Punti forza e punti deboli
Porzingis, sempre Porzingis, fortissimamente Porzingis. Se vogliamo pensare a ciò che di meglio si trova in casa Knicks, non possiamo non aprire il discorso con il lettone. In una lega che va verso lo sviluppo di giocatori sempre più all around, che superino la vetusta concezione di specialismo puro per ruolo per poter essere in grado di incidere in più aspetti del gioco possibile, il sette-piedi baltico è uno dei poster boy per il mantra del basket del futuro. Solo 22 anni per un ragazzo già definito Unicorno per le sue caratteristiche: capacità di mettere la palla a terra come un esterno, range di tiro esteso fuori dalla linea da tre punti, braccia lunghe che gli consentano di tirare sopra la testa dei propri marcatori creandogli di fatto puntuali mis-matches col difensore di turno in attacco; associando il QI cestistico alle lunghe leve inoltre è intimidatore nella metà campo difensiva, dove sfoggia un ottimo tempismo anche nelle stoppate in aiuto.
Proprio sul filo di lana, con la cessione di Carmelo Anthony concretizzatasi solo il giorno prima dell’inizio del training camp, con una stasi provocata nella costruzione sul mercato del team post-Melo, è arrivato quello che presumibilmente andrà a far coppia con il lettone nel frontcourt: Enes Kanter, in arrivo da Oklahoma City, è in grado di assicurare tanti punti per i suoi offensivamente quanto agli avversari con cui è coinvolto difensivamente. I due europei quindi si ritrovano a comporre uno strano duo di intercambiabili in attacco, dove entrambi alla taglia capitalizzata in post basso aggiungono un range di tiro molto elevato e in generale la capacità di giocare fronte a canestro, tralasciando una consistenza difensiva non certo massima, tanto più nell’epoca del gioco caratterizzata dallo small ball.
Abbandonati i sogni di gloria (ai quali credeva in verità il solo Derrick Rose) nella seconda parte della scorsa stagione, cambiate le rotazioni fornendo più spazio ai giovani, si son distinti altri ragazzi da cui ripartire. Nel frontcourt Willy Hernangomez ha iniziato a mostrare flashes di consistenza nella lega, collezionando quasi una doppia doppia di media con 11,5 punti e 9,2 rimbalzi dopo lo scorso All Star break che gli ha permesso di soppiantare definitivamente Noah nella rotaazione. Confermato anche Kyle O’Quinn, la cui solidità è un valore che torna sempre buono durante le pieghe delle logoranti stagioni NBA. Per energia e voglia di lottare, “Irish Black Santa” risponde sempre presente (a volte anche troppo). Relativamente al backcourt, qualche progresso è stato mostrato da Ron Baker e Mindaugas Kuzminskas, icone cult delle tribune del Madison Square Garden. Il primo, col suo look retro e la sua voglia di non mollare, idolatrato dagli esigenti tifosi newyorkesi dalla gara di gennaio, una delle poche occasioni avute dal ragazzo, in cui nel quarto quarto è stato protagonista della rimonta sui Bucks. Per quanto riguarda il lituano, la sua versatilità negli spot di ala gli consente di giostrare in più posizioni; d’altro canto, le statistiche collezionate nello scorso anno proiettano il suo fatturato a ottimi 15,1 punti a gara su 36 minuti:
Gli highlights della stagione del più grande degli Hernangomez.
(Non avete mai sentito parlare degli Hernangomez? Beh recuperate subito, perché sono loro il nuo duo spagnolo che farà sognare la NBA, altro che i Gasol)
In estate inoltre è stato aggiunto Tim Hardaway Jr, ragazzo già visto in quel della Grande Mela nei suoi inizi, affermatosi poi in quel di Atlanta dove ha concluso l’ultima stagione con la sua miglior produzione della sua carriera, da 14,5 punti a gara, affermandosi quale tiratore dal 35,7% da 3 punti e pronto a fornire una ragguardevole terza opzione offensiva. Col suo arrivo, scivola in panchina il giocatore che precedentemente portava in dote quelle caratteristiche, con un Courtney Lee che, solido veterano, diventa addirittura un lusso partendo ora dalla panchina alla quale fornisce un upgrade di livello.
Altra menzione per l’aggiunta di Michael Beasley, con l’ennesimo tentativo di veder esplodere il suo talento. Le premesse con la sua richiesta di rispetto sembrerebbero buone, se non che i fallimenti son stati tali per cui la sua redenzione sarebbe un jolly davvero troppo fortunoso per crederci davvero.
Non troppo diversa la sua situazione da quella di Doug McDermott, ala nella perenne condizione di ultima occasione per dare una sterzata alla carriera, alla sua terza squadra in quattro stagioni, con un tiro spettacolare non supportato dalla trasposizione dell’efficacia del suo gioco a livello universitario nel contesto più provante fisicamente della NBA.
