Silenzio. Assordante silenzio. Nessun rumore di automobili, nessun telefono che squillava per chiedergli interviste, nessun nuovo Larry O’Brien Trophy da ammirare a fianco di quello del 2016, ormai impolverato e dimenticato in una mensola sopra il camino. In casa non stava volando una mosca, dormivano tutti nonostante il classico temporale estivo stesse facendo risuonare il cielo come una batteria percossa dai tuoni. Dan Gilbert si rigirò tra le mani una coppa di vino, la vista sul lago Erie non era così allettante e le luci di downtown gli ricordarono la Quicken Loans Arena e quello che stava succedendo nell’intestino della sua franchigia. Kyrie che chiedeva la trade, LeBron che stava per andarsene… Distolse lo sguardo e fissò il fuoco che pigro stava lanciando gli ultimi bagliori nel camino, sempre meno desideroso di assopirsi.
Toc, toc. Bussavano? Nel 2017? Toc, toc. Sì, stavano bussando. Già inacidito dai pensieri che stavano frullando nella sua testa Dan non aveva la minima voglia di spostarsi dalla sua poltrona per andare ad aprire, chiunque esso fosse. Toc, toc. Insisteva. Toc, toc. A malincuore Dan si alzò e, in un mix tra l’incazzato e l’incuriosito, si recò alla porta di casa per andare a scacciare quello che si aspettava fosse un fan. Non sapeva ancora che sarebbe stata la decisione migliore della sua vita. Sulla soglia di casa trovò un uomo incappucciato ma dall’aspetto famigliare. Era un reietto, un simbolo di una folle religione eretica cacciato dalla Lega per essersi fatto beffe del Sistema.
“Cosa diavolo ci fa Sam Hinkie, in piena notte, a casa mia?”
“Ciao Dan, so che sei in un momento difficile ma ho bisogno di parlarti. Ho avuto una visione, devo diventare GM dei Cavaliers. Solo in questo modo potrai vincere di nuovo, ma questa volta…”.
“Vattene Hinkie, ho già abbastanza problemi di mio, non ho tempo da dedicare ad un povero paz…”
“… senza LeBron“.
Silenzio. Come prima, ma questa volta carico di tensione positiva. Gilbert si guardò un attimo intorno e fece entrare la figura incappucciata. Quasi guidato da una sorta di mano divina condusse il suo ospite di fronte al camino, improvvisamente ravvivatosi. “Come…” azzardò Dan, venendo subito interrotto con un gesto della mano. “Non posso convincerti a parole, devi vederlo”, disse il nuovo arrivato indicando il fuoco. Gli occhi di Dan Gilbert si sgranarono, aveva visto qualcosa danzare tra le fiamme. Si avvicinò al focolare, tanto da percepirne il calore pungente sul viso e vide tutto ciò che aveva sempre voluto vedere.
Vide sé stesso, in quella stessa casa, in quello stesso salotto, mostrare felice una mano guantata per intero da anelli ad una folla di giornalisti curiosi ed i suoi 5 Larry O’Brien Trophy. Vide anche un bastone da passeggio appoggiato alla sua poltrona e la fatica con cui stava in piedi davanti a quello stesso camino, ma non ci fece troppo caso. “Come?” chiese con gli occhi lucidi il padrone di casa. La prima risposta fu un sorriso, un ghigno che valeva più di mille parole.
That damned smile… (credits to: csnphilly.com)
Tuttavia le parole arrivarono, un fiume di parole che tratteggiarono una realtà quasi surreale. Sam parlò di un dio del basket (o un dio rosso, non si capiva bene) che serviva ormai da anni e che gli aveva fatto capire come la sua prossima tappa sarebbe stata Cleveland. La Lega stava per perdere i 76ers come li aveva conosciuti negli ultimi anni, Brooklyn era troppo cool per diventare la nuova Philadelphia e l’NBA ormai aveva bisogno di una Philadelphia. Così la scelta era ricaduta su Cleveland. Dare il via a un nuovo processo, con lo stesso artefice, seguendo passo passo le visioni mandate da un oracolo super tecnologico.
Sam Hinkie tirò fuori dal mantello un laptop, prese posto sul divano e lo accese. Ci furono 5 minuti di silenzio imbarazzante, riempito da qualche breve sbuffo di impazienza dell’ex profeta di Philadelphia per la lentezza di quel maledetto aggeggio. La tensione prese a salire e Gilbert osservò con trepidazione lo spostarsi della freccina che, transitando pigramente sullo sfondo di Embiid con la canotta numero 21 bianca e blu, andò a posarsi su una cartellina chiamata “Cleveland”.
“Ti senti pronto?” chiese Sam. “Non vedo l’ora di battere LeBron e avere più anelli di lui” rispose Gilbert, non notando la smorfia di leggero disgusto balenata per un secondo sul volto del suo interlocutore. “Si, ecco… non credo che riusciremo a battere LeBron prima che lui si ritiri… ma ti assicuro che avrai più anelli di lui se credi nel processo…”. Silenzio, di nuovo. Dan non era più così convinto di voler aderire a questa religione così strana, insomma, anche solo con Kevin Love in una Est così mediocre poteva avere delle chance per andare ai playoff. Stava per cacciare di casa quell’oscuro profeta quando gli venne in mente “The Decision” e tutto quello che aveva significato per lui e per i suoi Cavaliers. Questa volta voleva essere padrone del suo destino. “Facciamolo”. Il doppio clic diede il via ad una esperienza mistica, guidata dalla voce del suo inseparabile compagno.
