfinito tutti, tanto che l’argomento torna ciclicamente in auge, per la gioia della fan-zone più giovane e per martellare i coglioni ai sedicenti esperti. Con una premessa, dunque, si chiude l’introduzione: chiunque vinca, pietra sopra, pace nel cuore e palla a due la prossima stagione. Kawhi, il Barba e RW0 sono stati protagonisti di tre stagione for the ages. Potrebbe risultare ridondante – e un po’ stoico – anche questo, ma vi prego: sit back, niente discussioni, Peroni ghiacciata e godetevi la stagione di questi tre. Su NbaReligion, infatti, usciranno tre pezzi (questo è il primo) sulla migliore performance stagionale dei tre finalisti al premio individuale più ambito. Perché? Per ricordarci di quanto lo meritino tutti e tre. [In realtà Adam Silver ha chiamato in redazione ieri comunicando in anteprima il nome del vincitore, ma ha chiesto di non dire nulla. Ha anche parlato del post-Gara 5 di Javalone, ovviamente ponendo il divieto di divulgazione]

In un sogno di una notte di mezza estate, fu coronato MVP Kawhi Leonard. Il prodotto di San Diego State si è affermato come trascinatore degli Spurs. A causa di un invecchiamento precoce di LaMarcus Aldridge e di un imminente ricambio generazionale, i texani vanno dove li porta Kawhi. I nero-argento sono ufficialmente diventati la franchigia più longeva nella storia NBA: quella appena finita è stata la stagione numero venti (!) con almeno 42 vittorie. Tim Duncan, la cui fiaccola è passata nelle manone del #2, non ha mai vinto meno di due terzi delle partite giocate in regular season: nella prima stagione senza il lungo da Wake Forest, Kawhi ha tenuto il record sopra le sessanta vittorie. Eppure si dice non sia valuable enough. Il coming out party, quello che ha ricacciato tante parole nella gola di tanti, è avvenuto il 6 Marzo 2017.

Alcuni fan dello show.

Di scena a San Antonio arrivano i Rockets di James Harden, allora il candidato #1 al premio di MVP, fulcro dell’attacco spara-tutto implementato da D’Antoni. Tanti critici hanno il ditino puntato verso Kawhi prima della partita: se sei davvero il miglior giocatore della Lega, faccelo vedere. Il nativo di Los Angeles ha palesato, per tutta risposta, un dominio entusiasmante, con 17 punti nel quarto periodo per 39 totali, con 12 su 18 dal campo e 4 su 5 da tre. Nel mentre, il Difensore dell’Anno in carica è stato il principale marcatore di James Harden. Nel primo periodo, quando marcato da Leonard, The Beard ha tirato col 20%.

E’ la quarta partita di fila che Kawhi vince praticamente da solo (prima di questa: 31 e 11 rimbalzi in una vittoria 100-99 sui Pacers; altri 31 per resistere in OT sul campo dei Pelicans; 34 per battere Minnie in OT) e la sua candidatura al premio di MVP è ora serissima. La tripla in faccia a Nené seguita dalla stoppata su Harden diventa subito un classico: “E’ nei momenti importanti che alza il livello del suo gioco. Gioca con grande intensità e ad un livello altissimo per tutta la partita, ma è tra quei pochissimi giocatori che dà il meglio di sé quando c’è tutto in gioco. Sotto di tre punti con il cronometro agli sgoccioli, ad esempio, completa una grande giocata dopo l’altra” conferma Pau Gasol. “Kawhi wanted it badly, and he went and took it,” dice Coach Gregg Popovich a fine partita. Il coro di “MVP! MVP!” rende magica l’atmosfera dell’AT&T Center a fine gara.

Not valuable enough.

The Kawhi Game

Punti 1 e 2. Una tripla di Harden finisce cortissima. Il rimbalzo è tranquillamente controllato da Dedmon che la cede subito a Kawhi. Il #2 gestisce con criterio la semi-transizione: non accelera in modo sconsiderato perdendo il controllo, ma prende il lato destro del campo. Il suo marcatore è Trevor Ariza. Un blocco granitico di Dedmon (e la posizione fin troppo contenitiva di Capela) gli lasciano un’ottima visuale al canestro. Ha un metro buono di spazio per elevarsi in un palleggio-arresto-tiro di rara bellezza e pulizia tecnica.

