Sono giornate bollenti quelle che stanno animando il mercato NBA dell’ultima settimana. Non è bastato che meno di dieci giorni fa Jimmy Butler lasciasse i Chicago Bulls per (ri)approdare alla corte di Tom Thibodeau in quel del Minnesota. Non è bastato nemmeno che un terzo del roster dei Rockets facesse le valigie verso la Città degli Angeli per permettere a Chris Paul di andare a Houston a formare insieme ad Harden uno dei backcourt – almeno in potenza – più forti di sempre.
La nuova bomba è arrivata, per noi europei, la mattina del primo luglio scorso quando, appena svegli, abbiamo scoperto che Paul George quella notte era diventato un nuovo giocatore degli Oklahoma City Thunder, grazie ad una trade che contestualmente aveva portato Victor Oladipo e Domantas Sabonis a vestire la canotta della franchigia di Indiana. Niente Lakers – almeno per ora. E niente Celtics, “battuti” di nuovo dopo l’affaire Butler e rimasti a questo punto con la sola speranza di riuscire a portare nel Massachusetts Gordon Hayward.
Una marea di domande e possibili riflessioni hanno invaso la mia testa nel momento immediatamente successivo alla lettura della notizia. La prima però è sorta spontanea, trascendendo qualsiasi analisi di tipo economico, tecnico o tattico. Suonava più o meno così ecco.
Su una scala di genialità da 1 a 10 dove 1 è Sherlock Holmes e 10 è Leonardo Da Vinci dove si colloca di preciso Sam Presti?
Per garantirmi una risposta devo tornare indietro nel tempo di qualche mese.
Durant, Westbrook, Harden e Ibaka, in tre Draft consecutivi. Dio benedica Sam Presti
(Credits to the-cauldron.com)
Luglio 2016. Ad Oklahoma City va in scena il più grande psicodramma sportivo dalla recente nascita della franchigia. The Next Chapter, the K-Decision. Kevin Durant porterà i suoi talenti nella Baia di San Francisco, alla corte di Steve Kerr e al fianco degli stessi giocatori che poco più di un mese prima gli avevano sbattuto in faccia la porta delle Finals contro i Cavaliers futuri campioni. Tutti vorrebbero disperarsi, avere il tempo di piangere per il fatto che una delle squadre più talentuose mai viste su un parquet NBA (do you remember Westbrook-Harden-KD?) si stava sfaldando definitivamente senza aver mai vinto assolutamente nulla. Ma non c’è tempo per lo sconforto, semplicemente perché il peggio sembra dover ancora arrivare.
Già, perché tutti i tifosi dei Thunder sanno che, da lì ad un anno, anche Russell Westbrook sarebbe stato free agent, e le possibilità che restasse in una squadra che da quel momento non avrebbe più potuto aspirare a posizioni da alta classifica sembravano improvvisamente ridotte al lumicino.
Adesso, provate a mettervi nella testa di Westbrook in quel momento. Avete appena perso le Finali di Conference, il vostro miglior compagno di squadra – nonché grande amico – se n’è andato privandovi di ogni residua possibilità di poter competere per l’anello nel breve-medio termine e, come se non bastasse, quello stesso giocatore – incidentalmente lo scorer più talentuoso sull’intera piazza, assolutamente non rimpiazzabile – è andato a rinforzare ulteriormente la squadra più forte della lega. A tutto questo aggiungeteci anche che, in linea di massima, non vivete nella località più amena degli USA e che mezza NBA sarebbe disposta a ricoprirti di soldi per portarti via. Sareste certi del fatto che rinnovereste il contratto?
Forse Westbrook lo era sempre stato in fin dei conti ma sicuramente una persona mediamente intelligente non lo avrebbe potuto dare per scontato, rischiando un altro “scippo” in stile KD un anno dopo. Il ragionamento da fare era quindi molto semplice: ipotizzare che lo #0 potesse da un momento all’altro annunciare l’intenzione di non rinnovare per vivere una carriera di eterno purgatorio e iniziare, consequenzialmente, ad organizzare un possibile rebuilding.
