Dove eravamo rimasti?
Consueta stagione per i Clippers, quella passata lo scorso anno. Regular season positiva, con la cinquantina di vittorie abituale delle ultime campagne e liquefazione ai playoffs, con il solito dazio pagato agli infortuni e il rimpianto di continuare a non affrontare una postseason con il roster a pieno servizio.
Anche le lacune son state quelle classiche: spot di ala piccola titolare al di sotto del resto del quintetto, panchina dal contributo minimo e la sensazione di non essere in grado di reggere psicologicamente i momenti critici.
I Rockets spauracchio e apice dello psicodramma Clippers (credit to pinterest.com)
La differenza rispetto alle solite offseason è che quella appena trascorsa rappresentasse l’ultima chiamata per il core Chris Paul – JJ Reddick – Blake Griffin – Jamal Crawford – DeAndre Jordan: con i primi tre in scadenza e con gli anni a trascorrere irrimediabilmente, ad una Los Angeles che con questo quintetto aveva solitamente ingolfato il cap precludendosi arrivi nelle mancanze strutturali già menzionate era arrivato il momento di fare delle scelte.
Sempre sperando che quelle altrui fossero concordi: perchè gli strascichi di una situazione stagnante di competitività non per i massimi obiettivi aveva già portato i ragazzi da rinnovare alle intenzioni, più o meno dichiarate, di lasciare la squadra per rilanciarsi in altri lidi.
Punti forza e punti deboli
Il punto di svolta da una situazione che sembrava ormai compromessa e avviata è stato rappresentato dal cambio nel front office, con l’arrivo del santone Jerry West direttamente dalla dirigenza dei Warriors. Il quadro dei Clippers repentinamente si chiarisce e le prospettive che sembravano totalmente negative assumono una diversa consistenza.
Anche se la partenza non è buona, con il mancato rinnovo di Redick (arginabile di per sè, vista la monodimensionalità del giocatore) ma soprattutto con la perdita del giocatore più forte della storia della franchigia: Chris Paul annuncia il suo addio a Los Angeles per accasarsi a Houston.
Lì arriva però quello che col senno di poi si rivela il colpo di genio della dirigenza losangelina: ovvero, Chris Paul non saluta da free agent, ma per estinguere una sorta di debito morale coi Clippers che tanto gli hanno dato in questi anni, rinnova il suo contratto per cambiare casacca con una sign-and-trade. Il pacchetto ricevuto in cambio è come ipotizzabile non costituito da primissime scelte, ma da un buon manipolo di comprimari come Patrick Beverley, Lou Williams, Sam Dekker e Montrezl Harrell che comunque rappresentano assets migliori del nulla che sarebbe venuto fuori dal semplice mancato rinnovo di CP3.
Successivamente arrivano anche due splendide notizie dalla free agency: la firma di quella small forward tanto ricercata nelle scorse stagioni, con l’arrivo di tutto rispetto dell’orgoglio azzurro Danilo Gallinari e il tanto atteso, e che ad un certo punto pareva sfumato, rinnovo al massimo salariale di Blake Griffin, che evolve così la sua posizione da secondo violino di extra lusso (primo giocatore nella storia dei Clippers a superare quota 10.000 punti realizzati nella sola uniforme losangelina) a prima punta del team di LA.
La rotazione assume una consistenza già solida, sebbene un pò di dubbi permangono sulle caratteristiche troppo diverse fra il playmaking dall’IQ cestistico sopraffino di Chris Paul e quello muscolare di Beverley; Los Angeles piazza allora l’ultimo colpo ad effetto, andando a pescare il miglior giocatore impegnato nel Vecchio Continente, il quale offensivamente presenta un profilo molto simile a quello di CP3, dal punto di vista delle letture in pick’n’roll per sè, per i rollanti e per le eventuali sponde: ai Clips si accasa il genio serbo Milos Teodosic.
Uno che durante questa preseason sembra già essersi ambientato in quel di LA…
Infine, anche dal punto di vista dirigenziale, con l’ingaggio di Lawrence Frank, coach Rivers viene privato dal ruolo di president of basketball operations per potersi dedicare solamente a quello di allenatore, restituendo alla franchigia autonomia nel decidere anche le sorti del coach; in questo modo, infatti, anch’esso è messo in discussione, togliendo la sorta di intoccabilità garantita dal doppio ruolo prima detenuto dallo stesso Doc.
Il team si ritrova quindi con una formazione sulla carta dal quintetto equilibrato nei cinque ruoli e con una panchina in grado di dare contributo: Jordan – Griffin – Gallinari – Beverley più uno fra “non solo il figlio del coach” Austin Rivers (atteso ad una prova di maturità, sgombrato spazio in rotazione fra gli esterni) e Milos Teodosic compongono uno starting five dalle buone qualità sia offensive che difensive, che una panchina con il perdente del ballottaggio in cabina di regia sommato ad uno dei migliori sesti uomini dell’ultimo lustro NBA, Lou Williams e dagli altri provenienti dalla trade coi Rockets, diventa anche supportato da una second unit che non li obblighi agli straordinari.
