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Orlando Magic Preview: l’agonia continua

Punti di forza e punti deboli

Per una squadra che ha già vissuto diversi anni di ricostruzione potrebbe sembrare paradossale, ma non ci sarebbe da stupirsi se Jonathan Isaac fosse già ora il loro progetto più interessante. Come ha più volte scritto J. Tjarks su The Ringer, Isaac è un unicorno rarissimo che, sceso alla sesta chiamata, potrebbe rivelarsi un mostro. Il ragazzone (2,08m x 95kg) del Bronx compirà a breve vent’anni. Lorenzo Garbarino parlando di lui su queste pagine: “Isaac è stato fino a 15 anni una buona guardia, prima che madre natura lo facesse crescere di ben 21 centimetri da un anno all’altro. Questo vero e proprio miracolo umano gli ha permesso di possedere tutte le doti di una guardia nel corpo di un lungo, caratteristiche che nella pallacanestro moderna sono più uniche che rare”. Ha chiuso l’unico anno collegiale col 35% dall’arco e più di due stoppate per 36min., ma è l’apertura alare di 220cm che  rende l’ex Florida State materiale grezzo pregiatissimo per qualsiasi skill coach NBA. Se il potenziale non manca e il minutaggio verosimilmente nemmeno, forse Isaac non diventerà mai la pietra angolare su sui costruire una squadra da titolo. Non sembra possedere un innato feeling per il gioco, è piuttosto skinny e il mindset offensivo è tutto lì da costruire. In ogni caso, ai Magic non interessa particolarmente vincere quest’anno, nonostante la panchina sia stata migliorata. Oltre che Isaac (difficile parta in quintetto tra Gordon, Vucevic, Ross e Biyombo, perché sì, Isaac può giocare sia da centro che da 3 in determinati contesti) i Magic hanno aggiunto Shelvin Mack, Jonathan Simmons, Arron Afflalo, MoBuckets Speights, a fronte della perdita di Jeff Green e Jodie Meeks. Questi cinque giocatori costeranno solo 20,8 milioni, niente male per un supporting cast di livello decente, che tra l’altro potrà contare anche su D.J. Augustin, Bismack Biyombo e Mario Hezonja.

Sul finire della scorsa stagione (per precisare: dopo l’emergency trade per disfarsi di Ibaka) il quintetto dei Magic è stato composto da Payton, Fournier, Terrence Ross (arrivato dai Raptors nel mentre), Aaron Gordon e Vucevic. Che potrebbe sembrare un quintetto da bassifondi NBA, in realtà è il decimo dopo la pausa per l’ASG. Quando questo quintetto è sceso in campo (quasi 410 minuti) il +/- dei Magic è stato +28. Che non è male (14esimo quintetto NBA tra quelli che hanno giocato almeno 250 minuti), ma pure il quintetto dei Lakers ft. Mozgov e Deng è molto migliore. I dati, inoltre, possono essere viziati dal fatto che queste partita sono occorse sul finire di stagione (lo stesso quintetto dei Magic è 1° per Pace, quello di GS può accompagnare solo al secondo posto). Anno scorso, i Magic erano il secondo peggior attacco (solo i Sixers avevano un OffRtg inferiore) e i peggiori in assoluto per Adjusted Net Rtg, pure sotto i Nets. Una squadra, i Magic di Febbraio-Aprile 2017, che non va poi così male nel quintetto base, ma poi subisce una drastica scottata quando inizia il valzer delle sostituzioni. Una delle cause è da riscontrare nel lentissimo se non fallace processo di maturazione di diversi giocatori e nella pessima scelta di quelli di contorno (qualcuno ha detto Jeff Green?)

“Focused on the game” ma anche “Fraté mettici la cipolla”.

