Primo Piano

Il Pagellone del Mercato NBA (posizioni 6-1)

3 • GOLDEN STATE WARRIORS Voto: 8

di Paolo Stradaioli

 

Ultimamente si parla di quanto il salary cap portato a queste cifre sia uno strumento non più così democratico per la conquista del titolo NBA. C’è infatti la possibilità che se tre o quattro superstar si mettano d’accordo potrebbero formare un super-team in grado di vincere ripetutamente per un tempo considerevole. Le ultime vicende che hanno coinvolto i capricci di Kyrie Irving ci fanno capire tuttavia quanto sia importante per un atleta a questi livelli emergere sopra tutti gli altri e quanto non sia gradito un posto alla tavola se ad intrattenere i commensali ci pensa un altro. Per questo il sistema che prospera in quel di Oakland (e che si trasferirà a San Francisco nel 2019) è materia di studio per esperti e tifosi.

We’re back bitches!

Non ci vuole infatti uno scienziato per capire che il contratto di Stephen Curry ($201 milioni in cinque anni) avrebbe reso praticamente impossibile rifirmare Durant e Iguodala al loro valore di mercato. A questo punto entra in gioco il pedigree di una società che ha trasmesso ai suoi dipendenti, dai giocatori ai magazzinieri, un senso di identità che spinge anche un fuoriclasse come KD ad alleggerirsi considerevolmente il portafogli pur di rimanere nella miglior franchigia presente nel panorama NBA.

Accettare un biennale da $50 milioni per Durant significa lasciare sul piatto una cifra, solo quest’anno, vicina ai 10 milioni di dollari che buona parte delle franchigie sparse per la lega sarebbero state ben contente di offrirgli. Lo stesso discorso vale anche per un ingranaggio fondamentale come Iguodala, corteggiato a lungo anche da squadre non proprio prive di ambizione come Rockets e Spurs ma alla fine convinto dalla bontà del progetto Warriors e -sembrerebbe- dalle lacrime del figlio.

Per completare il capolavoro il GM Bob Myers ha confermato anche i vari West, Pachulia, Livingston e non si è fatto sfuggire l’occasione di firmare al minimo un talento difensivo come Omri Casspi che quando non è tormentato dagli infortuni diventa pericoloso anche nella metà campo offensiva. Come se non bastasse Golden State si conferma come un ameno lido dove far esplodere il talento ingabbiato da una psiche turbata, e dopo Javalone è il turno di Nick Young. L’ex laker svolgerà un ruolo secondario nelle rotazioni di coach Kerr ma se trovasse un equilibrio tra il giocatore e lo Swaggy P che è in lui potrebbe risultare un elemento funzionale in uscita dalla panchina (parliamo di un tiratore da 40% oltre l’arco).

La carriera di Swaggy P in un frame. Sì, la palla è uscita.

Come intuibile, nonostante le macchinazioni del front office per ridurre i costi al minimo, ci sarà da pagare un importante luxury tax (circa $40 milioni) che promette di aumentare ma allo stesso tempo è garanzia di una squadra destinata a rimanere ancora a lungo la candidata principale per la vittoria finale.

Postilla a margine (che poi quando si parla dei Warriors è sempre un rischio definire un nuovo innesto marginale) la trade nella notte del draft che ha girato i diritti della pick 38 dai Bulls ai Warriors. Quella scelta si è trasformata in Jordan Bell, un 4 polivalente in grado di cambiare su tutti che però ha evidenti lacune al tiro. In molti lo paragonano al primo Draymond Green e se vagamente gli somiglia saremo costretti a vedere la franchigia di Joe Lacob e Peter Gruber stritolare la concorrenza ancora per parecchio tempo.

 

2 • OKLAHOMA CITY THUNDER Voto: 8,3

di Federico Ameli

Gli Oklahoma City Thunder entravano in quest’estate con in mano pochissimo spazio salariale, una scelta al draft mediocre (la ventuno) e la paura di essersi infilati nel posto più brutto della NBA: quello della mediocrità. Fortuna per i tifosi dei Thunder OKC ha in Sam Presti uno dei più cerebrali, sopraffini machiavellici General Manager della lega, che per l’ennesima volta è riuscito a prendere in mano una situazione bollente e a trasformala in oro. Se il fine giustifica i mezzi, dobbiamo necessariamente perdonare al buon vecchio Sam le varie truffe perpetrate ai danni dei suoi malcapitati colleghi o giocatori, privati dei loro asset più succulenti o tremendamente sottopagati se si prendono in considerazione le cifre di questa free agency.

