Phoenix Suns

Phoenix Suns Preview: troppo lontani dalla fioritura

Punti di forza e punti deboli

E’difficile che il primo pensiero di qualcuno che si trovi a riflettere su Phoenix non sia rivolto a quel miracolo estetico che risponde al nome di Devin Booker: 21 anni ancora da compiere, un senso per il gioco d’élite e un rilascio michelangiolesco. Il tutto condensato in una stagione da sophomore da 22.1 punti, 3.2 rimbalzi e 3.4 assist. C’è davvero qualcuno che non crede che il vero punto di forza di Phoenix possa essere questo ragazzo, più di quell’ Eric Bledsoe spesso al centro di voci di mercato?

Anche allo scadere, sotto pressione e Matthews addosso, il rilascio di Booker resta una delle cose più belle che la pallacanestro odierna possa offrire.

Volendo anche tralasciare l’hype generato da Booker con la propria sophomore season , è difficile non notare come i Phoenix Suns siano talmente tanto caratterizzati dalla gioventù diffusa nel proprio roster da veder combaciare quelli che sono i propri pro e contro: per i tifosi di Phoenix, dunque, la buona notizia è che si godranno una squadra giovane ed esuberante, mentre la cattiva notizia è che quella squadra giovane ed esuberante vivrà i problemi legati a questa condizione. Osservando le statistiche della scorsa stagione è subito possibile identificare quali siano le caratteristiche della squadra. Come ogni squadra giovane e atletica, i Suns amano correre e saltare: nella scorsa stagione sono stati secondi per PACE(102.9) e nei fastbreak points per gara (19.4), quarti per punti da palle perse (17.7) e nella produzione da rimbalzo offensivo (14.9) . Inutile dire che questa evidente predilezione per l’aspetto atletico del gioco li ha portati ad essere nell’èlite della lega per quanto riguarda la produzione di punti nel pitturato (quinti con ben 47.5), frutto di un’innata attrazione per le realizzazioni in aerea: addirittura il 44.1% dei punti dei Suns arrivano da conclusioni di questo genere.

In contropiede da palla persa i Suns trovano anche modi molto fantasiosi di realizzare nel pitturato.

Come avrete capito, i difetti offensivi di Phoenix si trovano sull’altra faccia della medaglia. Il team dell’Arizona produce poco e male con il tiro da tre punti ed è poco lucido con la palla tra le mani. La ricerca costante del centro dell’area è, dunque, anche una risposta fisiologica alla scarsissima attitudine al tiro pesante dei Suns, piazzatisi penultimi nella per percentuale di punti derivanti da tiri da 3 punti (20.9%). Un risultato che traduce tanto la scarsa vena dei tiratori Suns, quanto l’incapacità connaturata da parte della squadra nel trovare il tiro giusto. Il miglior tiratore nella scorsa stagione è stato Jared Dudley con un solido 37.9%, una percentuale onesta ma ben lontana dagli standard di cui una squadra ha bisogno per eccellere nella NBA del 2017. Dudley, inoltre, è stato in campo solo 21.3 minuti e non è mai stato -in carriera- un giocatore capace di astrarre il proprio rendimento (anche al tiro) dal contesto del team: pur confermandosi, dunque, un buon tiratore non ha potuto scavallare quota 40% perché le situazioni di gioco non lo portavano con continuità a prendere il proprio tiro piedi per terra. Non dobbiamo stupirci, dunque, se Phoenix si è piazzata ultimissima nella lega per punti realizzati in Catch & Shoot (20.5).

Un’azione vista non così spesso a Phoenix lo scorso anno: transizione guidata da Booker che saggiamente deposita nelle mani di Dudley per un raro catch & shoot.

Il difetto atavico della squadra, quindi, appare essere nelle scelte di playmaking puro: i due portatori primari di palla, Bledsoe e Knight, sono estremamente lontani dal disporre della lucidità giusta per condurre continuativamente nella giusta direzione un attacco così giovane, già naturalmente predisposto alla cattiva scelta di tiro. L’ancor giovanissimo Booker, invece, è già adesso dotato di una sensibilità per il gioco spiccata e di una capacità di scelta sorprendente. Il numero uno Suns dovrebbe anche conoscere grandissimi miglioramenti in questi fondamentali all’interno dello sviluppo del proprio gioco ma, al momento, queste sue caratteristiche vengono inghiottite dal caos di letture generato dai suoi compagni, che troppo spesso lo costringono a tenere troppo la palla in mano, di fatto depotenziando il set di opzioni che ha a disposizione.