Qui, però, il genio di Presti è già entrato in scena da parecchio. La sera del Draft Serge Ibaka – sicuramente non la pietra angolare su cui fondare una eventuale ricostruzione, peraltro anche lui in scadenza entro un anno – finisce ad Orlando in cambio di Oladipo, Ilyasova e della pick 11 al draft, Domantas Sabonis appunto. Un giocatore in scadenza per due giovani di belle speranze e un role player di tutto rispetto (che pochi mesi dopo verrà a sua volta ceduto per Jemari Grant, un altro da osservare con grande attenzione negli anni a venire). Insomma se dovesse andare male con Durant (come accadrà), o malissimo perdendo sia Durant che Westbrook (come non accadrà, dato che Russell firmerà un mese dopo un bel triennale da 85 milioni), diciamo che almeno qualcosa da cui ripartire lo si avrà già in casa.
Dopodiché il resto è storia recente. Oladipo viene rinnovato con un quadriennale a 21 milioni l’anno che, sebbene faccia legittimamente storcere il naso a molti, lo rende maggiormente appetibile per una eventuale squadra che voglia ancora puntare su di lui in un futuro senza rischiare di vederselo scappare via a contratto scaduto. La convivenza con Westbrook, nel frattempo, semplicemente non funziona, né quando lo #0 è in campo né – e forse ancora di più – quando è in panchina e Victor sarebbe chiamato ad assumersi delle responsabilità che invece sembrano pesargli davvero troppo.
Serve altro a questo punto per cogliere la genialità della mossa di Presti?
Ti liberi di un giocatore disfunzionale per la tua squadra e di un rookie reduce da una stagione in chiaro-scuro e ti assicuri uno dei top-10 della lega sui due lati del campo, riuscendo anche ad abbassare il salary cap di circa 4 milioni.
Eh grazie infinite ma tanto Paul George fra un anno saluta tutti e se ne va ai Lakers, direte voi.
Vero, forse. Molto probabilmente il nativo di Palmdale rimarrà in Oklahoma in affitto per un anno prima del grande ritorno a casa, e avessi due centesimi nemmeno io li punterei sul rinnovo. Eppure provate a lanciarvi un po’ con l’immaginazione. Ad agosto Westbrook ottiene il suo agognatissimo nonché meritato quinquennale da 200 milioni e più. Oklahoma nel frattempo ha rifirmato Andre Roberson a cifre relativamente ragionevoli e si è rinforzata con qualche buon assett reperito nella free agency (Swaggy-P? Gay?). La stagione comincia e il nuovo dynamic duo funziona eccome, con i Thunder che riescono a chiudere la stagione intorno alle 57-58 vittorie, guadagnando il fattore campo per il primo turno. In qualche modo – e qui voliamo alto – centrano la Finale di Conference, dove si può anche perdere (in maniera dignitosa) contro i soliti Warriors.
Ecco a quel punto qualcuno di voi metterebbe la mano sul fuoco sul fatto che Paul George lascerebbe un contesto del genere per andare, all’alba dei 28 anni, a ricominciare (praticamente da zero o quasi) in maglia Lakers?
Ora, lungi dal sottoscritto sostenere che con l’inserimento di George, Roberson e qualche free agent, i Thunder diventerebbero improvvisamente una contender con buona pace di Spurs e Rockets. L’antifona però sarà proprio questa: vincere più partite possibile e raggiungere un buon risultato ai Playoff tentando di convincere l’ex Pacers della bontà del progetto e provando così a spingerlo al rinnovo. Il futuro ci dirà se “l’azzardo” avrà pagato, ma le virgolette sono obbligatorie proprio in virtù di quanto detto sopra: se andrà bene PG potrebbe rinnovare e Presti avrà completato il capolavoro della sua carriera. Se non andasse così e si accasasse davvero ai Lakers la prossima estate, l’azzardo(con Grant incluso) sarebbe comunque costato giusto un Serge Ibaka in scadenza di contratto e lascerebbe più di 20 milioni di cap libero con cui muoversi la prossima estate.
Oggi più che mai, 92 minuti di applausi a Sam Presti sarebbero più che meritati.
“Sam Presti…E’ UNO DEI MIGLIORI GM DELLA LEGA!”
Ora, se siete arrivati fin qua una domanda non può che sorgervi spontanea.
Assumiamo anche il fatto che Presti sia un genio. Ma perché mai i Pacers hanno accettato una trade del genere?
