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Golden State Warriors Preview: seduti in cima all’Olimpo

Punti di forza e punti deboli

I punti di forza degli Warriors sono sotto gli occhi di tutti. Il flow, flusso continuo di difesa,transizione ed attacco dei californiani è inebriante, riempie gli occhi ed appaga gli animi.

L’attacco di Golden State al suo meglio: Durant spinge la palla da rimbalzo difensivo disponendo di due opzioni perimetrali ed uno scarico interno. La difesa si accoppia male e per Curry è davvero uno scherzo metterne tre.

Grazie al movimento di uomini e palla Golden State crea delle voragini spesso incolmabili e, anche lì dove il tiro venga preso con una spaziatura non eccellente, gli Warriors dispongono del talento per demolire comunque la squadra avversaria.

Ancora transizione: stavolta Pachulia è lento nel taglio, il rientro e migliore e Durant è costretto a cercare ossigeno in allontanamento. Il close-out di Thompson non è assolutamente pessimo e KD ha a mala pena equilibrio. Ma quello è Kevin Durant.

La forza di Golden State è tale da attrarre in egual numero ammiratori ed haters ma, a livello puramente tecnico, è davvero difficile non restare estasiati dinnanzi all’opera di Steve Kerr. Gli Warriors hanno consolidato il proprio dominio statistico sulla lega in ogni comparto del gioco: primi per percentuale di vittorie, punti segnati (115.9), primissimi per Offensive Rating (113.2) e secondi, di pochissimo, per efficienza difensiva (101.2). Un dominio su due metà campo che parte dalla difesa e si propaga in attacco, evolvendosi di anno in anno: grazie all’abnegazione difensiva dei propri interpreti, Golden State la miglior squadra della lega per punti in contropiede (22.6) e da palle recuperate (19.3). Una coppia di dati che la dice lunga anche sul ritmo che gli Warriors sono in grado di imprimere alle partite: non è un caso che i californiani si siano piazzati quarti per PACE ( 102.24) pur avendo in squadra attaccanti propensi anche a giocare diversi possessi in isolamento come Kevin Durant e Steph Curry. I numeri parlano chiaro: quando Golden State decide di correre l’aria diventa rarefatta e non esiste un singolo team al mondo capace di giocare al loro livello.

L’azione dell’anno?

A lungo stigmatizzati per l’eccessivo utilizzo del tiro da tre, gli Warriors hanno dimostrato di poter massimizzare l’efficacia di questo fondamentale, senza renderlo l’unica arma a propria disposizione: i californiani hanno tirato con il 38.3% da oltre l’arco (terza prestazione nella lega) su 31.2 tentativi a gara (quinto dato NBA). Gli Warriors hanno raccolto, dunque, il 31% dei propri punti complessivi dal tiro da tre punti, un dato che contribuisce a dar vita a numeri eccezionali come il 56.3% nella percentuale effettiva dal campo ed il 59.7 % nella percentuale reale che hanno reso gli Warriors per distacco la miglior squadra  al tiro nella lega.

La sconfinata varietà di armi nella metà campo offensiva e la selvaggia duttilità difensiva degli interpreti a disposizione di Steve Kerr rende Golden State, con ogni probabilità, il two-way team più devastante di ogni epoca. Quante squadre nella storia del Gioco hanno potuto contare contemporaneamente – oltre che su tre dei migliori  tiratori di questa epoca – sui due migliori giocatori di palleggio-arresto-tiro del mondo, sul miglior modello mondiale di glue-player moderno, su un ex MVP delle Finals come sesto uomo e su un tiratore da oltre il 40% da tre capace di dominare contro tutti gli esterni della lega in post basso? Nessuna.

Non male per un “terzo violino”.

E allo stesso modo: quante squadre hanno mai avuto una così estrema capacità di cambiare vorticosamente sui blocchi, sporcare le linee di passaggio e portare aiuti al ferro pur dovendo nascondere il proprio playmaker e giocando senza alcun “lungo di ruolo”?  Collegando le due fasi con l’incendiaria interpretazione californiana della transizione, ottenete i principali motivi del successo totale degli Warriors.