Cosa che non devi fare se sei gli Houston Rockets: lasciare che Kawhi si metta in ritmo con tiri wide open.

Punti 3, 4 e 5. Attacco piuttosto stagnante degli Spurs. Palla in mano a Kawhi. Da fermo, accoppiato con Capela. Jab-step, nulla da fare. Si ritorna di Green, il cui marcatore (James “No D” Haren) gli lascia una linea di penetrazione che avrebbe preso anche il lettore medio di NbaReligion. La difesa dei Rockets si chiude per negare il ferro a Green, che è bravo a riaprire coi tempi giusti verso Kawhi. Splash.

Punti 6,7 e 8. Altri problemi in transizione negativa per i Rockets. Capela sbaglia al ferro, rimbalzo Dedmon e apertura istantanea verso Green, che spinge il contropiede. Accoppiato con lui c’è Harden, che essendo Harden si fa saltare come un paletto. Beverly (Second Team All-Defense) sapeva già tutto in anticipo e si frappone preventivamente tra Green e canestro, come le diagonali di un grande terzino. L’uomo che dovrebbe essere di Beverly è però solo sul perimetro: è Mills, e Green lo serve col contagiri. Ora ok, Ryan Anderson sembra un pesce fuor d’acqua, ma l’errore è a monte.

Extra-pass di Mills nell’angolo, dove Kawhi segna la più facile delle triple. Avviso: dall’angolo sinistro è particolarmente letale.

Punti 9 e 10. Indovinate un po’? Houston è lenta ad accoppiarsi dopo un errore al tiro e Kawhi punisce. Una tripla con spazio di Beverly finisce nelle mani di Green, che non perde tempo e serve Leonard, che si invola sulla fascia destra. Sam Dekker è in posizione sbagliata e nessuno aiuta, ma andare dietro la schiena con quella facilità non dovrebbe essere consentito. E nemmeno tirare ad una mano in salto in equilibrio precario. Kawhi è un androide.

Punti 11 e 12. E’ un possesso rotto, nel senso che ciò che Popovich ha disegnato sulla lavagna diventa tutt’altro (un isolamento per Leonard) per cause esterne (Beverly che per poco non la ruba a Kawhi dopo una virata sconsiderata di quest’ultimo). Solo sull’isola con la mano di Dekker in faccia da sei metri? E che problema c’è.

Punti 13 e 14. Scucchiaiata staccando col piede destro, in corsa e fuori equilibrio? E CHE PROBLEMA C’E’.

Punti 15 e 16. Nota bene: appena entrati nel terzo quarto Kawhi deve ancora sbagliare due tiri in fila. A fine partita avrà perso un solo pallone e il suo Offensive Rating sarà il più alto di tutti i diciannove giocatori scesi in campo: +168, irreale. Quando gli Spurs non sanno più che pesci pigliare, basta un isolamento al centro del campo per il nostro mostro preferito. In campo ci sono anche Aldridge e Dedmon: l’area è intasata. Sapendo di non poter arrivare al ferro, Kawhi cuoce Anderson con uno step-back verso sinistra.

Qualche minuto prima: Eric Gordon raddoppia, Kawhi regala un cioccolatino a LMA.

Punti 17 e 18. A metà terzo quarto, Popovich chiama il time-out sul -13. C’è da rimontare, e in fretta. Kawhi recepisce il messaggio e trasforma le (poche) parole in (tanti) fatti: deviazione + assist al bacio, per cominciare. Ma sapete cosa? Ci siamo stancati di parlare della perfezione con cui Leonard caccia in fondo alla retina dei jumper dalla media. Andiamo oltre.

Punti 19 e 20. Tre minuti dopo quel time-out siamo 71 pari. Due liberi di Leonard stabiliscono nuovamente la parità a quota 77.

