Punti di forza e punti deboli
Il trasferimento di David Joerger in California non ha impedito ai Grizzlies di servire agli avversari la specialità della casa: una fase difensiva impostata magistralmente. Complice la presenza di interpreti di altissimo livello, di cui l’esempio più calzante è senza dubbio quello dell’ormai ex Tony Allen, la squadra di coach Fizdale ha fatto registrare un ottimo 104,5 di Defensive Rating, che fa della difesa dei Grizzlies la settima migliore dell’intera lega. Se la difesa riesce a complicare i piani degli avversari, i meriti non sono certo del solo Allen: il troppo spesso sottovalutato Mike Conley, salito agli onori della cronaca per aver firmato il primo contratto della nuova età dell’oro cestistica, al netto degli infortuni è un giocatore in grado di offrire solide garanzie tecniche in entrambe le metà campo, così come Marc Gasol, che nonostante un atletismo non certo invidiabile rifila 1,3 stoppate a partita a chiunque si trovi nei suoi paraggi.
Se da un lato della medaglia troviamo una difesa di tutto rispetto, nel lato oscuro si cela una fase offensiva che non fa certo faville, anche a causa di problemi strutturali e anagrafici. Come già accennato in precedenza, la carta d’identità non fa sconti a nessuno. La squadra dello scorso anno non aveva nulla da invidiare alle altre in termini di esperienza, ma era costretta a pagare dazi tremendi dal punto di vista della prestanza atletica: solo 94,74 possessi gestiti in media a partita, dato che catapulta i Grizzlies al poco invidiabile ventottesimo posto della lega in questa particolare classifica. Con l’addio dei tre veterani e il conseguente arrivo dei più giovani McLemore, Evans e Chalmers la situazione dovrebbe migliorare, ma si tratta comunque di un aspetto su cui lo staff tecnico dovrà lavorare. Attenzione: come dimostrato dal primo posto in solitaria detenuto dai Brooklin Nets, non è detto che alzare il ritmo sia sinonimo di successi, ma se squadre del calibro di Warriors e Rockets si trovano a gestire mediamente quasi dieci possessi in più è chiaro che ad aumentare sono anche le probabilità di trovare la via del canestro. Anche le conclusioni dalla linea da tre punti, vero e proprio leitmotiv della pallacanestro moderna, lasciano decisamente a desiderare: con un deludente 35,4% Memphis è tra le squadre che sfruttano peggio il tiro pesante (pur tentando 26,5 triple a partita) e il vantaggio di aver potuto sempre contare su un reparto lunghi in grado di attirare le attenzioni delle difese avversarie. In questo senso, sarà di vitale importanza facilitare l’inserimento nei meccanismi di squadra di discreti tiratori come Tyreke Evans e Ben McLemore, che potrebbero ridare vigore ad un backcourt troppo spesso ritrovatosi con le polveri bagnate sul più bello. Tuttavia, non bisogna dimenticare che, seppur a buon mercato, i due ex Kings rappresentano poco più che delle scommesse: reduci da stagioni profondamente deludenti, i due sono chiamati alla stagione del riscatto, sperando che l’aria del Tennessee riesca a trarre il meglio da due promesse mai realmente sbocciate.
Tornando alle note liete, un altro potenziale punto di forza degli Orsi del Tennessee è rappresentato dall’auspicatissimo recupero, fisico e mentale, di Chandler Parsons. L’ex ala dei Mavericks doveva essere il colpo della scorsa estate, ma a causa dei problemi fisici che lo tormentano sin dalla stagione da rookie (non è mai riuscito a giocare tutte le partite di una stagione) non ha dato il contributo che tifosi e addetti ai lavori si aspettavano. Per fisico e caratteristiche tecniche Parsons è il giocatore ideale per facilitare la transizione dal basket old school venerato a Memphis ad una pallacanestro più veloce e moderna, ma bisognerà fare i conti con la dea bendata e con una preoccupante propensione all’infortunio. A questo proposito, andranno monitorate anche le situazioni legate ai problemi fisici dei vari Conley, Gasol ed Evans, anch’essi con una discreta familiarità con l’infermeria.