Quando, invece, Booker può lavorare lontano dalla palla, ecco che ci mostra un paio di scelte di pura sensibilità cestistica.

A confermare le lacune nella capacità di effettuare scelte e passarsi la palla di Phoenix lo scorso anno son giunti il venticinquesimo piazzamento statistico nella turnover percentage (14.9%), l’ultimissimo posto nella assist/turnover ratio (1.27) ed i penultimi posti nel numero di assist a gara (19.6), di punti generati da assist (46.6) e nella percentuale di punti assistiti (49.1%). Non è un caso, quindi, nemmeno che Phoenix si ritrovi ad essere quinta tra le squadre NBA per pull up points: i Suns realizzano 21.7 punti a partita in queste situazioni, malgrado convertano quel genere di tiri con un non eccellente 37.4%. Il motivo? Spesso, quando non trova la soluzione immediata o l’area sguarnita, l’attacco dei Suns si strozza da solo con una serie infinita di palleggi e di scelte sbagliate: così facendo, spesso, Phoenix finisce a prendere tiri in emergenza dal palleggio.

Brandon Knight palleggia ripetutamente senza battere l’uomo, dilapidando secondi e limitandosi ad un passaggio passivo: così si auto-costringe a segnare un tiro fuori equilibrio con l’uomo addosso con 5″ sullo shot clock.

In questo contesto, il 42.3% di Booker al tiro appare piuttosto giustificabile: i Suns lo costringono a produrre tantissimo dal palleggio-arresto-tiro, un fondamentale che al college Booker aveva esplorato poco e che ora esegue in maniera esteticamente ammirevole ma non sempre totalmente efficace.
Non è tutto: la pessima organizzazione offensiva di Phoenix ha dei risvolti abbastanza evidenti anche sulla difesa: la tendenza a perdere palloni espone la squadra di coach Watson a dei dazi davvero alti da pagare. Nella scorsa stagione i Suns hanno concesso 18.1 punti a partita su palla persa e ben 16 in contropiede, risultando tra le peggiori squadre NBA in transizione difensiva. I numeri appena citati influiscono gravemente tanto sui 113.3 punti concessi a gara (peggior prestazione NBA) quanto sul 109.3 di efficienza difensiva che rendeva Phoenix la seconda peggior squadra difensiva su 100 possessi della lega.

Ancora una volta l’attacco di Phoenix ha prodotto ben poco, arrivando negli ultimi secondi a cercare un isolamento in post alto: Chriss è anticipato e non c’è bilanciamento. Questo ai Suns accadeva spesso.

I problemi di Phoenix, dunque, partono dall’attacco per propagarsi in difesa : se a tutto ciò sommiamo una connaturata incapacità di vincere le partite punto a punto (i Suns sono stati ventistreesimi per clutch wins e ultimi per clutch losses), cosa del tutto ovvia per una squadra così giovane, comprendiamo come i ragazzi di coach Watson non siano neanche andati vicini alle trenta vittorie stagionali. Le caratteristiche individuali dei Suns, però, possono far ben sperare i tifosi: in rosa ci sono numerosi ottimi atleti, dotati di braccia lunghe e facilmente plasmabili vista la giovane età, con la prospettiva di divenire più efficienti anno per anno. Nel quadro di questa Phoenix disfunzionale in attacco e porosa in difesa, appare particolarmente azzeccato l’innesto di Josh Jackson, prototipo del glue-player moderno: esplosivo, efficiente in difesa e versatile in attacco. Andrà disciplinato e reso un tiratore continuo ma, con ogni probabilità, Phoenix ha trovato un tassello importante per il proprio futuro. Per il futuro, appunto: nell’immediato è difficile immaginare che un singolo giocatore che possa avere un impatto deflagrante con questa squadra. Sarà anche questo il motivo per cui, dopo l’ennesima estate in cui si vociferava potesse arrivare qualche big name, Phoenix ha scelto di continuare verso la ricostruzione?

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  • Quando la squadra è giovane e talentuosa, molto dipende dal coach...

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Pubblicato da
Jacopo Gramegna

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