Sacramento Kings

Sacramento Kings Preview: dalle ceneri alla rinascita?

Dove eravamo rimasti?

Dopo i cuori spezzati dall’impresa del titolo non realizzata degli spettacolari Kings di Webber, Stojaković, Divac e del maestro Adelman, il team viola si è preso di forza nell’ultima decade il non ammirevole primato di squadra peggio gestita dell’intera NBA. Affidarsi come uomo franchigia al più bizzoso giocatore fra i migliori 15 giocatori della Lega, esporre idee bislacche direttamente dalla bocca del proprietario Ranadivé – quali il difendere in 4 per lasciare un giocatore in attacco sempre sotto canestro, effettuare trades sempre ottenendo meno di quanto ceduto -, scegliere al draft ogni anno qualche lungo quando l’unica certezza della squadra restava Cousins, cacciare dopo buoni risultati coach Mike Malone che era stato l’unico ad aver costruito un rapporto costruttivo con lo stesso DeMarcus: in quel di Sacramento non se ne sono risparmiati una.

L’affido della poltrona di comando allo stesso Vlade, protagonista di quel team all’apice ad inizio degli anni 2000, sembrava una mossa che non avrebbe migliorato la situazione, vista la trade che aveva visto la cessione di Cousins per ricevere un pacchetto non ritenuto all’altezza (dopo la candida ammissione di aver rinunciato ad un’offerta migliore solo due giorni prima): d’altro canto si tratta sempre dei Sacramento Kings…

Tuttavia, proprio da quella sterzata netta nella storia della franchigia, con la cessione dell’unico All Star e miglior giocatore per distacco del team ha portato ad un passo ben più concreto verso la ricostruzione di una versione perlomeno competitiva della squadra.

La sperimentazione dei vari giovani è difatti stata accelerata, i ragazzi hanno trovato maggiore spazio sul campo e responsabilità nei possessi; sotto la guida del competente coach Joerger, numeri interessanti sono arrivati da Willie Cauley-Stein, dopo una parte di stagione a scaldare la panchina dopo la selezione al numero 6 assoluto del draft di soli due anni prima, da Skal Labissiere, che dopo le altissime aspettative in uscita dal college sembra aver superato il brutto anno da freshman giocato a Kentucky che gli costò una chiamata più alta al draft 2016, da Buddy Hield, che probabilmente non sarà il nuovo Stephen Curry come pronosticato dal suo presidente, ma è sicuramente uno degli esterni da cui ripartire e addirittura qualche lampo da Giōrgos Papagiannīs, il ventenne centro greco che, a sorpresa, venne selezionato con il numero 13 nel draft del 2016, quando era prospettato a inizio secondo giro, provocando la famigerata reazione di Cousins appena dopo la scelta:

 

Punti forza e punti deboli

Divac sembra proprio aver studiato bene il manuale delle best practices per la ricostruzione delle fondamenta di una franchigia.

Si è liberato di veterani anche con un certo appeal quali Tyreke Evans o Tj Lawson, incassando un rifiuto di prolungamento di contratto da parte di Rudy Gay (risposta però ampiamente pronosticata dalle dichiarazioni del giocatore nel corso della sua militanza in maglia viola) individuando i pochi punti fermi dai quali ripartire.

Andando nel dettaglio dei ragazzi già menzionati, esplosi dopo l’All Star Break che ha visto la dipartita di Cousins, si nota Hield, dopo un brutto inizio di carriera in quel di New Orleans, con soli 8.6 punti con il 39.3% al tiro, in 25 gare da King ha messo a segno 15.1 punti col 48% al tiro;

Career high di 30 punti contro Phoenix (11-04-2017)

 

la produzione di Labissiere, se proiettata ai 36 minuti di utilizzo, gli avrebbe fruttato 17.0 punti e 9.5 rimbalzi a gara con il 53.7% dal campo;

Career high di 32 punti e 1 rimbalzi contro Phoenix (15-03-2017)

 

Cauley-Stein da dopo la trade di Cousins è passato a 10.6 punti di 10.6 e di 6.6 rimbalzi a partita, con 32 minuti di utilizzo a nottata;

Career high di 29 punti e 10 rimbalzi contro Denver (23-02-2017)

 

Papagiannīs, nelle 15 partite su 16 giocate nell’ultimo scorcio di stagione (dopo le sole 7 presenze nelle precedenti 66) è andato in doppia cifra per punti realizzati per 6 volte, mettendo a segno anche un paio di doppie doppie associando i rimbalzi.