Presti è riuscito a farsi regalare (perché ammettiamolo, di un regalo si è trattato) niente di meno che Paul George in cambio di due giocatori che un anno fa erano considerati un’equa offerta per Serge Ibaka, un buon giocatore ma non certo una superstar del calibro del californiano. Certo, il contratto di George scadrà soltanto tra un anno e nessuno è in grado di dire se l’ex stella dei Pacers deciderà di fermarsi ad Oklahoma City anche nelle prossime stagioni, ma a queste condizioni il gioco vale la candela, eccome se la vale. Ad ogni modo, per un’analisi più approfondita della trade in questione vi rimandiamo a questo link.

L’arrivo di Paul George, al pari della sign-and-trade di Paul ai Rockets, è finora il colpo più sensazionale dell’estate Nba, ma i miracoli di Sam Presti non si limitano all’aggiunta di una superstar da affiancare ad un Russell Westbrook in versione dominatore dei mondi. Andre Robertson, che non sarà James Harden ma riveste un ruolo fondamentale nell’economia difensiva dei Thunder, era in scadenza e la sua firma su un triennale da 10 milioni a stagione rappresenta un colpaccio con le cifre che girano. Stesso discorso per i 16,4 milioni di dollari che i Thunder sborseranno nei prossimi tre anni in favore di Patrick Patterson, ala grande con un bagaglio di esperienza sicuramente maggiore di quello del pur promettente Sabonis e un rapporto qualità-prezzo sicuramente migliore a quello di Taj Gibson, accasatosi a Minnesota con un biennale da 28 milioni dopo un finale di stagione a tinte fosche. Per quanto riguarda invece la panchina, il fedelissimo Nick Collison ha messo la sua firma su un annuale al minimo salariale, lo stesso che Sam Presti ha offerto a Raymond Felton, assicurandosi un portatore di palla esperto che possa prendere il posto di Russell Westbrook nei pochi minuti di riposi concessogli da coach Donovan.

Con in mano solo la ventunesima scelta, la presa di Terrance Ferguson nel corso dell’ultimo Draft non può essere considerata malvagia: il ragazzo è un classe 1998 e la carta d’identità non giocherà a suo favore nell’immediato, ma ad ogni modo la guardia ex Adelaide 36ers rappresenta un investimento nel lungo periodo, un rischio che con la scelta numero ventuno un GM può permettersi di correre.

Se nella scorsa stagione le sorti sportive della squadra erano in balia degli alti e bassi di Russell Westbrook, con Patterson, Felton e Robertson reclutati a prezzo di saldo e un Paul George in più i Thunder si candidano seriamente ad essere i principali antagonisti degli Warriors in una Western Conference più agguerrita che mai. Se i tifosi, nonostante un addio che a distanza di 365 giorni brucia ancora, possono continuare a sognare, il merito è senza dubbio di Sam Presti. E l’estate non è ancora finita…

 

1 • HOUSTON ROCKETS Voto: 8,5

di Niccolo’ Scarpelli

 

Daryl Morey, il General Manager degli Houston Rockets, è un tipo dalle idee sempre molto chiare. In un articolo di Zach Lowe uscito subito poco dopo la vittoria del titolo da parte degli Warriors (e con ancora due settimane abbondanti prima dall’inizio della free agency) Morey aveva già indicato la linea dell’estate dei Rockets: Golden State non ci fa paura, e se loro costruiscono un Mostro A Quattro Teste allora noi dovremmo essere ancora più aggressivi e prendersi rischi e scommesse più grandi per cercare di detronizzarli. Ed è difficile trovare qualcuno che si sia mosso in maniera più sfrontata quest’estate.