Dalla carta però bisogna poi passare al campo, ed è lì che sorgono i maggiori dubbi per quanto riguarda questa versione rinnovata dei Clippers.
Innanzitutto, dal punto di vista della tenuta fisica: i due migliori attaccanti della squadra, a partire dall’uomo di punta del team Griffin per arrivare al versatile Gallo, sono da anni martoriati dagli infortuni. La speranza è che la loro combinazione non sia solo ipotetica ma anche effettiva sul parquet: entrambi rientreranno prima dai rispettivi acciacchi, ma da questo punto di vista l’ipotesi iniziale che entrambi non iniziassero la regular season non fornisce certo una smentita alla tesi della poca consistenza dei due.
Si sommano inoltre i dubbi sulla tenuta di Teodosic: non per la propensione all’infortunio, ma ad una resistenza generale relativamente ad una stagione dai ritmi più alti di quelle a cui era abituato in Europa. Il numero di partite negli anni sostenuti da Milos anche nel Vecchio Continente, fra Eurolega, campionato e Nazionale era parimenti elevato e frenetico; la fisicità degli avversari però diversa, cosa che potrebbe patire dal punto di vista difensivo (in quello offensivo ci sono pochi dubbi sulla sua capacità di playmaking, d’elite anche nella NBA stessa).
Inoltre, nell’epoca storica di pallacanestro che punta ad allargare il campo con più esterni, di ruolo o mascherati, possibile, l’idea di approcciare il campo con due lunghi pesanti (per quanto Blake Griffin stia progressivamente aumentando il suo raggio di tiro e affinando le sue capacità di passatore) sommati ad un’ala piccola che nelle ultime stagioni ha giostrato maggiormente da 4 atipico può risultare anacronistica e poco fruttuosa, aprendo anzi un dibattito sulla coesistenza e magari un dualismo fra gli unici due All Star del roster.
Infine, l’interrogativo che ha sempre circondato il team losangelino non ha ancora la risposta certa, anzi continua ad aleggiare: sarà in grado Griffin di non oscurarsi nei momenti critici ma diventare un leader? Sinora queste avvisaglie non si sono mai avute (anzi, la vicenda spinosa col magazziniere che lo riguardò la scorsa stagione fa propendere per la risoluzione opposta) ma c’è l’opportunità ora di vedere quanto un freno alla sua esplosione fosse la presenza di una personalità ingombrante quanto quella di CP3. Discorso simile per il secondo e il terzo in ordine di valore all’interno del roster, ovvero un Jordan i cui limiti ai liberi hanno spesso fornito una risposta sulla tenuta mentale e un Gallinari che viene dall’estate che gli ha visto saltare gli Europei per il famoso colpo proibito sferrato in amichevole, il contrario di ciò che si chiede in quel di LA.
Scenario Migliore
Dovesse Griffin dimostrarsi in toto maturato in maniera tale da prendere saldamente le briglie della squadra con soluzione di continuità (tutta la regular e anche post-season); dovesse Gallinari continuare sulla falsa riga di Denver, libero anche lui dai problemi con gli infortuni; e dovesse il talento da oltreoceano Teodosic sopperire a quelle mancanze lasciate dall’addio di Paul in regia, allora la sponda meno iridata di LA potrebbe ambire a ripetere il piazzamento dell’anno precedente, in una Conference però notevolmente rinforzata e competitiva ai massimi livelli.
Scenario Peggiore
Blake Griffin non supera l’esame di maturità, fallendo nel diventare un uomo franchigia. La coppia con DeAndre Jordan si dimostra definitivamente insostenibile nell’epoca dello small ball. Il resto della squadra non vede nessuno emergere ma tutti limitarsi al compitino da comprimari. Insomma, lo spettro dei vecchi Clippers, quelli che rappresentavano il team dalla mentalità sportiva peggiore dell’intero sport americano, si ricomincia a materializzare…
Pronostico
Ipotizzando che i rosters delle varie squadre non vengano sconquassati dagli infortuni, escludendo una Golden State che sembra ancora irraggiungibile in vetta alla Western Conference (e anche nell’intera Lega), i Clips non sembrano poter aspirare come gli anni precedenti al secondo posto disponibile nelle Finali ad Ovest. Tuttavia, sembrano la squadra più solida fra quelle che, sotto questa fascia, si contendono i piazzamenti per la post season. E, visto l’acume con cui è stato costruito il roster, sembrano pronti a sfruttare qualche defaillance dei teams più accreditati per scalare anche in posizioni più nobili.