É difficile crederlo, ma i Magic hanno un solo giocatore tra i migliori 50 di tutta la NBA? No, scrivono qui. E tra i migliori 75? Mah, forse. La scelta di dare quei soldi a Biyombo e Fournier sta già stritolando Orlando come un cobra: disfarsi di loro potrebbe costare una prima scelta molto pregiata o qualche giocatore appetibile sul mercato (vedi Lakers-Nets con Mozgov-D’Angelo Russell). Nessun giocatore dei Magic è in un contratto particolarmente favorevole nel lungo periodo per la franchigia (rookie a parte, ovviamente) e di tanti si aspetta non senza timore la fine. Nikola Vucevic, ad esempio, è sì il centro titolare di questa squadra da ormai sei anni, ma nonostante abbia sempre finito stagioni in doppia-doppia non si è mai innalzato a quella figurata carismatica, di leadership, di cui una squadra così avrebbe tanto bisogno. La sua miglior stagione rimane la 2014-2015 sebbene la carta d’identità indichi un (variabile) ingresso nel prime solo adesso. Così come per Terrence Ross, giocatore particolarmente esplosivo che quindi rischia di diventare lento, vecchio e in ultima istanza inutile in breve tempo, Vucevic esplorerà il mercato nell’estate 2019. Ora come ora non costano ai Magic un occhio della testa (12,5 Vuc; 10,5 TR31), ma – gedanken-experiment – se Vucevic e Ross fossero nel 2019 i giocatori che conosciamo oggi, quanto sarebbero stati disposti a (stra)pagare i Magic pur di non vederli andare via gratuitamente?

Come sta andando la crescita di Elfrid Payton, riassunto tratto dalle Cronache della Summer League di Orlando di qualche annetto fa.

Dopo 3 anni NBA, il prodotto di Louisiana Lafayette non sta migliorando nella cosa gli più gli viene chiesta: ampliare il proprio range di tiro. Un playmaker che non è pericoloso palla-in-mano fatica almeno il doppio a creare vantaggi per i propri compagni. Payton ha sì aggiustato di diversi punti percentuali la mira dalla lunetta (70% scorsa stagione), ma nonostante la giovane età (due anni più giovane di Brogdon) non sembra avere enormi margini di crescita. La sua situazione contrattuale, peraltro, è incerta: nell’estate 2018, Orlando gli sottoporrà una Qualifying Offer. Se Payton accetta, quinto anno ai Magic e poi si tuffa nella free agency. Se non la accetta, potrebbe sempre accordarsi altrimenti con Orlando, ma anche obbligare i Magic a pareggiare eventuali offerte altrui. Il recente esempio di Allen Crabbe ha palesato una volta di più che occorrono i guanti nel pareggiare offer sheets. (A dir la verità, Payton e Gordon potrebbero firmare un’estensione entro il 16 Ottobre, ma non accadrà, e potrebbe essere la restricted free agency più squattrinata degli ultimi anni – la prossima – a dettarne il prezzo).

Aaron Gordon è in una situazione contrattuale identica e anche dal punto di vista tecnico è ancora tutto da decrittare. Dall’ultima stagione è uscito che da ala piccola (posto che nella NBA moderna ci siano ancora tali distinzioni) non può giocare e il suo 29% dalla lunga distanza non è nemmeno tenuto in considerazione dagli avversari. Atleta pauroso, ma rimbalzista da rivedere. Ottimo nei pressi del ferro, altalenante dalla lunetta. Tra i giocatori con almeno 300 tentativi nell’ultima stagione nel raggio di 5 piedi (un metro e mezzo) dal canestro, Gordon è nono in NBA, davvero un ottimo risultato se si tiene a mente quanto poco se lo filano le difese avversarie.

Il problema dello spacing, l’avrete capito, alloggia ad Orlando da più di qualche mese. Una delle persone da seguire nel giro, Nick Sciria, ha provato a quantificare tutto ciò attraverso lo Spacing Rating. Al link troverete alcune squadre che secondo il modello statistico di Sciria aprono bene il campo (le prime due sono due quintetti Warrios, guarda un po’) e altre che non troverebbero spazio per un tiro pulito nemmeno nel deserto. I due quintetti considerati di Orlando ristagnano nei bassifondi della classifica, meglio solo di qualche schifezza con Taj Gibson e Rondo o Oladipo e Roberson. Ne la premiata serie tv che spopola ad Orlando, #LaMorteDelloSpacing, il contributo di Simmons e Mack è tanto incerto quanto è un’ottima presa Afflalo (i vecchi amori, ogni tanto, ritornano). E ricordate il quintetto di prima, quello con Ross al posto di Ibaka sul finire di stagione? Ecco, dei 33 quintetti della passata stagione con almeno 250 minuti assieme quello dei Magic è 20esimo nella differenza tra eFG% prodotta e quella concessa. Il numero è leggermente negativo. Traduzione? Il quintetto dei Magic tira sempre un filino peggio degli avversari. Cosa fare? Mettere sotto contratto tiratori, dare minuti a Fournier quando non è l’unica risorsa offensiva. Cosa non fare:

Mettere la Marisa in quintetto. Eppure, come diceva quel famoso filosofo, non di solo spacing vive una squadra NBA. Si vive anche per chicche di Nonna Marisa.

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Michele Pelacci

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