Al 28 di giugno, quindi tre giorni prima che la free agency (formalmente) cominciasse, i Rockets avevano già portato a casa IL colpo di questa off-season, andandosi a prendere Chris Paul. Houston però non aveva spazio a sufficienza per assorbire il nuovo contratto di Paul, visto che entrava in questa free agency con circa 11 milioni di spazio salariale, cosa che ha portato Morey a dover usare tutta la sua creatività. La point-guard trentaduenne dei Clippers, dopo aver comunicato la sua volontà di lasciare Los Angeles, ha deciso di rinunciare ad essere free agent accettando di prendersi i 24.2 milioni del suo ultimo anno di contratto ― Paul inoltre ha rinunciato anche ad una clausola (detta trade kicker) che avrebbe dovuto innalzargli lo stipendio del 15% in caso di scambio. Così facendo ha permesso ai Rockets di completare la trade, spedendo in California Patrick Beverley, Lou Williams, Sam Dekker, Montrezl Harrell, una scelta 2018 e tutta una serie di contratti non garantiti ― acquistati uno dietro l’altro grazie a delle preziose (per gli altri) cash compensation ― necessari per raggiungere (economicamente) l’80% del contratto di CP3.

Credits to Click2Houston

Dopo aver completato la-trade-blockbuster-più-nerd-di-sempre, Morey non si è fermato a congratularsi con se stesso: ha rifirmato Nene, àncora difensiva importante e reduce dalla sua migliore stagione da tanto tempo, con un triennale da 11 milioni ed ha usato la MLE (Mid-Level Exeption) pari a circa 8 milioni per portarsi a casa PJ Tucker, firmato con un quadriennale. Due buoni veterani che aiuteranno molto difensivamente e che permetteranno ai Rockets di mantenere una rotazione lunga. Inoltre sono arrivati anche Mbah a Moute al minimo (2.1M) e Tarik Black, annuale anche per lui (da 3.2M). Quello che desta maggiore interesse però è il fatto che Houston ha ancora a roster alcuni contratti non-garantiti o parzialmente garantiti presi da Morey in quel impeto di nerdismo acuto ― Tim Quarterman, Jarrod Uthoff, Isaiah Taylor o Shane Long (quest’ultimo potrebbe anche rimanere, prospetto interessante ed è costato pure una seconda scelta).

E se ci fosse qualcosa di più grande sotto? E se quel qualcosa, rispondesse al nome di Carmelo Anthony? Il giocatore per i Rockets cancellerebbe quella no-trade clause dal suo contratto e i texani lo accoglierebbero a braccia aperte. Il vero ostacolo è trovare qualcuno disposto ad assorbire i 61.3 milioni garantiti (sicuramente non i Knicks) del contratto di Ryan Anderson, e non è un ostacolo da poco.

Vedremo, fatto sta che anche rimanendo così Houston ha comunque un roster più profondo e versatile rispetto ad un anno fa e toccherà a D’Antoni adesso trovare la soluzione perfetta per far rendere al massimo Chris Paul e James Harden assieme. I Rockets hanno recentemente esteso il contratto al Barba fino al 2023, aggiungendo 160 milioni all’attuale accordo e permettendogli di guadagnare, nell’arco dei prossimi sei anni, qualcosa come 228 milioni. È lui la pietra angolare della franchigia, il padrone di casa. Harden ha ancora 27 anni, è nel pieno del suo prime cestistico ed è uno dei migliori 5 giocatori della NBA. Uno dei top-3, secondo Morey, e i Rockets non hanno alcuna intenzione di sprecare neanche uno dei migliori anni del loro giocatore-franchigia. Gli Warriors avranno pure messo l’asticella a livelli siderali, ma Morey ha dimostrato di saper rispondere colpo su colpo, e di essere pronto alla battaglia. Sono loro, la regina del Mercato 2017.

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Guarda i commenti

  • Non condivido il voto dei Rockets. Sebbene il modo in cui sia arrivato Paul debba essere considerato un colpo da maestro, liberarsi di tutti quei contratti, Beverley incluso, per fare spazio a un giocatore che per fisicità e tecnica sembra più ostacolare la stella della squadra che non elevarne il potenziale questo mi sembra proprio un colpo maldestro.. in in estate ricca di free agents con caratteristiche decisamente più funzionali, Houston decide di svenarsi per firmare un doppione di un giocatore che aveva già in casa.. più che altro non mi sembra una mossa da regina di mercato, ecco..
    Se già nei PO avevano dimostrato limiti nella gestione della difesa, adesso al netto del mercato fatto in entrata e in uscita, non mi sembra che siano migliorati sotto questo aspetto, anzi.. ma il tempo è galantuomo, staremo a veder cosa ci dirà

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NbaReligion Team

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