Infine, con l’ottava pick al draft i Knicks hanno deciso di puntare sul francese Ntikilina. Secondo giocatore più giovane del draft, il diciottenne francese risulta essere un investimento a lungo termine per gli spot di playmaker e guardia quando ancora, nello stesso ruolo, erano ad esempio disponibili Malik Monk o Dennis Smith Jr, sicuramente migliori scorer dell’europeo e dalla maggior produzione ad inizio carriera. L’idea è di puntare su un fisico che, con maggiore apertura alare dei primi due, consenta di aggiungere contributo in fase difensiva, il punto debole dell’intero ventunesimo secolo per i Knicks. Con l’ingaggio del veterano Ramon Session e quello di Jarrett Jack, quale mentore per il francese, potrebbe non essere il titolare nello spot di playmaker, almeno all’inizio, ma alla lunga l’idea è quello di consegnarli uno dei posti nel back-court di presente e futuro col ragazzo a lavorare sodo per l’obiettivo.
Il problema, tuttavia, resta sul tema più importante, ovvero l’assemblaggio di tutti questi pezzi. Parlando ad esempio di costruzioni Lego, il galeone dei pirati è un pezzo stupendo, il castello medievale è una struttura magnifica e l’astronave spaziale è una costruzione straordinaria; messi sullo stesso piano, però, l’effetto che generano non è pari alla somma dei singoli, anzi è di sola confusione generata sullo scenario.
Questa è la sensazione imperante nel valutare i Knicks, a bocce ferme e nel susseguirsi via via delle stagioni che presentano puntualmente sequenze di eventi dai tratti comuni. Perché la franchigia ha subito la situazione di Carmelo Anthony piuttosto che spendersi attivamente per guadagnarne il massimo possibile rispetto alle necessità del roster, o comunque per prendere una posizione netta sulla vicenda; di conseguenza, ciò che è arrivato in cambio non è il frutto di precise scelte di natura tecnico-tattica ma della necessità di liberarsi di Melo ad ogni costo, badando meno al valore della contropartita.
Ad esempio, partendo dal pezzo più pregiato dello scambio con i Thunder: sicuri che il turco rinnegato Kanter, colui ad aver sposato più di tutti insieme a Westbrook e Adams la causa della OKC post-Durant la scorsa stagione, sia proprio felice della nuova destinazione?
C’è ancora difficoltà a salutarsi con l’urlo “Knicks” alla fine del suo camp, meglio un generico “family”!
In quest’ottica confusionaria si può vedere anche l’ingaggio di Tim Hardaway Jr; il ragazzo fu scambiato nella nottata del draft 2015 con Phil Jackson sul ponte di comando per Jerian Grant, successivamente entrato nella trade per Derrick Rose, nonostante un solido contributo di 10,8 punti per gara, con il 40,8% dal campo e una difesa individuale in miglioramento. Col passaggio agli Hawks è sicuramente migliorato, tuttavia il contratto quadriennale di 71 milioni di dollari sottopostogli da Perry sembra un pò elevato; se invece paragonato al quadriennale di 6,1 milioni di dollari con cui andrò via dai Knicks, è semplicemente spropositato ed illogico.
Come altro testimone dei danni sul navigare a vista si può chiamare in causa proprio Noah, rimasto ormai come macigno sul cap del quale, per liberarsi, si spera solo sulla compassione degli altri front office della Lega, a meno del sacrificio di un pezzo importante, fortemente sconsigliato se si ha l’intenzione di costruire un qualsiasi progetto che regga per più di tre mesi: sommando il suo contratto, quello di Hardaway e quello pesantissimo di Kanter, si tratta probabilmente del trio dal maggior peso sul cap di una franchigia rispetto all’effettiva produzione in campo.
Una mancanza di direzione certa che potrebbe finire per stritolare i giovani, i quali alla ricerca di una identità potrebbero non esprimere a pieno il loro potenziale, rivelandosi improduttivi oltre i loro demeriti proprio come la vicenda Hardaway insegna; ad esempio, voci sussurrano come buona parte delle motivazioni legata alla presa di Ntikilina fosse la sua possibilità di adattamento all’attacco triangolo, ora non più nei piani tecnici newyorkesi.
La speranza è che coach Hornacek, ormai libero di vincoli nella gestione dei propri uomini, possa portare le idee di uptempo offense che tanto credito gli avevano fatto guadagnare nelle stagioni a Phoenix; d’altro canto, disporre di uno stretcher del campo come PorzinGod in posizione di “quattro” o addirittura di “cinque” e una batteria di giocatori con buone propensioni ad allargare il campo, col loro tiro da fuori, potrebbe fornire valide armi ad un approccio basato su un ritmo più alto di azione. L’ambiente della Grande Mela, con le sue pressioni sull’esigenza di dare finalmente un senso alle stagioni, non è il massimo della tranquillità ma Jeff, se non navigato come coach, potrebbe attingere alla tempra che da ex All Star lo contraddistingueva in campo. Tutto sommato, comunque, per Mills e Perry resta un bel lavoraccio da fare…