Punti forti e Punti deboli
Punti di forza. Oppure, detto in altro modo: quali sono le condizioni necessarie – ma non sufficienti – atte a fare in modo che i Pistons non ripetano lo scempio dell’anno scorso?
Il punto di partenza indispensabile non può che essere la difesa, unica nota parzialmente positiva nel marasma generale della stagione passata, che i Pistons hanno chiuso al settimo posto per punti concessi agli avversari (102.5 punti a partita) e all’undicesimo per Defensive Rating (105.3 punti concessi su cento possessi). Dati in ogni caso non straordinari ma che comunque sostanziano una base grossomodo solida sulla quale, quest’anno, si tenterà di costruire una struttura ancora più stabile (ve lo ricordate il “fucking wall”, no?).
I discreti numeri in questione si manifestano tramite un sistema ben assemblato da Van Gundy che prevedeva un core di giocatori in grado di sopportare senza grosse preoccupazioni quasi tutti i cambi difensivi grazie ad un’ottima combinazione di centimetri, piedi rapidi e braccia lunghe (Caldwell-Pope, Morris, Johnson, Harris). Ecco, da questo punto di vista non sembrano esserci grandi preoccupazioni a seguito dei due addii visti sopra; se infatti è relativamente certo che Avery Bradley non farà rimpiangere Caldwell-Pope sul perimetro (dove comunque Detroit se la cava già relativamente bene visto che ha il terzo miglior dato per tiri subiti tra 20-24 piedi), altrettanto sembra potersi dire anche nell’ottica dell’addio di Marcus Morris, che verosimilmente vedrà scalare in quintetto quella che potrebbe essere la vera chiave di volta della stagione di Detroit: Jon Leuer.
Il nativo di Long Lake, peraltro, aveva rischiato di entrare nello starting five già a dicembre scorso, quando Van Gundy, dopo la sconfitta disastrosa contro Chicago, voleva preferirlo a Harris proprio per avere più solidità nella sua metà campo (“Every lineup he’s in defends better than the lineup he’s not in”). Un incidente stradale avvenuto la mattina della partita lo aveva però rispedito in panchina, luogo in cui – e qui risiedono i dubbi maggiori per quanto riguarda il suo cambio di ruolo – sembra trovarsi molto più a suo agio, come indicano il suo Net Rating (+1.5 quando off the bench, -6.4 come starter) e la sua true shooting percentage (58.6% uscendo dalla panchina, 51.3% come titolare). In ogni caso, dalla sua tenuta difensiva e da un (netto) miglioramento delle sue percentuali al tiro (29% da tre punti) passerà molto della stagione dei Pistons.
Trasformare l’acqua – sporca, sporchissima – in vino d’annata: esegue Jon Leuer from the corner. Nota tecnica: immaginate se, ogni volta in cui viene raddoppiato, Drummond riuscisse a servire in maniera dignitosa i suoi compagni sul perimetro e questi tirassero con percentuali quantomeno accettabili…
Altri punti di forza sui quali i Pistons dovranno continuare a battere con costanza sono poi rappresentati, primo, dall’abilità nel riuscire a perdere pochi palloni (11.9 palle perse a partita, terzo miglior dato nella Lega e 12,1% di TOV%, secondo migliore) e a concedere quindi pochi punti in transizione veloce (primi per punti concessi da turniover con soli 12 punti concessi a gara). Inoltre, nel riuscire a risultare vittoriosi nella lotta a rimbalzo su entrambi i lati del campo, garantendosi numerose seconde chance in attacco (11.8 rimbalzi offensivi e 13,7 punti da seconda chance, ottavi in entrambe le statistiche) e limitando quelle degli avversari (10,1 a partita, sempre primi), grazie alla spaventosa percentuale di 81,2% rimbalzi difensivi a partita, primi per distacco. Da aggiungere c’è ancora che ben più di un quarto del totale cade nelle enormi mani di Andre Drummond; eppure, nonostante questo, mi sa che vi conviene aspettare ad esaltarvi.
Perché adesso arrivano le note dolenti. Ora, per rendersi conto del primo punto debole di Detroit basterebbe semplicemente recarsi a vedere una delle loro partite con un amico, chiudere gli occhi e farsi avvisare ogni volta che hanno palla, per poi limitarsi ad assaporare la delicata sinfonia creata da tutti i ferri che riescono a distruggere in ogni dove. I Pistons, infatti, sono stati sì la prima squadra per tiri tentati nella passata stagione, il problema è che sono stati un disastro, da qualsiasi posizione. Da tre punti con il 33% (28esimi), da dentro l’area con il 44,9%(23esimi); perfino dalla lunetta sono ventinovesimi con un misero 71% figlio del penoso 38% di Andre Drummond. Proprio in questa prospettiva allora possono accogliersi con enorme favore gli arrivi nella Mo-Town di gente come Bradley (46% dal campo lo scorso anno, con il 39% da tre), Tolliver e del rookie Luke Kennard, tiratore straordinario in uscita dai blocchi dotato anche di un ottimo ball-handling e di un QI cestistico decisamente sopra la media.