Difesa-transizione-attacco.

Ma non è finita qui: quante squadre nella storia del gioco, pur avendo un’identità tanto marcata, son riuscite ad assorbire così rapidamente nel proprio sistema gli interpreti più disparati senza mai dare realmente l’impressione di essere incoerenti con la propria filosofia? Anche qui, tenderei a dire nessuna: Swaggy P è avvisato.

Incredibile ma vero: Young dovrà imparare da McGee. Questo l’impatto di JaVale sulle NBA Finals.

Ciliegina sulla torta: di certo a questo team non manca l’indole-clutch. Questo vuol dire che non basta neanche “restare a galla” per provare a batterli: pensate alle ultime NBA Finals e avrete ben chiaro il concetto.

Il canestro simbolo dell’ultima finale è anche e soprattutto un condensato di clutchness e voglia di riscatto.

Visto che ci siamo, soffermiamoci un attimo sulle ultime NBA Finals, dalle quali sono emersi alcuni dati che fanno scendere brividi di terrore lungo la schiena di ogni addetto ai lavori. Alla vigilia della decisiva Gara 5, il Death Lineup composto da Curry, Thompson, Iguodala, Durant e Green aveva giocato assieme solo 17 minuti producendo dei numeri da apocalisse nucleare. Con quel quintetto in campo, hanno prodotto numeri pari 141.7 di Offensive Rating subendo solamente 69.4 punti, sempre su cento possessi, per un terrificante 72.3 di Net Rating.

Questi sono i numeri che il miglior quintetto Warriors ha prodotto contro i migliori avversari possibili: a voler leggere questi dati con pessimismo, si potrebbe tranquillamente affermare che siamo in un’epoca nella quale faticheremo a vedere della reale competizione a livello NBA per ancora qualche anno. Volendo guardare il lato positivo, possiamo invece affermare di star assistendo alla Storia della Pallacanestro ed alla generazione di un nuovo modo di giocare a basket.

Apocalisse nucleare. (Credit to Shane Young)

Eppure questi Warriors non sono perfetti, anche se teoricamente potrebbero esserlo. I punti deboli di Golden State non vanno ricercati necessariamente tra le statistiche o nelle pieghe del gioco. Le crepe dei californiani possono annidarsi nelle loro menti. Non stiamo parlando del banale concetto di appagamento al quale spesso si fa riferimento in relazione ai team estremamente vincenti: gli Warriors sono consapevoli della loro forza e, come tutte le grandi squadre, conoscono di tanto in tanto il vezzo della supponenza. Spesso i migliori giocatori dei Warriors si adagiano sui propri mezzi tecnici rallentando il ritmo della propria pallacanestro, concedendosi giri a vuoto difensivi, andando meno aggressivamente a rimbalzo e bloccando spesso la palla in un turbinio di isolamenti per le proprie stelle. Tutto ciò è avvenuto a più riprese nella scorsa regular season: l’idea di poter schiacciare un interruttore mentale e tornare a dominare è ben radicata da qualche parte nelle menti di più di uno degli Warriors. Giocando in questo modo la pallacanestro di Kerr si tramuta in dannosa, il talento dei propri interpreti diventa un orpello inefficace più che fonte di vita cestistica e Golden State può sbandare. La cattiva notizia per gli avversari, però, è che dopo la passata regular season, si sono intravisti sprazzi di Warriors autodistruttivi solo in Gara 4 (guarda caso persa) delle Finals.

Meno attenzione difensiva, meno ritmo, meno circolazione di palla e molti più isolamenti: la ricetta per battere Golden State la posseggono gli Warriors stessi.

Gli avversari devono, dunque, limitarsi ad attendere che questo buco nero tecnico inghiotta Golden State per provare a sconfiggerli? Assolutamente no, questo è evidente. Ma è altrettanto evidente che gli Warriors, anche al loro peggio, ti concedono ben poco margine per provare a batterli.

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Pubblicato da
Jacopo Gramegna

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