Dove eravamo rimasti?
Se dovessimo individuare una squadra orgogliosamente anacronistica nell’NBA dei nostri giorni, la scelta ricadrebbe senza alcun dubbio sui Memphis Grizzlies di coach Fizdale. L’addio di David Joerger, colui che nei 10 anni trascorsi nello staff tecnico dei Grizzlies aveva contribuito a plasmare quel mantra controcorrente che risponde al nome di Grit & Grind, non è bastato per rivoluzionare una squadra ancora ancorata a una certa concezione del basket, in un’era in cui recitare la parte di quelli brutti, sporchi e cattivi non è più sufficiente per andare avanti nell’infernale Western Conference. E questo non certo perché David Fizdale, accasatosi in Tennessee all’inizio della scorsa stagione dopo l’esperienza da vice Spoelstra a Miami, non abbia apportato cambiamenti agli schemi dei Grizzlies: dopo anni di onorata carriera, Zach Randolph si è suo malgrado accomodato in panchina per tutta la regular season, lasciando a JaMychal Green – fresco di rinnovo contrattuale – il suo posto in quintetto e la pressione che ne consegue, salvo poi essere riesumato in occasione della serie contro gli Spurs. Tuttavia, nonostante la retrocessione di Z-Bo a leader della second unit, la squadra è sembrata piuttosto restia ad abbandonare quell’aggressività e quello stile di gioco che da anni ormai contraddistinguono Gasol e compagni, un po’ come se il Grit & Grind fosse ormai entrato a far parte del Dna dei Grizzlies.
Scatti di un passato neanche troppo remoto (Credits to interaksyon.com)
Nonostante i tanti infortuni che, come da tradizione ormai, hanno tormentato i ragazzi di coach Fizdale, grazie alle 43 vittorie stagionali la squadra è riuscita a strappare il pass per la post-season per il settimo anno consecutivo. Il settimo seed ha portato in dote lo scontro con i San Antonio Spurs al primo turno dei Playoff: Popovich e i suoi ragazzi sono un cliente piuttosto scomodo per chiunque ad Ovest e, come da pronostico, hanno avuto la meglio sui Grizzlies, che sono però riusciti a portare la serie fino a Gara-6 nonostante qualche chiamata arbitrale non sempre condivisa. Archiviata con una punta di rammarico la stagione 2016-2017, la dirigenza non può certo dire di essersi rifatta con gli interessi nel corso dell’off-season: complice una pessima situazione salariale, gli arrivi dei vari Ben McLemore, Tyreke Evans, Mario Chalmers e Ivan Rabb sono state le uniche operazioni che il GM Chris Wallace si è potuto permettere coi pochi (milioni di) dollari a sua disposizione. Tuttavia, seppur indirettamente, il primo vero passo di una rivoluzione ormai divenuta inevitabile è stato finalmente compiuto: Zach Randolph e Tony Allen, veri e propri guru del Grit & Grind, hanno preferito proseguire le loro carriere altrove, così come l’inossidabile Vince Carter, lasciando intravedere la possibilità di intraprendere un percorso che possa allineare i Grizzlies sulle stesse frequenze delle altre ventinove franchigie. È pur vero che a libro paga ci sono ancora i contrattoni di Marc Gasol e Mike Conley, ma Memphis sembra arrivata davvero vicinissima alla fine di un’era. A fare la differenza tra un futuro radioso e un infinito vortice di delusioni saranno la volontà e il coraggio di cambiare direzione: se Fizdale e il suo staff avranno la faccia tosta di voltare pagina, nulla impedirà ai Grizzlies di continuare a stupire.