Punti 21 e 22. Di nuovo dalla lunetta, di nuovo due su due. Chiuderà con 11 su 11 (88% stagionale, 84,7% in carriera). Gli Spurs iniziano il quarto periodo sotto di una lunghezza.

Punti 23 e 24. Kawhi entra a otto minuti dalla fine (ne gioca 39 precisi, ma il riposo offertogli da Popovich è essenziale. 33,4 minuti di media sono un minutaggio inferiore a praticamente tutte le altre stelle della Lega). Poco meno di sette minuti al termine, Spurs a -7. Kawhi va al lavoro: si prende sulle spalle Eric Gordon in post medio e con grande uso del perno crea spazio per un tiro cadendo-indietro a (per lui) ottima percentuale. E’ su questo tipo di conclusione che ha lavorato con Kobe Bryant la scorsa estate. E’ per questo tipo di conclusione che circolano paragoni strani.

Punti 25, 26 e 27. Trecento secondi al termine, -5. Palla in mano e Harden decide semplicemente di andarsene via. Potrebbe essere il momento giusto per una bomba.

Sì, potrebbe.

Punti 28, 29 e 30. Su quella tripla di capitale importanza ha provato a mettere una mano Trevor Ariza. Niente da fare. Pochi secondi dopo, lo stesso ex Wizards spinge il braccio troppo in là su un altro tentativo dalla distanza di Kawhi. Ariza, ottimo difensore, regala tre liberi a Leonard: questo ti fa Kawhi, ti entra silenziosamente nella cute.

Punti 31 e 32. La partita comincia ad essere più isterica di un big match di Premier League. Palla persa sanguinosa dei Rockets, Kawhi sbaglia da tre metri, David Lee piglia l’ennesimo rimbalzo offensivo, Ariza manda di nuovo in lunetta Kawhi per due liberi.

Punti 33 e 34. Il canestro del vantaggio con gli altri umani c’entra poco. C’è un po’ di tutto: slalom gigante, assorbimento di contatti da pugilato, parabola alta del tiro appoggiato al vetro come un’alzata a pallavolo. Il dettaglio migliore: dopo la riapertura per Parker, il francese sembra che abbia una patata bollente in mano. “Tieni tu che sai sicuramente cosa farci” sembra dire.

MVP! MVP!

Punti 35, 36 e 37. Resa dei conti. Dopo due liberi di Aldridge e una bomba di Gordon regna la parità a quota 107. Harden fa 1 su 2 dalla lunetta. Tocca a Kawhi. La palla è nelle sue mani, mancano trenta secondi e il pubblico è tutto in piedi. In campo Parker, Lee e Danny Green aprono un minimo il campo. LMA esce altissimo per un blocco sul marcatore di Leonard, Ariza. I Rockets decidono (con ragione) di cambiare. Sulle tracce di Kawhi finisce Nené, che recupera bene e riesce a contestare il tiro. Solo che il #2 è troppo bravo: splash! La reazione di tutti è quella che avete visto sopra con Manu e Mills increduli. E il meglio deve ancora venire. Tocca a James Harden sull’altro lato del campo. Il Barba è preso da Kawhi stesso, che non si accorge di un blocco cieco di Nené all’altezza del logo di metà campo e perde l’attimo per inseguire il #13 rosso. La protezione del ferro di David Lee è sufficiente per permettere al granchio col #2 di recuperare, allungare le prolunghe e inchiodare contro il tabellone il layup di Harden. Game-saving block. La palla rimane lì, ma Nené non riesce a capitalizzare: a metterci una mano un po’ LMA un po’ Kawhi. A fine partita, Kawhi si congratula con Lee per aver fatto perdere l’attimo fatale a Harden. Harden? Dice di aver subito fallo.

Questa è f-o-l-l-i-a.

Punti 38 e 39. Dalla lunetta Leonard chiude la partita, non prima di gestire perfettamente il pallone negli ultimi delicatissimi secondi. Dal thriller esce vincitore Kawhi, avanzando così una seria candidatura al premio di MVP.

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Pubblicato da
Michele Pelacci

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