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Il Draft NBA 2017, spiegato

La vittoria del titolo da parte degli Warriors, il secondo in tre anni, ha confermato chi comandi nella NBA. Nonostante il miglior giocatore della lega giochi in Ohio, nonostante ci siano altre squadre attrezzate con stelle e giocatori fantastici, sono loro la squadra migliore; lo sono da tre anni e lo saranno ancora per molti anni visto che Kevin Durant, Steph Curry, Klay Thompson e Draymond Green sono ancora nel prime delle proprie carriere.

Raggiungere il livello degli Warriors sembra un compito praticamente impossibile per quasi tutte le altre 29 squadre della lega, e come potrebbe essere altrimenti. Il miglior attacco della storia del gioco (no questions on that), una delle prime (5-6?) difese di sempre, due dei migliori giocatori della loro generazione, e della storia, e una filosofia di pallacanestro contagiosa, affascinante e inarrestabile. Si prospettano tempi bui al di fuori della Bay Area, ma non per questo le altre squadre devono farsi prendere dal panico. Come detto dal GM degli Houston Rockets Morey (riportato in questo articolo di Zach Lowe) questa situazione ― unica, e pressoché irripetibile ― deve stimolare gli altri a prendersi dei rischi, a puntare ancora più in alto, a voler competere. E quindi quale occasione migliore per farlo, per ripartire, attraverso il metodo più americo-cratico della storia dello sport: il Draft.

Il Draft NBA è un momento cruciale della stagione in situazioni normali, figuriamoci in un anno come questo dove il talento sembra molto di più rispetto ad un anno fa ― e meglio distribuito. Un Draft in cui ci sono squadre ansiose di ripartire, di mettere il primo mattone su cui fondare la loro nuova religione laica; squadre alle quali manca un tassello, quello giusto, per competere; squadre che dovranno caricarsi di giovani talenti da sviluppare e squadre (anzi, questa in realtà vale per una sola) che potranno permettersi di aggiungere ad un blocco già molto forte un ulteriore giocatore di talento. Inoltre è bene ricordare come il Draft sia una “scienza inesatta” per antonomasia e dove può verificarsi tutto al contrario di tutto. Tra giocatori che deludono, a veri e propri bust, a ragazzi che invece sbocciano come un fiore a primavera. (Inoltre non vorrei vi foste già dimenticati che gli Warriors, il Mostro A Quattro Teste che minaccia la NBA dei prossimi cinque anni è stato costruito A) quasi interamente attraverso il Draft e B) con giocatori che non erano ritenuti fenomeni assicurati tipo Green ― scelto al secondo giro, alla 35 ― o Thompson alla 11 dopo il grandissimo Jimmy Fredette ― che oggi vi suonerà come una cazzata, ma al college Jimmy le ha fatte innamorare tutte a suon di canestri ― o Curry alla SETTE con TRE guardie prese prima di lui (Evans, Rubio e Jonny Flynn). Ah, lo stesso Durant, che in queste Finals è stato per Cleveland quello che il terremoto di Lisbona fu per il cristianesimo, venne preso con la seconda scelta. Insomma, non è sempre tutto chiaro sin dall’inizio.)

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Prevedere il futuro non è mai facile (pensa un po’), soprattutto quando si parla di ragazzi così giovani e soggetti a cambiamenti radicali, in positivo e in negativo. Ho chiesto a Joshua Riddell, Draft Scout per DraftExpress.com, quanto difficile sia fare delle previsioni e provare a mettere in fila i giocatori nei vari Mock Draft: “E’ molto difficile fare previsioni certe. Il compito di uno scout è quello di aggiornare costantemente il ranking, aggiungendo ogni dettaglio alla sua scheda, per essere sicuri di arrivare alla notte del draft avendo tutto preso in considerazione.” Joshua, come altri nel suo settore, ogni inizio anno determina una top-100 dei giocatori più interessanti, che aggiorna continuamente via via che la stagione progredisce.

Come detto quella di giovedì 22 sarà una notte molto importante per il futuro della NBA. La prima scelta assoluta l’hanno ottenuta (via Nets) i Boston Celtics, secondi ancora una volta i Lakers e poi scorrendo Phila, Phoenix, Sacramento, Orlando, Minnesota, Knicks, Dallas, Sacramento, Charlotte, Detroit, Denver e Miami per quanto riguarda la lottery (la griglia completa la trovate qui).  La nidiata di talenti che stanno per compiere il grande salto oltre ad essere carica di nomi come Markelle Fultz e Lonzo Ball (le due probabili prime scelte assolute), a Josh Jackson, Jonathan Isaac, Jayson Tatum, De’Aaron Fox, Malick Monk, Lauri Markannen e molti altri, ha fatto dire a molti che questo rischia di essere il draft più importante degli ultimi anni.

