Primo Piano

Il Pagellone del Mercato NBA: N° 30 – 29 – 28 – 27 – 26 – 25

27-26-25

 

27 • INDIANA PACERS Voto: 4,7

di Marco Munno

Quando una franchigia presenta in roster uno dei migliori 15 giocatori della lega, ancora nel fiore degli anni, e arriva solo per il rotto della cuffia ai playoff nella Conference meno competitiva, allora è chiaro che qualcosa debba essere ricostruito.

I Pacers però lo hanno fatto non intorno a quel giocatore, ma obbligati a sacrificarlo: l’errore di fondo resta quello di aver spinto, non costruendo nel passato recente squadre competitive, lo stesso Paul George ad annunciare un anno prima della scadenza contrattuale il mancato prolungamento dell’accordo. Con una cessione quindi inevitabile, pur di guadagnar qualcosa, fra le varie contendenti ai servigi di PG13 l’ha spuntata OKC, con un pacchetto ricevuto dai Pacers che poteva forse essere migliore: Victor Oladipo, che come uomo franchigia non portò mai ai playoffs i suoi Magic e un acerbo Sabonis, non certo destinato ad essere al livello del padre.

Il dilemma di fondo di due giocatori non integrabili perché simili per caratteristiche, quali Teague ed Ellis, è stato risolto con la perdita di entrambi a zero, mentre per CJ Miles, un comprimario versatile i Pacers sono riusciti ad avere in cambio solo Cory Joseph. Infine gli arrivi non compensano le partenze: oltre all’ex play di Spurs e Raptors sono arrivati via free agency Collison e Bogdanovic (ex Wizards e Nets, da non confondere col Bogdanovic appena firmato dai Kings, ex Fenehrbace), in un roster assemblato un po’ a casaccio pieno di giocatori in cerca di rivincite. In tutto questo anche il genio cestistico di Larry Bird ha imboccato l’uscita, al termine della scorsa stagione.

In questo marasma i Pacers rischiano anche di compromettere lo sviluppo di Myles Turner, un potenziale futuro All-Star, nonché facente parte del gruppetto di giovani lunghi dal tiro e coordinazione come quelli degli esterni, che nell’ultimo biennio si è imposto nella lega: gli Unicorni, per intendersi.

Certo, potrebbe crearsi un equilibrio in cui Collison e Joseph riescano a dividersi in modo congruo le responsabilità, Oladipo e Turner creino una combo dinamica ed efficiente, Bogdanovic e Robinson siano sempre pronti a punire le difese sbilanciate sulle star, Lance Stephenson esploda (sic!) e Sabonis rubi i trucchi del mestiere a Thaddeus Young. Ma ad essere sinceri sembra un allineamento planetario davvero troppo difficile.

 

26 • ORLANDO MAGIC Voto: 5,1

di Paolo Stradaioli

Tutto sommato le idee della nuova coppia al comando del front-office di Orlando, Jeff Weltman e John Hammond, non erano così malvagie, ma dopo il fallimento dello scorso anno ci si aspettava un cambio di rotta. Un allenatore come Frank Vogel infatti non è certo tipo da rebuilding. Tuttavia con la pick numero 6 al draft, i Magic hanno scelto Jonathan Isaac, interessantissimo prospetto di 3&D ma sul quale ci sarà molto lavoro da fare. Proprio da questo punto di vista i Magic finora hanno fallito: plasmare la mente e il corpo di un ragazzo al fine di trovargli cittadinanza su un parquet NBA. Si va dalla catastrofica gestione di Hezonja, alla nebulosa promozione di Payton, fino all’equivoco ancora irrisolto di Aaron Gordon. Le qualità di Isaac non si discutono ma forse era più opportuno virare verso un prospetto più Nba ready che magari non andasse a contendere minuti allo stesso Gordon, specialmente per la qualità di alcune combo-guard scelte subito dopo come Dennis Smith o Malik Monk.

Un 2.11 che mette palla per terra in questo modo si iscrive di diritto alla nuova categoria più cool della lega: Unicorn!

Ad occupare il campo in quella posizione sarà invece Shelvin Mack, per lui biennale da $12 milioni. Il nativo di Lexington sarà un uomo molto utile nelle rotazioni ma di certo non sposterà gli equilibri nemmeno in una conference povera come quella in cui giocano i Magic. Inoltre non sembra sposarsi con l’idea di Vogel di giocare una pallacanestro ad alto ritmo, dettame al quale l’ex coach dei Pacers non vuole proprio rinunciare. Decisamente più interessante invece la firma di Jonathon Simmons strappato alla concorrenza per una cifra molto più bassa rispetto alle attese ($20 milioni in tre anni). Il fatto che tanti tifosi texani abbiano accolto la notizia con un pizzico di delusione dimostra quanto Simmons abbia convinto in maglia Spurs. I lampi mostrati sui due lati del campo suggeriscono che sotto la giusta supervisione il nativo di Houston possa continuare a sviluppare quegli istinti difensivi che già ad oggi gli consentono di difendere su qualsiasi esterno della squadra avversaria (Pop senza Leonard in campo lo dirottava sempre sul giocatore più pericoloso, negli scorsi playoff) e migliorare un range di tiro che lo porterebbe ad essere costantemente pericoloso anche lontano dal pitturato.