Così rende sicuramente meglio l’idea.
Ed è proprio parlando di QI cestistico che arriviamo, a questo punto, a trattare di quelli che – quantomeno per il peso e le aspettative all’interno della squadra – non possono che identificarsi come i primi responsabili del fallimento della scorsa stagione: Reggie Jackson e Andre Drummond.
Partendo dal primo, una considerazione iniziale appare doverosa: chi scrive non crede – e non vuole credere – che il nativo di Pordenone sia davvero il giocatore visto l’anno scorso, e per convincersi pone alla base di questo assunto la prima ottima stagione e mezza giocata nel Midwest, l’aver sopportato un infortunio fastidioso come la tendinite al ginocchio e l’aver forse affrettato eccessivamente i tempi di recupero. Posta la premessa, però, un ragionamento va fatto, perché l’ultimo Jackson ammirato a Detroit non solo può tranquillamente essere considerato un punto debole, ma è un giocatore inservibile e assolutamente dannoso all’interno di qualsiasi squadra.
Ora, voi immaginate di essere Caldwell-Pope in quel preciso istante…
Il labiale lo capite benissimo da soli
Le statistiche, infatti, questa volta sono impietose: considerati tutti i giocatori della lega con uno Usage rate uguale o superiore al 25%, almeno 20 minuti di utilizzo e 50 partite giocate, Jackson risulta avere la terza peggiore percentuale dal campo effettiva (46.8%), la quarta peggiore true shooting percentage (51%), la quinta peggior efficienza difensiva (110,5 su 100 possessi) e pure la seconda peggiore offensiva. La ciliegina sulla torta è poi il secondo peggior Net Rating (-8.8); nel caso ve lo steste chiedendo il primo è di Brandon Knight che però 1) non è il playmaker titolare della squadra in cui gioca, 2) nessuno ha eletto a go-to-guy in quel di Phoenix e soprattutto 3) è Brandon fuckin Knight.
Ora, quindi, il primo punto fondamentale sta proprio qui. Sul pick and roll Jackson-Drummond si poggiano tutte le speranze dei Pistons che, senza il loro playmaker in forma smagliante, sanno di non poter nemmeno lontanamente sognare i playoffs. Al contempo, però, un Jackson come quello dell’anno scorso semplicemente è meglio non averlo(non a caso, prima del suo rientro, con Ish Smith – Ish Smith, non Chauncey Bilups – i Pistons viaggiavano con un record di 11-10). Perché non difende, non fa girare la palla (6 secondi fermo immobile nell’angolo, sei), accentra spaventosamente il gioco ignorando i compagni e forza troppo. Per capirci: fare la combo guard, senza essere Damian Lillard.
Capitolo Andre Drummond. Qui il discorso è analogo al precedente se considerate le alte aspettative dell’ambiente intorno al giocatore, e la delusione conseguente alla scorsa sconfortante stagione. Differisce però sotto un aspetto non trascurabile: Drummond, l’anno scorso, di partite ne ha giocate 81, e l’attenuate del rientro dall’infortunio per lui non c’è.
Ora, anche qui le cifre – se escludiamo il dato positivo riguardante i rimbalzi – raccontano tutto: minutaggio più basso dal suo anno da rookie (sì, lo sappiamo che la Lega è cambiata etc etc, però è comunque significativo), carrier low per efficienza difensiva, una misera stoppata a partita (su un dato altrettanto misero di squadra che si assesta a 3,8 blocks per game) e, più in generale, una sistematica – e sempre più preoccupante – incapacità di difendere sia in situazioni di pick-and-pop (o comunque ogni volta che l’attaccante si apre per ricevere) che di pick-and-roll, nelle quali quasi sempre finisce per ritrovarsi in quella indesiderabile situazione nella quale o sei troppo lontano da canestro – e troppo lento – per evitare la penetrazione dell’attaccante avversario o sei troppo sotto il ferro e concedi all’avversario un pull-up semplice semplice – non a caso i Pistons sono rispettivamente primi(9.6) e quarti(7.4) nel computo dei tiri subiti tra 5-9 piedi e tra 10-14.
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