“Non sono molto d’accordo.” dice Riddell “Per prima cosa è molto probabile che il prossimo anno (2018) ci sianoo giocatori in uscita ugualmente forti, se non di più. Il gruppo dei vari Michael Porter, Luka Doncic, DeAndre Ayton, Mo Bamba per dirne alcuni. Non penso ci siano così tanti giocatori in grado di cambiare il corso di una franchigia, come nei draft del 2007 (Durant, Horford, Conley, Marc Gasol) e del 2009 (Griffin, Harden, Curry, DeRozan) e soprattutto è difficile dirlo adesso visto che è ancora presto per stabilire che tipo di giocatori diventeranno.” Sulla rivalità Fultz-Lonzo per le prime due piazze invece ha meno dubbi: “Molto probabilmente saranno loro. L’unico che potrebbe inserirsi è Josh Jackson, visto quanto sono considerate le forward con quelle potenzialità atletiche nella NBA contemporanea. Credo che comunque per lo spot di prima scelta assoluta il nome di Fultz sia più probabile, lo ritengo il prospetto migliore”.

Markelle Fultz andrà effettivamente alla numero uno di questo Draft, ma non giocherà per i Boston Celtics. Tanto per cominciare alla grandissima questa off-season NBA, nella notte tra sabato e domenica scorsi Celtics e Sixers si sono accordati per uno scambio di scelte. Boston ha ceduto la prima scelta a Philadelphia ― che ha già decido di chiamare Fultz ― in cambio della scelta 2017 di Philly (quindi la 3) più la Lakers 2018 (che andrà ai Celtics solo in caso dovesse cadere tra la 2 e la 5; in caso contrario Boston acquisirebbe la scelta dei Kings 2019).

Già così rischia di essere una delle mosse più importanti di quest’estate, con ripercussioni che si estenderanno nei prossimi anni. Le scelte di entrambe, audaci, sembrano abbastanza chiare, con Boston intenta ad aumentare l’impero dei suoi asset per arrivare a più All-Star possibili (altro super team in arrivo?) e Philadelphia che vuole aggiungere a Embiid e Simmons un altro talento clamoroso su cui costruire. Delle logiche di mercato ci saranno altri momenti per parlarne, adesso concentriamoci sul Draft, e quindi su Fultz. È davvero il migliore della sua classe?

Nella sua unica stagione a Washington ha collezionato 23.2 punti di media e quasi 6 assist, mostrando cosa è in grado di fare una point-guard di 194 centimetri per 90 chili: ha già dato prova di saper gestire un attacco, di saper costruire un tiro dal palleggio (con anche un 41% abbondante da tre) o per i compagni e di avere skills difensive notevoli, grazie ad una buona mobilità e uno wingspan importante. Fultz quest’anno è stato molto chiacchierato per via della sua scelta di andare a giocare in una squadra senza molte possibilità di competere, ed infatti Washington non ha neanche partecipato al Torneo NCAA (situazione simile a quella di Ben Simmons l’anno scorso).

Fultz in azione con la maglia di Washington (Credits to defpen.com)

Essere un fenomeno in campo e giocare per un ateneo capace di vincere il titolo non sono due cose strettamente collegate, e nonostante i più “europei” possano storcere il naso non comprendendo come un giocatore così forte possa mancare l’evento più atteso della stagione del basket collegiale, questo non deve influenzare la valutazione che si fa del ragazzo. Concorda su questo punto anche Lorenzo Neri, scout freelance che collabora per Ultimo Uomo e Synergy Sports Tech: “Credo che i risultati dei college di appartenenza possano essere uno degli aspetti da tenere in considerazione quando si valuta un prospetto, ma non uno di quelli predominanti che porta alla scelta di un giocatore rispetto a un altro. Sarebbe un preconcetto stupido, considerando le differenze tecniche, tattiche, ambientali tra le due leghe.” Neri aggiunge che “Nel momento in cui la NBA ha vietato gli ingressi ai giocatori provenienti dalle High School era prevedibile aspettarsi una situazione del genere, con alcuni ragazzi che usano il College Basketball come passerella per non urtare il loro valore permettendo loro comunque una buon vetrina, scegliendo l’università per fattori che in certi casi esulano dal campo. E’ successo con Ben Simmons, andato a LSU perché nel coaching staff era presente il padrino, ed è successo con Fultz, grato a Lorenzo Romar di averlo seguito fin dai tempi in cui non era nessuno nelle varsity team di DeMatha. Scelte di stampo professionale di ragazzi consci del loro valore e del loro futuro, a mio modo di vedere niente di cui rimanere scandalizzati.”. Il discorso relativo agli one-and-done, ovvero sia quei giocatori che giocano un solo anno al college prima di rendersi eleggibili per il Draft NBA sta molto a cuore alla lega, con Silver che pare intenzionato a rivedere qualcosa in merito, ed è soprattutto una situazione molto particolare per il mondo del basket universitario. (Se vi interessa l’argomento c’è questo ottimo articolo di Michele Pettene uscito su Ultimo Uomo da dove potete partire).