“Per prima cosa asseconderemo le richieste di Kyrie e lo spediremo un po’ più vicino al bordo della maledettissima terra di cui vuole essere padrone solitario. Phoenix mi sembra un buon posto dove abbandonarlo, a Ovest non farà nemmeno i playoff e noi ci accaparreremo anche la prima scelta 2020 dei Suns e 2021 di Miami” spiegò con voce suadente Sam Hinkie. “Probabilmente penserai che a Phoenix non rinunceranno mai a due prime scelte per un giocatore che tra due anni vorrà andare in una franchigia con un progetto serio. Ma sono disperati e accetteranno la mia proposta perché se non provano a vincere qualche partita anche Mister70punti abbandonerà la nave.”
Seconda immagine e secondo sermone del profeta rosso: “Facendo il giro delle franchigie più disperate dell’NBA attraccheremo nel porto più sfavillante (e perdente allo stesso tempo) mai visto. New York! I Knicks hanno uno dei giocatori più appetibili per me sul mercato, un contratto fantascientifico a cui solo un guru come Phil Jackson poteva pensare”. “Ah sì, Porzingis, come facciamo ad arrivare…” accennò Dan, immediatamente interrotto da Hinkie
“Ma quale Porzingis, Joakim Noah” sussurrò Hinkie con un brivido di piacere. “E non solo, riuscirò a portarmi a casa anche la prima scelta 2020 e una seconda scelta 2022. A NY non comprendono l’unicità di Joakim, da noi si sentirà a casa”.
La visione stava assumendo un aspetto sempre più bislacco ma Dan Gilbert non se ne curò, ammaliato dal progetto illustratogli passo per passo dal prete rosso. Gli spiegò per filo e per segno un programma in cui tutti quei maledetti contratti che gli facevano sborsare una fortuna e gli promise che sarebbe rientrato nel cap. Nel frattempo il campo avrebbe inflitto a LeBron James una serie di umiliazioni che non si sarebbe mai dimenticato. Nella partita di Natale contro Golden State avrebbe perso di 50, con i Warriors Young e McGee offensivamente dominanti contro la difesa improvvisata da coach Lue. E poi la ciliegina.
“Il giorno prima dell’All Star Game alzeremo il telefono e chiameremo Boston impostando la trade più clamorosa di sempre. Io e te saremo le persone che verranno ricordate per avere avuto l’ardire di scambiare LeBron James.” Hinkie stava parlando sempre più in fretta, ormai perso nei suoi deliri di onnipotenza. “La palude tecnica in cui lo avremo fatto precipitare gli farà rinunciare alla clausola contro la trade. E finalmente completeremo il nostro progetto. LeBron James sarà il mio biglietto d’oro per entrare nella fabbrica di cioccolato e potrò scegliere tutte le prime scelte che vorrò. Finiremo la stagione con un quintetto mai visto prima. Osservare Cleveland andare sui parquet di tutta America con Rose-Felder-Crowder-Horford-Noah come quintetto titolare sarà meraviglioso. Riesci a comprenderlo Dan? Il Processo Dan, devi credere nel Processo! ”
Gilbert non lo stava ascoltando ormai da un po’, vendicarsi in quel modo di LeBron James avendo poi come ricompensa altri quattro titoli, tutti suoi, andava oltre ogni sua immaginazione. Avrebbe dovuto aspettare 20 anni? Non importava, quegli anelli ormai se li sentiva come suoi. Li aveva visti, li aveva percepiti. Fissò Hinkie deciso più che mai a dargli carta bianca per dare il via al Processo. La faccia del suo nuovo GM si era però improvvisamente trasfigurata. Non era più in preda all’esaltazione, era diventata una maschera di cera, impassibile.
“Ti ho dato gli strumenti Dan, ora sta a te”. Gilbert rimase interdetto: “Cosa stai dicendo? Ti faccio preparare i contratti…”. Hinkie riprese il suo computer e si avviò verso la porta ripetendo al proprietario dei Cavaliers la stessa frase di prima. Dopo un attimo di esitazione, Dan insegui l’uomo incappucciato ma la fretta fu una cattiva consigliera e lo fece inciampare…
Dan si svegliò di soprassalto ribaltando il vino che teneva in mano. “Un maledettissimo sogno” pensò. “Devo smetterla di guardare Game of Thrones quando sono così stressato. Peccato, non era male come visione ma senza Hinkie non si può fare ed è scomparso dalla faccia della terra da molto tempo ormai…”
Toc toc.
Alberto Mapelli
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Articolo nato vecchio con Irving già tradato a Boston e con all'interno una serie di castronerie visionarie che non verrebbero in mente neanche a Hinkie in persona.
Worst ever secondo me