Risposta immediata e assolutamente non ragionata: boh, saranno stati ubriachi.
Risposta dopo una minima riflessione: fiducia (Spropositata? Priva di basi e giustificazioni?).
Partiamo da un assunto tanto scontato quanto impopolare in questi giorni: no, Indiana non si è presa due bidoni portandosi a casa i giovanotti dei Thunder. Sì, le ultime due stagioni di Oladipo sono state tutto tranne che entusiasmanti (anche se, per quanto riguarda l’ultima, la presenza a dir poco ingombrante di Westbrook può forse fungere da parziale giustificazione). Ciò premesso, si tratta pur sempre di un classe ’92 in grado di garantire un apporto fondamentale nella metà campo difensiva (difesa off ball, cambi difensivi anche su qualche ala piccola, grande capacità di andare a rimbalzo, atletismo, tempismo nell’anticipo) e un discreto – seppur migliorabile – apporto offensivo, forse mai realmente espresso dal suo approdo in NBA.
A ciò si aggiunga un secondo elemento. In potenza(molto, in potenza al momento) la coppia Sabonis-Myles Turner potrebbe davvero diventare nel giro di qualche anno una delle più complete e complementari dell’intera lega, con il secondo a fare il lavoro sporco sotto le plance e il primo a garantire quella dimensione maggiormente perimetrale in fase offensiva (32% da tre che però nelle prime 30 partite era 45%) e difensiva (dove però i piedi devono iniziare a muoversi molto più velocemente di quanto non abbiano fatto questa stagione), indispensabile nell’odierna NBA.
Quindi tecnicamente lo scambio è sicuramente svantaggioso ma, no, non è necessariamente un suicidio per i Pacers, specialmente in un’ottica di rebuilding – quale quella intrapresa dalla franchigia di Indianapolis dopo l’all-in miseramente fallito di quest’anno – quando, volente o nolente, alcuni rischi bisogna assumerseli.
I problemi e i dubbi di questa trade dal punto di vista dei Pacers sono altri e possono essere ricondotti a tre semplicissime domande a cui questa volta è veramente difficile provare a dare una risposta.
1. Davvero non si poteva ottenere nulla di meglio di Oladipo e Sabonis sul mercato?
2. Perché accettare la trade adesso senza aspettare l’evolversi della trattativa Celtics-Hayward, visto che un eventuale approdo del giocatore di Utah a Miami o una sua permanenza a Salt Lake City avrebbe verosimilmente spinto i Verdi ad alzare la posta per George?
3. Ammettiamo anche che davvero Pritchard vedesse nei due giocatori dei Thunder le pietre fondanti su cui basare la futura rinascita dei Pacers. Fiducia, appunto, perché di questo si tratta (vi ricordate di DeMarcus ceduto quasi a cuor leggero ai Pelicans perché tanto Hield “è il nuovo Steph Curry”?). Ecco però allora dove diavolo sono le pick di contorno, fondamentali per qualsiasi rebuilding che si rispetti?
Magari alla fine l’avrà vinta Pritchard, che avrà visto in quei due ragazzi qualcosa che nessuno aveva ancora visto. Magari Oladipo diventerà un all star nel giro di due anni. Magari il frontcourt Sabonis-Turner farà in breve tempo impallidire quello dei Pelicans, who knows. Se però Jeff Goodman ci dice che, da quelle parti, solo qualche giorno prima era arrivata un’offerta da Boston comprendente Crowder, un altro starter e tre first pick, allora un po’ di legittimi dubbi ci colgono. Ma anche qui a parlare non sarà altri che il parquet.
Già, il parquet. Quella meravigliosa superficie legnatica sulla quale Russell Westbrook e Paul George dalla prossima stagione giocheranno vestendo la stessa casacca. E sarà una cosa bellissima un po’ per tutti.
Per i tifosi dei Thunder che finalmente potranno smettere di coprirsi gli occhi tutte le volte che RW avrà bisogno di sedersi in panchina – perché può apparire complicato ricordarselo ma è un essere umano proprio come noi -, senza vedere l’efficienza offensiva della loro squadra scendere da 107,9 a 97,4 punti su cento possessi. Questo permetterà anche a coach Donovan una migliore possibilità di utilizzo del prodotto UCLA, che in diverse occasioni, soprattutto nella serie contro Houston, è apparso poco lucido nelle situazioni decisive causa l’impossibilità sistematica di tenerlo fuori dal campo (47% di Usage Rate ai Playoff, un dato spaventoso), senza subire parziali a dir poco imbarazzanti (-51.3 di Net Rating nei 46 minuti trascorsi da RW in panchina contro i Texani; -8.9 in Regular Season).