Pochi dubbi per quanto riguarda Fultz, così come per Lonzo Ball. Il più grande dei tre figli del vulcanico LaVar sta per entrare nella NBA al ritmo infuocato dei continui cannoneggiamenti mediatici del padre. Sul talento non si discute, dice Riddell: “Nonostante avessi qualche dubbio in fase di off-season (nella sua top-100 pre-stagionale Ball era alla posizione numero 20) la sua stagione ad UCLA mi ha fatto ricredere. Ha migliorato esponenzialmente l’attacco dei Bruins. Magari non sarà mai un franchise player ― deve migliorare nella meccanica di tiro, cosa che lo rende un punto interrogativo al momento quando si parla di crearsi un tiro in qualsiasi momento ― ma migliorerà la produzione offensiva della squadra da cui verrà scelto, migliorando sensibilmente la loro efficienza negli anni avvenire.

Lonzo Ball con la maglia di UCLA (Credits to Yahoo Sports)

Lonzo ha dimostrato di avere un feeling per il gioco pazzesco quest’anno, di essere un eccellente passatore e di saper prendere una squadra e farla giocare al ritmo che decide lui. Una sorta di Jason Kidd per capirsi. Recentemente sono venute fuori voci che vorrebbero i Lakers (proprietari della seconda scelta assoluta) dubbiosi sul portarlo o meno ad El Segundo. Resta una cosa davvero improbabile, quello tra il più grande dei Ball e i giallo-viola sembra un matrimonio perfetto se ne esiste uno ― tanto che LaVar è andato in giro per uno anno sbraitando che suo figlio avrebbe giocato solo per la parte nobile di Los Angeles ―, ma certi atteggiamenti potrebbero compromettergli il secondo gradino.

Appare comunque molto improbabile, anche perché l’unico che ― ad eccezione di sorpresissime dell’ultima ora, che nel Draft possono sempre succedere non dimenticatelo ― potrebbe essere in grado di scavalcarlo è Josh Jackson, ma considerando già la presenza di Brandon Ingram nel roster difficilmente i Lakers lo preferirebbero a Lonzo. Riddell però fa notare come “i Lakers potrebbero pensarci, essendo una squadra ancora ben lontana dal dover scegliere per bisogno. Sono una squadra giovane che ha bisogno di crescere e potrebbe optare sul talento puro e grezzo di qualcun altro, qualora non piacessero gli atteggiamenti dei Ball. Nomi come De’Aaron Fox o Dennis Smith potrebbero essere ugualmente interessanti, qualora volessero impiegare DeAngelo Russell lontano dalla palla, oppure Jayson Tatum, combo-forward in grado di prendere fuoco offensivamente con dei mezzi atletici impressionanti.”

Gli storici rivali dei Celtics invece godono di ben altra situazione. Come detto hanno fatto quello che in gergo si chiama trade down per aggiungere ulteriori scelte. È difficile stabilire ad oggi chi potrebbero scegliere alla tre. Molto probabilmente Jackson, ma è ancora più probabile che quella scelta diventi di qualcun altro (ai Bulls staranno fischiando le orecchie). Il lavoro fatto da Danny Ainge, GM dei Celtics, è comunque davvero ottimo. Boston ha nel suo arsenale due ottime scelte anche per il prossimo Draft NBA, visto che alla Lakers appena presa c’è da aggiungerci quella dei Nets. Ad oggi il nome più altisonante è quello di Luka Doncic, diamante finissimo del Real Madrid con un futuro da predestinato. Può ambire ad essere the next big thing del basket europeo negli States? “Doncic sta elevando da solo il livello di un Draft, e questo dovrebbe già dire molto del tipo di talento con cui abbiamo a che fare” spiega Neri “Non c’è molto da aggiungere rispetto a quanto già dimostrato con la camiseta blanca del Real. Il ragazzo è un talento di una purezza cristallina a cui aggiunge un’innata cattiveria agonistica ― basta vedere come riesce a scherzare con semplicità e naturalezza le migliori difese senior d’Europa ― e un grado di esperienza incredibile per l’età. Non credo che in lui ci sia il rischio di un effetto-Rubio (schiacciato dalle attese e con un gioco troppo particolare per l’élite NBA), la sua capacità di infettare il gioco su molti aspetti dovrebbe aiutarlo in ogni tipo di traslazione, anche alle prese con un gioco molto più esplosivo e veloce come quello NBA.”

