Quando ad inizio mercato è stato annunciato il cambio di casacca di Jerry West, si stentava a capirne le ragioni: il passaggio di The Logo, da una Golden State costruita pezzo per pezzo fino a renderla la schiacciasassi attuale ai Clippers con le star sul piede di partenza, pareva un azzardo esagerato anche per il già due volte NBA Executive of The Year.
La franchigia losangelina difatti per anni si era dimostrata incapace di effettuare il passaggio from good to great, col suo picco toccato nei playoffs del 2015, a dimostrazione della tesi, con l’eliminazione compiuta ai danni degli Spurs campioni in carica al primo turno con Chris Paul a decidere da infortunato la decisiva gara 7 e il suicidio sportivo nella serie successiva coi Rockets, con il culmine nella rimonta subita senza Harden in gara 6.
La fine del ciclo di un gruppo dalle potenzialità mai espresse fino in fondo, con continui infortuni in post season era difatti preannunciata dalla contemporanea scadenza di contratto di 3/4 del core del team, con i due All Star Chris Paul e Blake Griffin, nonché il loro complemento JJ Redick ad essere tutti insieme in odore di mancato rinnovo, con conseguente smantellamento della franchigia e tanta solitudine all’orizzonte per DeAndre Jordan, rinnovato dopo una estenuante telenovela solo due stagioni fa:
Interrogato sulla questione, il leggendario manager invece delle rassicurazioni di rito sul rinnovo di Paul e Griffin per tenere il terzetto di All-Star unito, inoltre, aveva fornito un sibillino discorso sul cambiamento, dall’essenza terribile ma a volte necessario:
Neanche il tempo per LA di valutare le migliori opzioni possibili per cercare di evitare l’esodo che i Rockets piazzano il colpo, accaparrandosi i servigi del miglior giocatore della storia della franchigia, Chris Paul, il quale solo per il rotto della cuffia rinuncia all’opt-out dal contratto così da assicurare via sign-and-trade una contropartita agli ormai non più suoi Clippers.
A dirla tutta, il pacchetto ottenuto in cambio da Houston non è neanche pessimo, ancor di più valutata la possibilità di non ricevere in cambio proprio nulla. Il quartetto composto da Patrick Beverley, Lou Williams, Sam Dekker e Montrezl Harrell, cuore della trade, porta sostanziale contributo in quel di Los Angeles.
In particolare, il primo è un rinomato specialista difensivo della Lega, oltre ad essere un buon complemento da quintetto negli spot fra guardia e playmaker; per quanto riguarda il secondo, ha ormai una dimensione conclamata come sesto uomo con licenza di offendere, con le ultime tre stagioni a 16.1 punti di media a partita ed un premio di Sixth Man of The Year conquistato ai Raptors proprio grazie alle doti balistiche. Gli ultimi due possono dimostrarsi, come già ai Rockets, validi supporti alzandosi dalla panchina di fianco al figlio di coach Doc, Austin Rivers.
Sommando la partenza di JJ Redick per i 76ers, tuttavia, la situazione del roster presentava un netto ridimensionamento di capacità offensiva, con la priorità storica per i Clips di miglioramento dello spot di ala piccola diventata quindi un bisogno impellente.
Qui arriva il colpo: grazie ad una sign-and-trade a tre che ha coinvolto anche Atlanta i Clippers riescono a portarsi a casa Danilo Gallinari.
Lasciando da parte picchi di patriottismo o disfattismo tipico da sostenitori di giocatori del nostro Paese, si tratta di un giocatore in grado di fare la differenza, quando la tenuta fisica lo sostiene. Lunghe leve, tiro, fondamentali, capacità di giocare in entrambi gli spot di ala: singolarmente si tratterebbe comunque di un’ottima acquisizione, valutando poi l’upgrade apportato nello spot rispetto ad un Mbah a Moute, più tosto in difesa ma ignorabile totalmente nella metà campo offensiva, si capisce come i Clippers stiano aggiungendo qualcosa in più successivamente alle iniziali perdite.