Per Sam Presti e la dirigenza dei Thunder che potranno agire da una maggiore posizione di forza nel contrattare rinnovi come quello di Roberson, avendo adesso a disposizione uno dei migliori difensori perimetrali della lega, e non essendo quindi più soggetti a possibili ricatti del tipo ‘se me ne vado io rimanete a difendere con McDermott e Kanter’. D’altra parte, proprio il duo George-Roberson formerebbe indubbiamente una delle coppie difensive più solide e rapide della Western Conference, e garantirebbe a Donovan la possibilità di tenere in campo, oltre a Westbrook, un’altra defensive liability à-la-McDermott/Abrines, tentando di nasconderla in fase difensiva ma assicurando maggiore spacing dall’altra parte del campo, magari splittando Roberson da 4 in un quintetto super leggero e esentandolo da qualsiasi onere offensivo, come ipotizzato in maniera molto interessante da Jonathan Tjarks.
Per coach Donovan, e manco ve lo dico.
Per Russell Westbrook che si ritrova forse la migliore spalla possibile sulla piazza. Un difensore d’élite, non necessariamente accentratore ma pronto a prendersi sulle spalle la squadra quando lui sarà off the court, un ottimo tiratore (quasi il 40% da tre punti nell’ultima stagione) ma soprattutto uno straordinario catch-and-shooter, come attestano i 7.4 punti a partita in queste situazioni, dietro solo all’inarrivabile Klay Thompson (11.5) e al sempre-verdissimo Nowitzki (8.0), in grado di garantire migliori spaziature in fase offensiva e quella maggiore pericolosità dal perimetro che quest’anno tanto è mancata ai Thunder (32% di squadra dai tre punti, percentuale più bassa della lega).
Blocco granitico di Adams, uscita rapida di PG e scarico di Westbrook per la tripla dell’ex Pacers potrebbe essere una soluzione ricorrente la prossima stagione. O, molto più banalmente, penetrazione animalesca a canestro dello #0 e scarico nell’angolo: pensate alla sua faccia quando a ricevere non ci sarà Semaj Christon(19% da fuori);
Per Paul George stesso che quest’anno, al fianco del neo MVP, potrebbe trovarsi di fronte ad una delle sfide più stimolanti e affascinanti della carriera, chiamato da una tifoseria intera a rimarginare – anche solo per un anno – la ferita ancora dolorosissima lasciata da Durant appena un anno fa. Sia chiara una cosa però: i Thunder, anche con il #13, non sono una contender e forse non sono nemmeno da finali di Conference. E questo va tenuto ben a mente per non caricare l’ex Indiana di troppe responsabilità come fatto, sbagliando, con Russell nel corso di questa stagione. Il roster è corto e manca un Playmaker all’altezza in grado di far rifiatare Westbrook. Manca una Power Forward perché, per quanto sia un giocatore di grande prospettiva, Grant non sembra ancora pronto per fare il titolare, e soprattutto mancano dei punti, altri, quelli che dovrebbe portare in dote un giocatore come Kanter che però rimane un peso eccessivamente gravoso nella metà campo difensiva (per conferma consiglio di rivedere la serie contro Houston).
Sarà una cosa meravigliosa per Joelone Embiid, che con il mortorio che sta diventando la Eastern Conference (via Butler, George, Millsap…) quest’anno all’ASG ci va passeggiando in ciabatte, con buona pace di Rihanna (qualcuno vada ad Est, di grazia!);
Infine per ogni singolo appassionato di pallacanestro (che non tifi Boston Celtics), perché – come scrive Chris Ryan – il fatto che i Thunder siano una team che potenzialmente potrebbe perdere entrambe le proprie stelle nel giro di un anno rende solo il tutto molto più avvincente ed emozionante. E’ una corsa contro un cronometro che non segna 24 secondi, segna 12 mesi. Una vera e propria squadra “a tempo determinato”. Forse.