Il nuovo fenomeno del basket europeo (Credits to Derbi MK)

Ci saranno anche altri giocatori europei molto interessanti in questo Draft. Frank Ntilikina per esempio, che dopo aver dominato l’europeo Under 18 dello scorso anno è pronto a lasciare Strasburgo per approdare nella NBA. Le sue doti fisiche sono impressionanti, e difensivamente rischia di diventare terrificante, soprattutto considerando il fatto che gioca point-guard e che ha appena diciannovenne anni. Sicuramente un prospetto da lotteria. Così come lo sarà Lauri Markkanen, lungo finlandese di Arizona, che dopo un anno alla corte di Sean Miller è pronto per una sfida più importante. L’ho visto giocare dal vivo a Dicembre, ha una fluidità di tiro davvero notevole, con un range pressoché illimitato. Considerando le dimensioni (2 metri e 11 aka sette-piedi) sono già iniziati i paragoni con Nowitzki. Di weakness ce ne sono ancora tante, dalla poca struttura fisica che lo penalizza in area con lunghi più grandi di lui ai limiti a rimbalzo, sotto entrambi i tabelloni, ma la materia prima è di primissima qualità. “È sicuramente una top-10 pick” dice Riddell “anche se dovrà lavorare molto per non finire col diventare un one-way player la sua capacità di saper tirare da tre, con quel fisico, apre troppe possibilità per una squadra, specialmente nel basket di oggi”.

Un prospetto che mi intriga molto, sempre europeo, è quello di Rodion Kurucks, gioiellino del Barcellona che però a causa di un infortunio ha giocato gran parte della stagione con la squadra B del Barҫa (che milita in LEB Gold, la A2 spagnola). Nella top-100 pre-stagionale di Riddell era l’europeo più in alto tra i presenti, e anche Neri sembra concordare: “La sua capacità di muoversi sul campo per un esterno di quelle dimensioni e lunghezze (6-8, forse 6-9, con apertura alare considerevole) sono materiale di primo livello per coordinazione ed efficacia, non ha alcun problema a mettere a palla a terra per attaccare ogni tipo di avversario, rendendolo un mismatch nightmare ad ogni possesso. A questo riesce ad aggiungere buona visione di gioco per leggere difesa e posizione dei compagni, mentre in difesa le lunghe leve e la rapidità di piedi lo rendono avversario ostico, con potenziale per potere essere più che valido contro i 3 anche a livello NBA”. Insomma, sarà sicuramente una mina vagante.

Il gioiellino Lauri Markkanen, con la maglia di Arizona (Credits to Yardbarker)

La quantità di talento non mancherà davvero. Vi consiglio di farvi un giro sulla Bibbia scritta da Kevin O’Connor su The Ringer per avere una visuale completa su tutti i giocatori. (Un lavoro colossale al quale hanno collaborato anche i ragazzi italiani di Chartside)  Una delle cose più intriganti del Draft però, soprattutto quando si prospetta un anno carico come questo, è quella di cercare di capire chi potrebbe arrivare dal nulla, sconvolgere le previsioni iniziali; quei giocatori insomma che magari non godono dei favori del pronostico iniziale, ma che rischiano di diventare i futuri Kawhi Leonard della lega. (Anche se l’allineamento planetario venutosi a creare per la stella degli Spurs potrebbe benissimo ripresentarsi in coincidenza con l’avvenimento delle profezie Maia. Però almeno ci siamo capiti).

Ho chiesto a Joshua Riddell chi potrebbe rivelarsi il vero steal di questa nidiata: “Penso che OG Anunoby e Harry Giles siano i due prospetti più difficili da prevedere di questo Draft. Da una parte quasi tutti gli scout hanno informazioni validissime su di loro, ma i loro infortuni al ginocchio potrebbero spaventare molti e di conseguenza farli scendere molto. È un rischio che qualcuno vorrà prendersi, e se la salute li assisterà potranno essere i principali upset in termini di incidenza. Sennò Kurucs o Donovan Mitchell, guarda da Louisville con potenziale atletico importante e grande senso per il gioco.”

Sarebbe bello veder tornare nella notte del Draft NBA anche qualche italiano, ma i tempi sembrano ancora lontani dall’essere maturi. “L’unico che al momento ha un nome nei salotti NBA sembra essere Diego Flaccadori” mi dice Lorenzo Neri “ma rispetto agli altri prospetti nel suo ruolo paga una struttura fisica troppo esile. E’ un ragazzo con grandi mezzi tecnici che sta pian piano imparando ad agire su corpi più possenti del suo, solo che il gap con gli standard fisici NBA sembra veramente troppo ampio.”

Sembra proprio che toccherà aspettare ancora qualche anno, intanto però la NBA non si ferma mai. La caccia ai Golden State Warriors è già ripartita, e una grossa fetta potrebbe già decidersi in questo prossimo Draft.

 

Si ringraziano enormemente Joshua Riddell e Lorenzo Neri per la collaborazione nella realizzazione di questo articolo.

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Pubblicato da
Niccolò Scarpelli

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