Career high di 14 punti e 11 rimbalzi contro OKC (18-03-2017)

 

Quindi, Vlade ha imboccato le due strade con le quali far crescere un nucleo: le aggiunte di altri giovani prospetti, condendo il mix di talenti grezzi con una serie di veterani per far loro da chiocce.

Per quanto riguarda la prima categoria, dal draft la pesca è stata cospicua: sono arrivati De’Aaron Fox, Justin Jackson, Harry Gilles e Frank Mason III.

In ordine di futuribilità, il primo anche nella nutrita schiera di point guards di talento nel draft 2017, si è comunque distinto: Fox, già dipinto come anti-Lonzo Ball, è il giocatore più rapido fra i selezionati risultando in grado di dare da subito contributo sia offensivamente che difensivamente alla causa, aggiungendo anche la leadership con la quale Divac spera possa prendersi il ruolo di playmaker del futuro della franchigia.

Il secondo si propone come collante sul parquet: tiratore dal rapido rilascio e dalla buona versatilità difesiva (per quanto valga, in Summer League si è ritrovato accoppiato sia al play di Dallas Dennis Smith Jr. che all’ala di Phoenix Josh Jackson), a patto che lavori sulla muscolatura può portare quelle piccole cose tanto utili in un contesto di squadra, di contorno alle stelle designate.

Il terzo rappresenta invece una scommessa. Per il solo talento sarebbe valso una chiamata fra le prime 10, dopo che a livello collegiale fu addirittura additato come miglior talento dai tempi di Lebron James; tuttavia una storia costellata di infortuni, con tre operazioni alle ginocchia nonostante abbia appena 19 anni, hanno fatto scivolare in basso il suo nome nel draft, dove i Kings lo hanno pescato con la chiamata numero 20, ottenuta dai Trail Blazers insieme alla 15 (quella con cui è stato selezionato Justin Jackson) in sostituzione della 10 ceduta a Portland.

L’ultimo, anche se sembra uno dei giocatori più NBA-ready dell’intero draft, tenterà di emergere nelle rotazioni, dove parte da terzo playmaker, cercando di guadagnarsi minuti in lineups dalla doppia point guard.

A proposito di rookies: dopo il ritiro dalla lega dei Mambas con quello Black, Kobe Bryant, e quello White, Brian Scalabrine, e quello Red, Matt Bonner, è stato portato quello europeo al di là dell’Oceano. Il White Mamba serbo, Bogdan Bogdanovic, è ora l’esordiente nella NBA con il più alto contratto mai strappato (triennale da 27 milioni). 14.6 punti (tirando con un ottimo 43% dalla linea dei 3 punti), 3.8 rimbalzi, 3.6 assists e 1.1 rubate a gara nell’ultima stagione al Fenerbahce, dove ha conquistato anche l’Eurolega. Per il serbo dopo la scelta da parte dei Suns del 2014 il salto della barricata non è avvenuto subito ma, a suon di responsabilità crescenti in contesti sempre più competitivi nel Vecchio Continente, ha continuato la sua crescita per poter diventare subito un giocatore quantomeno stabilmente da rotazione anche negli Stati Uniti.

 

Vista col senno di poi, la cessione di Marquese Chriss ai Suns, in sede di draft night del 2016, per il pacchetto Labissiere + Papagiannīs + Bogdanovic ha fornito tre prospetti su cui provare ad investire invece di uno solo, che ad ora non sembra di valore così esageratamente superiore alla somma dei tre citati; altra mossa di Divac rivalutata col tempo.

Dal punto di vista delle aggiunte di veterani, invece, i Kings, che con questo ruolo hanno confermato anche Kosta Koufos, hanno messo a segno un terzetto di ottimi colpi: al Golden 1 Center arrivano George Hill, Zach Randolph e Vince Carter.