Anche dopo questo colpo, tuttavia, persistono dei dubbi: come detto prima, sulla stabilità della forma del Gallo, notoriamente injury prone; inoltre, mentre la pallacanestro va sempre maggiormente verso la direzione dello small ball, di fianco ad un Griffin che col suo rinnovo si appresta ad essere il cornerstone della franchigia e ad un DeAndre Jordan suo compare in tandem, l’inserimento di un’ala piccola dalle caratteristiche di Danilo sembra non rappresentare il fit ideale, sbilanciando troppo verso il front-court il talento puro del team.
Eppure i primi incontri fra Blake e Danilo non furono così amichevoli…
Infine, cominciano a girare voci sul miglioramento proprio nello spot di playmaker, ipotizzando quindi la decisione dello spostamento in posizione di guardia per il poco estroso Beverley: il nome che gira è quello di Derrick Rose, in attesa dell’ennesimo rilancio, ma è in questo caso che arriva la ciliegina sulla torta preparata da Jerry West. Per la posizione, infatti, viene annunciato l’acquisto direttamente dal Vecchio Continente: signore e signori, in maglia Clippers arriva il miglior giocatore al di qua dell’oceano, il genio serbo Milos Teodosic.
Dell’arrivo del play dall’andamento ciondolante e dagli assist magici si parlava dalla scorsa stagione, vista la scadenza del suo contratto con il CSKA al termine della stagione 2016/17; a spuntarla, tra le tante squadre accostate al suo ingaggio, dai Kings ai Nets passando per Jazz e Bulls, sono stati proprio i Clippers. E col ragazzo interessato a situazioni che gli fornissero spazio la situazione potrebbe essere di grande beneficio reciproco.
La franchigia meno fortunata di Los Angeles, infatti, era stata ribattezzata come Lob City in virtù degli innumerevoli alley-oop alzati da Paul e trasformati da Jordan e Griffin, col primo soprattutto a firmare col 70% dal campo per tre anni di fila una cifra pari solo quelle dell’intoccabile Chamberlain, in conseguenza della pericolosità nei pick-and-roll da parte del ball handler, sia con palla in mano che nella capacità di lettura dell’assist.
Prima che ci si chiedesse quanto le capacità di roller dei due lunghi diventassero insufficienti rispetto all’esigenza di capitalizzare un maggior numero di possessi offensivi, l’approdo di Teodosic porta un altro dei migliori 10 giocatori di pick-n-roll del pianeta. Milos infatti è in grado di colpire col tiro rapidamente se la scelta difensiva è quella di passare dietro al blocco lasciandogli il tiro, da 2 o da 3 punti:
Ingles resta dietro il blocco di Raduljica: Milos si arresta sulle punte in un nanosecondo per tiro e canestro.
Mentre nel caso di forti aiuti, grazie ad una capacità di lettura sopraffina è in grado di servire tanto il bloccante:
L’estrema aggressività comunque non riesce a chiudere le linee di passaggio a Milos.
quanto di coinvolgere un terzo compagno, in caso di rotazione difensiva:
Con Milos in ricezione dinamica, il difensore del bloccante va a raddoppiare mentre un suo compagno al centro del pitturato anticipa la rotazione sul tagliante. Teodosic vede prima e serve in no look direttamente l’attaccante da lui lasciato libero.
oltre ad esaltare i compagni in contropiede, dove i campi della Lega presentano addirittura dimensioni maggiori:
La palla ad effetto a tutto campo commentatela voi.
Anche in questo caso ovviamente permangono i dubbi, qualcuno sull’adattamento ai ritmi e soprattutto sulla tenuta difensiva, già punto debole in Europa e destinata ad essere maggiormente esposta in NBA. In questo caso l’accoppiata con Beverley potrà aiutarlo, con l’ex-Houston Rockets che si occuperà delle point-guard avversarie più pericolose, togliendogli un po’ di pressione.
Curiosa la reunion fra Teodosic e Beverley dopo la stagione insieme di Olympiakos (Credits to italia.vavel.com)
Insomma, rispetto alle condizioni di partenza, il volto dei Clippers è cambiato ma rimanendo una realtà quantomeno interessante: scongiurato l’oblio in cui rischiava di rimanere impantanato, la squadra risentirà poco dell’addio di Chris Paul o addirittura si ritroverà migliorata?
Viste le premesse, contro Jerry West meglio non scommettere…