Un filo atletico il ragazzo…

La firma di Simmons sembra quindi essere l’unica mossa veramente convincente della offseason dei Magic i quali tra l’altro devono trovare il modo di compiere delle importanti operazioni in uscita. Ammesso che per Biyombo si tenderà ad aspettare almeno un’altra stagione, i contratti di Vucevic e Dj Augustin soprattutto sono disfunzionali per un progetto che ambisce a riscuotere i suoi dividendi nel medio-lungo periodo. In definitiva ad Orlando non si respira la stessa aria frizzante dello scorso anno (e forse è un bene) di conseguenza bisognerà aspettare almeno fino al nuovo anno per capire quanto e se potranno migliorare questi Magic.

 

25 • PORTLAND TRAILBLAZERS Voto: 5,1

di Alessandro Zullo 

Insufficienza piena, tonda, inevitabile e inappellabile. Che a pensarci bene risente molto delle porcherie compiute l’anno scorso, ma che non per questo può considerarsi meno grave.

Perché quando spendi complessivamente 47 milioni l’anno per il trio delle meraviglie Crabbe-Turner-Harkless allora non puoi stupirti se poi ti ritrovi con il mercato bloccato, il salary cap più alto della lega e 43 milioni di luxury da pagare per una squadra che farà fatica anche ad entrare ai Playoffs.

Wasting money…

Che dire allora dell’estate di Portland? Poco, pochissimo.

Con la situazione finanziaria della franchigia, aspettarsi qualcosa dal mercato sarebbe stato oltremodo irreale. Nessuno è uscito e nessuno è entrato. L’unica buona notizia per i tifosi dei Blazers può allora forse rilevarsi nella meravigliosa prospettiva di un anno intero – e si spera ininterrotto – di Jusuf Nurkic sotto le plance.

Le uniche novità sono quindi arrivata dal Draft, dove Portland – forte di un frontcourt già molto ricco, per usare un eufemismo – ha pensato bene di soprassedere sui vari Malik Monk, Luke Kennard e Donovan Mitchell per portare in Oregon altri due lunghi: Zach Collins da Gonzaga con la numero 10(ottenuta con una tradeup con Sacramento in cambio della pick #15 e #20) e Caleb Swanigan da Purdue con la numero 26.

Per i due rookie i percorsi alla Summer League non sarebbero potuti essere più diversi. Collins ha deluso tutte le aspettative chiudendo la competizione con cifre a dir poco modeste (6,3 punti e 5,7 rimbalzi con il 26% dal campo) e mostrando, più in generale, preoccupanti deficit fisici che ne hanno minato le potenzialità in fase offensiva, portando qualcuno – a ragione – a domandarsi se un altro anno di college non sarebbe stato necessario per il 19enne, primo one-and-done nella storia di Gonzaga.

Le prestazioni di Zach trovano poi ancora maggior risalto in negativo se poste in relazione a quelle di Swanigan, suo collega di reparto e assoluto protagonista della Summer League appena conclusa. Nel torneo amichevole, infatti, il ventenne di Indianapolis si è affermato come uno dei lunghi più interessanti trascinando Portland fino alla finale persa contro i Lakers di Lonzo Ball e chiudendo la competizione con una doppia doppia di media da 16 punti e 11 rimbalzi con il 42% dal campo, che gli è valsa la nomina nell’All-Summer League First Team.

Credits to yahoosports.com

Un prospetto interessante che potrebbe tornare utile nel corso della stagione (Swanigan sembra molto più Nba-ready di Collins) ma che non può in alcun modo sovvertire il giudizio negativo di una franchigia che naviga letteralmente a vista, senza alcuna potenzialità e senza alcun progetto nell’attesa di un miracolo (che non verrà da New York, scordatevelo. Anthony vuole solo i Rockets e di rinunciare alla no-trade clause per finire in una squadra che non potrebbe garantirgli nemmeno le finali di Conference non ci pensa nemmeno).

Portland è quindi una franchigia bloccata, e questa offseason rappresenta solamente un’altra occasione sprecata per tentare quantomeno di imprimere una direzione ad una squadra che, in queste condizioni, non va letteralmente da nessuna parte.

Male, molto male.

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NbaReligion Team

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