Il primo è reduce da un’ottima stagione in casacca Jazz, col suo career high di 16.9 punti a gara, frenato solamente dagli infortuni nei momenti topici della stagione; alle lusinghe ha preferito il ricco triennale offerto dai Kings rivelandosi un’addizione di qualità per la franchigia. Al suo fianco, i due fedeli del coach dai tempi di Memphis. Zach Randolph e Vince Carter possono ancora dire la loro in campo e non solo negli spogliatoi: il mancino, nella sua prima stagione da sesto uomo di lusso ha messo insieme numeri ragguardevoli di 14.1 punti e 8.2 carambole catturate a serata, e non avendo mai puntato sulle proprie qualità atletiche, ha dimostrato di essere ancora in grado di far la differenza nonostante l’avanzare delle primavere grazie al suo talento puro; Carter, seppur con resistenza minore, conserva ancora flashes di Vincredible alla veneranda età di 40 anni.

Con una costruzione della squadra così ben gestita, se non nei primi tempi in cui il giovane core dovrà farsi le ossa, i risultati sembrano destinati ad arrivare: quali dubbi aleggiano allora intorno al team? Semplicemente, si tratta sempre dei Sacramento Kings.

Per esempio, già Zach Randolph, noto per un carattere a dir poco difficile, è ricascato in vicende poco chiare venendo arrestato durante l’offseason per possesso di 28,5 grammi di marijuana e resistenza all’arresto. La vicenda gli costerà varie gare di sospensione da parte della lega, non certo il modo migliore per iniziare nella franchigia alla quale è legato da un contratto biennale.

Inoltre, avere a disposizione tanti giocatori di livello simile nei vari spot del quintetto, se in teoria è visto unicamente come vantaggio, potrebbe non essere facile: passare dalla concorrenza che faccia migliorare i contendenti al posto a dualismi che renda scontenti i protagonisti è semplice e la gestione dovrà essere impeccabile per non creare spiacevoli situazioni, proprio di quelle che son sempre abbondate in quel di Sacramento.

A tal proposito, c’è da ricordare come il preparatissimo coach Joerger, uno dei migliori giovani tecnici dell’intero panorama NBA, sia storicamente propenso a preferire giocatori più esperti a scapito di rookies e sophomores; in pratica, la filosofia opposta a quella immaginata per i Kings, per i quali dovrà adattarsi alle linee guida di costruzione del roster.

 

Scenario Migliore

Se i primi sette posti per l’accesso ai playoffs della Western Conference sembrano già appannaggio di squadre sulla carta superiori, nella lotta fra quasi tutte le altre per l’ottavo posto la spuntano risicati i Kings; il loro progetto emerge grazie a coerenza e lavoro del coach e dello staff tecnico, venendo premiato un pò oltre le aspettative per il crollo di qualche altra contendente all’ultimo spot per i playoffs assortita con un piano meno strutturato.

 

Scenario Peggiore

Le tappe dello sviluppo sono più lente del previsto: i vari giovani non si integrano, cercando la competizione fra loro per stabilire la nuova primadonna della franchigia piuttosto che una collaborazione . Di conseguenza, interviene Ranadivé puntando sui ragazzi problematici e cacciando quelli che danno il miglior contributo alla causa. Non dimentichiamo che si tratta sempre dei Sacramento Kings…

 

Pronostico

Premettendo di essere un altro degli amanti della compagine di inizio secolo, al di là del piazzamento raggiunto in questa stagione, credo che le mosse effettuate dal team siano effettuate in una giusta direzione e, nell’ammontare tanti ragazzi di buona prospettiva, alla lunga son quasi sicuro che qualche cosa di buono alla fine salterà fuori. Questa stagione pare prematuro, la squadra dovrebbe raggiungere all’incirca lo stesso numero di vittorie della scorsa stagione, intorno alla trentina, ma con un rendimento in crescendo che ponga le basi per periodi migliori e non rappresenti il massimo raggiungibile con questo core. Dicevo, “quasi” sicuro: ve l’ho già detto che si tratta sempre dei Sacramento Kings?

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Pubblicato da
Marco A. Munno

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